NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 19 dicembre 2017

Ma i Re non si smacchiano dalla storia

Articolo di Marcello Veneziani
Abbiate pietà per il piccolo Re. Abbiate pietà per i morti, per la storia, per l’Italia. Riattivate quel sentimento nobile e pudico che si chiama carità di patria.
Accogliete le salme dei reali come si deve. Non solo a Torino ma anche a Roma, al Pantheon, dove ci sono le salme dei loro avi. Perché sono pezzi di storia patria, e non potete adottare fratture, salti, amnesie.
Se volete riscrivere la storia, cancellare e modificare il nostro passato, allora via a eliminare in tutte le città d’Italia gli omonimi corsi, le omonime piazze dedicate a Vittorio Emanuele. Non a lui, beninteso, ma a suo nonno, che benché II° fu il primo re d’Italia.
Cos’è questa fobia, questa paranoia che si abbatte sul passato, questa voglia di abbattere monumenti, cancellare memorie e paternità, disconoscere eventi storici? E magari tenersi qualche viale Lenin, viale Unione Sovietica, persino Stalingrado, oltre a svariati viali Togliatti, e cancellare tutto il resto. Anche il re viene vituperato in nome dell’antifascismo.
Ma questo paese avrebbe bisogno di antirabbica più che antifascismo: troppo livore, troppi rancori.
Su Re Vittorio Emanuele III diciamo due o tre cose. Fu il Re più duraturo nella storia d’Italia. Cominciò da ragazzo, quando gli uccisero il padre, Umberto I, a Monza, agli albori del ‘900 e rimase re fino a maggio del ’46, quando abdicò in favore di suo figlio Umberto II.
Sarà stato un mezzo re quanto a statura, o un re dimezzato quando dovette coabitare con l’ingombrante duce, ma durò mezzo secolo sul trono. E un mezzo secolo in cui l’Italia combattè due guerre mondiali, alcune guerre coloniali, un paio di guerre civili, dal biennio rosso alla guerra civile fascio-partigiana, e in cui un paese contadino e analfabeta si modernizzò, si istruì, in massa. Fu un buon soldato, re sciaboletta, una persona triste, un po’ introversa, non maestosa ma sommessa.
Commise alcuni errori, alcuni cedimenti. Dal fascismo subì non solo gli oltraggi, la marcia su Roma, le leggi liberticide o razziali; ma ebbe anche prestigio mondiale e nazionale, un impero, una storia. Non finì bene, la sua fuga resta una macchia nera nella sua biografia: magari non lo fece per salvarsi la pelle ma per salvare un regno anche se non vi riuscì.
Conosco le giustificazioni, ma non fu una bella pagina. Fu perfino più grave del pastrano tedesco con cui fu preso Mussolini. Ma la storia è la storia. Si prende sulle proprie spalle la croce del tuo paese, insieme agli onori e ai ricordi. E si storicizzano gli eventi raccontandoli nel bene e nel male, e non vietandoli, smacchiandoli come tracce di unto, addirittura negando onorata sepoltura.
La monarchia sabauda in Italia fu una monarchia breve per un paese antico, durò meno della vita di un uomo, ottantasei anni. Poco per un paese di millenarie tradizioni come il nostro. E i Savoia, dissi una volta con un filino di perfidia, seguono la via dell’involuzionismo, ossia il figlio è sempre peggio del padre o se preferite una formulazione più indulgente, il padre è sempre meglio del figlio.
Carlo Alberto era meglio di Vittorio Emanuele II, e questi era meglio di Umberto I, e Umberto meglio di lui, il piccolo Re. E lui meglio di Umberto II e questi meglio di Vittorio Emanuele IV. Che temo sia meglio di Emanuele Filiberto… Poi ci sono gli Aosta, ma è un altro discorso.
Mille aneddoti e maldicenze gremiscono la storia di Vittorio Emanuele III; ci piace ricordarne solo una, più innocuo. Quando Italo Balbo, a Tripoli, dov’era governatore, fece travestire il piccolo Leo Longanesi da Re e lo fece scorrazzare nella città su un’auto scoperta. Poi furono chiamati a rapporto da Mussolini che voleva punirli per il goliardico vilipendio, ma a sentire il racconto il ducione non riuscì a trattenere una fragorosa risata…
In Italia le nostalgie monarchiche oggi toccano più i Borboni, gli Asburgo, e altre dinastie, più che i Savoia. Ma è giusto che le salme dei Savoia, di lui e della regina Elena, vadano accanto agli avi nel Pantheon. Perché il rapporto dei Savoia con l’Italia è lo stesso delle salme sabaude col Pantheon.
L’Italia è una grande civiltà, una grande nazione, con uno stato storto, piccolo e recente, e dunque una monarchia breve e controversa. Così come il Pantheon è un luogo più importante dei re sabaudi che accoglie; c’è la romanità, c’è la Tradizione, c’è l’Impronta di Grandi Imperatori e c’è la dedica a tutti gli dei che grandeggia sulle vicende della storie, come l’eternità rispetto al secolo.
Così in quell’ombelico del mondo (omphalos mundi), un posto spetta ai re d’Italia, uno spicchio di storia che non possiamo cancellare di un Paese che fu una grande civiltà e un modesto regno. Riportate il Re in famiglia oltreché in Patria.
MV, Il Tempo 18 dicembre 2017

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