Abbiate
pietà per il piccolo Re. Abbiate pietà per i morti, per la storia,
per l’Italia. Riattivate quel sentimento nobile e pudico che si chiama carità
di patria.
Accogliete le salme dei reali come si deve. Non
solo a Torino ma anche a Roma, al Pantheon, dove ci sono le salme dei loro avi.
Perché sono pezzi di storia patria, e non potete adottare fratture, salti,
amnesie.
Se volete riscrivere la storia, cancellare e modificare
il nostro passato, allora via a eliminare in tutte le città d’Italia gli
omonimi corsi, le omonime piazze dedicate a Vittorio Emanuele. Non a lui,
beninteso, ma a suo nonno, che benché II° fu il primo re d’Italia.
Cos’è questa fobia, questa paranoia che
si abbatte sul passato, questa voglia di abbattere monumenti, cancellare
memorie e paternità, disconoscere eventi storici? E magari tenersi qualche
viale Lenin, viale Unione Sovietica, persino Stalingrado, oltre a svariati
viali Togliatti, e cancellare tutto il resto. Anche il re viene vituperato in
nome dell’antifascismo.
Ma
questo paese avrebbe bisogno di antirabbica più che antifascismo: troppo
livore, troppi rancori.
Su Re Vittorio Emanuele III diciamo due o tre cose. Fu il
Re più duraturo nella storia d’Italia. Cominciò da ragazzo, quando gli uccisero
il padre, Umberto I, a Monza, agli albori del ‘900 e rimase re fino a maggio
del ’46, quando abdicò in favore di suo figlio Umberto II.
Sarà stato un mezzo re quanto a statura, o un re
dimezzato quando dovette coabitare con l’ingombrante duce, ma durò mezzo secolo
sul trono. E un mezzo secolo in cui l’Italia combattè due guerre mondiali,
alcune guerre coloniali, un paio di guerre civili, dal biennio rosso alla
guerra civile fascio-partigiana, e in cui un paese contadino e analfabeta si modernizzò,
si istruì, in massa. Fu un buon soldato, re sciaboletta, una persona triste, un
po’ introversa, non maestosa ma sommessa.
Commise alcuni errori, alcuni cedimenti. Dal
fascismo subì non solo gli oltraggi, la marcia su Roma, le leggi liberticide o razziali;
ma ebbe anche prestigio mondiale e nazionale, un impero, una storia. Non finì
bene, la sua fuga resta una macchia nera nella sua biografia: magari non lo
fece per salvarsi la pelle ma per salvare un regno anche se non vi riuscì.
Conosco le giustificazioni, ma non fu una bella pagina. Fu
perfino più grave del pastrano tedesco con cui fu preso Mussolini. Ma la storia
è la storia. Si prende sulle proprie spalle la croce del tuo paese, insieme
agli onori e ai ricordi. E si storicizzano gli eventi raccontandoli nel bene e
nel male, e non vietandoli, smacchiandoli come tracce di unto, addirittura
negando onorata sepoltura.
La monarchia sabauda in Italia fu una monarchia breve per
un paese antico, durò meno della vita di un uomo, ottantasei anni. Poco per un
paese di millenarie tradizioni come il nostro. E i Savoia, dissi una volta con
un filino di perfidia, seguono la via dell’involuzionismo, ossia il figlio è
sempre peggio del padre o se preferite una formulazione più indulgente, il
padre è sempre meglio del figlio.
Carlo Alberto era meglio di Vittorio Emanuele II, e
questi era meglio di Umberto I, e Umberto meglio di lui, il piccolo Re. E lui
meglio di Umberto II e questi meglio di Vittorio Emanuele IV. Che temo sia
meglio di Emanuele Filiberto… Poi ci sono gli Aosta, ma è un altro discorso.
Mille aneddoti e maldicenze gremiscono la storia di Vittorio
Emanuele III; ci piace ricordarne solo una, più innocuo. Quando Italo Balbo, a
Tripoli, dov’era governatore, fece travestire il piccolo Leo Longanesi da Re e
lo fece scorrazzare nella città su un’auto scoperta. Poi furono chiamati a
rapporto da Mussolini che voleva punirli per il goliardico vilipendio, ma a
sentire il racconto il ducione non riuscì a trattenere una fragorosa risata…
In Italia le nostalgie monarchiche oggi
toccano più i Borboni, gli Asburgo, e altre dinastie, più che i Savoia. Ma è
giusto che le salme dei Savoia, di lui e della regina Elena, vadano accanto
agli avi nel Pantheon. Perché il rapporto dei Savoia con l’Italia è lo stesso
delle salme sabaude col Pantheon.
L’Italia è una grande civiltà, una grande nazione, con uno
stato storto, piccolo e recente, e dunque una monarchia breve e controversa.
Così come il Pantheon è un luogo più importante dei re sabaudi che accoglie;
c’è la romanità, c’è la Tradizione, c’è l’Impronta di Grandi Imperatori e c’è
la dedica a tutti gli dei che grandeggia sulle vicende della storie, come
l’eternità rispetto al secolo.
Così in quell’ombelico del mondo (omphalos mundi), un
posto spetta ai re d’Italia, uno spicchio di storia che non possiamo cancellare
di un Paese che fu una grande civiltà e un modesto regno. Riportate il Re in
famiglia oltreché in Patria.
MV, Il Tempo 18 dicembre
2017
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