Qualche considerazione spontanea in seguito alla canea di commenti un po’ tanto inappropriati.
Don Bosco l’aveva sognato e glielo aveva mandato a dire. A Vittorio Emanuele II, mentre il parlamento subalpino decideva la soppressione degli ordini religiosi e l’incameramento dei beni ecclesiastici.
Prima i lutti a Corte (e ci furono, uno dietro l’altro), poi l’ammonimento: chi ruba a Dio non supera la quarta generazione. E infatti: Vittorio Emanuele II, prima generazione di Re d’Italia; Umberto I, seconda; Vittorio Emanuele III, terza; Umberto II, «Re di maggio», quarta; fine della dinastia reale. Don Bosco l’aveva detto.
Be’, di tempo ne è passato dalla sostituzione del Regno con la Repubblica. Ormai, almeno le salme potrebbero rientrare dall’esilio. A chi fanno paura?
Si dice che le bare che contengono le spoglie di Vittorio Emanuele III, morto ad Alessandria d’Egitto, e di sua moglie Elena di Montenegro, morta a Montpellier, siano state portate di soppiatto nel santuario di Vicoforte, in quel di Mondovì.
Insomma, adesso sono in Italia. Dopo settant’anni. Ma ecco i mugugni. I monarchici, la cui consistenza numerica non dovrebbe impensierire l’Italia laica, democratica e antifascista, dicono in pratica: che c’entra Vicoforte? I fans dei Savoia vogliono quelle salme nel Pantheon di Roma. E additano, a conferma, le esequie di Michele I (Mihai) ex Re di Romania: il feretro accolto in patria con tutti gli onori, esercito schierato e politici in prima fila, con percorso, su affusto di cannone, tra due ali di folla oceanica.
Eppure, anche la Romania è una repubblica da decenni. Perché l’Italia fa ancora storie per il rientro di due salme e queste devono essere infiltrate quasi di nascosto?
Azzardiamo un’ipotesi. In Italia, ancora oggi, se gli anarchici mettono bombe alle porte di commissariati e caserme la notizia compare tra le brevi in quinta pagina.
Se i cosiddetti centri sociali devastano il centro storico, la notizia la trovate in cronaca locale. Se gli stessi occupano interi palazzi e vi smerciano «erba», la notizia non la trovate proprio. Ma se quattro gatti di estrema destra disturbano verbalmente un convegno pro-immigrazione e, dopo aver letto un comunicato, se ne vanno disciplinatamente, ecco indetta una mobilitazione di tutte le forze politiche e sindacali per reagire alla intollerabile provocazione fascista. Se un giovane militare appende nella sua stanzetta una bandiera della marina prussiana si agita e sbraccia perfino il ministro della difesa, che minaccia sfracelli, destituzioni, rimozioni, punizioni severissime.
Se un pugno risicato di attivisti di Forza Nuova si mascherano da fantasmi e lanciano slogan al megafono contro il gruppo Repubblica - L’Espresso senza far danni né male a nessuno, l’indignazione nazional-popolare raggiunge l’acme e allarmate interrogazioni parlamentari si levano contro il terrificante rigurgito nazifascista. Morale: tutto ciò che è comunista o simil-comunista è tollerato, anzi, va benissimo. Mano ferrea e pronta repressione sul versante opposto, e pazienza se la risposta è spropositata. Questa è la situazione, e lo è dal Sessantotto.
Ebbene, Vittorio Emanuele III è stato «di destra», perché non si è opposto a Mussolini o, almeno, non lo ha fatto fin da subito, fin dalla Marcia su Roma. Nell’immaginario egemone quel Re è stato complice del «male assoluto», cioè del fascismo, e in un’Italia in cui alte cariche istituzionali si sentono male, o almeno a disagio, quando passano dalla Stazione Ferroviaria di Milano o davanti all’Eur (realizzazioni del mai abbastanza deprecato Ventennio), il malessere o il disagio sarebbero replicati dalla presenza al Pantheon delle salme di Vittorio e Elena.
Non sia mai.
La domanda è però un’altra: perché i Savoia ci tengono tanto a tornare. pure da morti, in questo Paese?
Rino Camilleri
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