In
Inghilterra, al termine di questa seconda guerra mondiale, il popolo è stato
subito convocato nei comizi elettorali. I laburisti hanno avuto la maggioranza
e hanno preso il governo. Ebbene che cosa avviene con ciò?
Nessuno
degli istituti fondamentali della vita inglese ha subito la minima offesa. Il
primo pensiero della maggioranza come della minoranza è stato un indirizzo di
omaggio al Sovrano. Anche i due deputati comunisti si sono associati
all’omaggio.
Perchè questo
non fu possibile nel 1918 e non è oggi pensabile in Italia? Perchè le masse
italiane hanno una coscienza molto mutevole e come provvisoria dello Stato e
perchè esse tendono a porre in discussione, ad ogni momento, le loro
istituzioni. La difficoltà di costituire presso di noi un regime ordinato,
serio e liberale risiede appunto in questo intervento tumultuoso e frequente
della piazza nella vita dello Stato. Dove lo Stato si regge su di un instabile
squilibrio, i suoi ordinamenti sono corrotti e le sue leggi sono variamente
interpretate perché soggette a mutazioni continue secondo l’arbitrio dei forti.
Il dramma dell’Italia, tra il 1918 e il 1922, fu appunto questo. La classe
politica parlamentare del 1915 non seppe o non volle o non potè più valersi del
potere per domare la minaccia dell’insurrezione. Il socialismo non ebbe
l’ardimento di prendere il potere. Esso contribuì potentemente a indebolire uno
Stato già scosso, ma non seppe assumere la responsabilità del Governo.
Per bocca
di Treves l'Italia non doveva valersi della guerra vinta per fondare il suo
divenire, ma tale guerra doveva espiare come se si fosse trattato di un crimine
o di una disfatta.
La
borghesia doveva espiare e il socialismo rimaneva soddisfatto a godersi il
crollo della nazione che aveva osato trascurare i suoi consigli. Fu quindi
facile a un uomo, sfruttare il sentimento patriottico della maggioranza e
marciare alla conquista dello Stato con una fazione armata. Il fascismo non
lottava a priori contro lo Stato liberale, ma si proponeva di sostituirsi ad
esso quando la sua azione appariva troppo debole e incapace di fronteggiare la
situazione. In tal modo esso contribuiva potentemente alla dissoluzione dello
Stato, mentre diffondeva nei cittadini desiderosi di un ordine purchessia una grande
fiducia nei suoi metodi di azione.
Insomma
nella società italiana si veniva disciogliendo il vincolo giuridico per cui la
nazione si era costituita in Stato unitario. La Monarchia rimaneva scoperta ed
esposta alle offese delle fazioni. Avrebbe dovuto essere elevata e portata
fuori di ogni polemica come unico pilone rimasto intatto dell'unità nazionale,
ma il senso di irresponsabilita dei nuovi capi ed il loro spirito demagogico si
accaniva contro tutti i poteri dello Stato. In uno Stato moderno la sovranità
non proviene di fuori, ma di dentro: essa è il prodotto della volontà dei
soggetti. La sovranità ha il suo presidio nel popolo stesso fn quanto ordinato
a Stato. Ma il nostro popolo non ha questa coscienza. I lunghi secoli della sua
servitù lo portano a concepire lo Stato come il nemico perenne ed esterno, come
una forza estranea. Il popolo romano insultava l'imperatore nel circo ed oggi
offende il Re con le scritte murali. Non sa che la sovranità è un idea la quale
risiede solo nel popolo. Il potere sovrano è immaginato come esterno ed
estraneo al popolo, cosi come era nel lungo periodo di soggezione ai sovrani
stranieri e assoluti. I dirigenti dei partiti si guardano bene da insegnare ai
loro tesserati questi dati elementari della vita politica in uno Stato moderno
e per demagogia sollecitano i bassi istinti plebei e ne sfruttano l’ignoranza
per salire nella stima della folla mostrando di difenderne gli interessi
offesi. Nel loro fondo essi coltivano la speranza che vi siano sempre dei
carabinieri a difendere il Quirinale. Essi infatti sanno bene che la
rivoluzione, ove si dovesse compiere, troncherebbe i loro lieti festini sulle
miserie della Nazione. Essi sanno che il giorno in cui la Monarchia dovesse
cadere, cesserebbe la speculazione sulla Corte e sui circoli della reazione.
Essi dovrebbero rispondere al popolo in prima persona senza potersi nascondere
dietro le « forze oscure della reazione in agguato». Il popolo si accorgerebbe
ben presto che la corruzione, la smania del piacere e dei facili e pronti
guadagni, gli indebiti profitti e, insieme, tutto il guasto della nazione sono
nella nuova classe di governo assai più che nella antica. Quella nuova classe
di governo vuole arricchire rapidamente, vuole contrarre, con i matrimoni,
relazioni permanenti e cospicue; e per giungere a tanto si comporta con avidità
e spregiudicatezza.
Così fu
di alcuni uomini della sinistra parlamentare, così è stato in ben più alta
misura del fascismo, così è delIVsarchia. Le classi alte lasciano fare, e
chiudono un occhio perchè sanno che gli avidi e i rapaci divenuti sazi non sono
dei sanguinari. Solo gli asceti e i puri sono temibili e a volte terribili. La
Monarchia non può entrare in questo basso giuoco. Nei venti anni della
dilagante corruzione fascista nessuna scorrettezza, nessun arbitrio, nessuna
indebita ingerenza, nessun dubbioso intervento può essere menomamente
addebitato in modo diretto o indiretto, al Sovrano o ad uomini a lui vicini. La
demagogia sfrenata che ha seguito la disfatta non ha potuto raccogliere nessuna
voce, nessuna insinuazione, nessuna accusa.
L'unico
ufficio, l'unica magistratura rimasta indenne,al disopra della triste bolgia
della comizione e della violenza, è quella del Sovrano. Pure impotente a
intervenire, perchè il Monarca non ha ufficio di governo, egli costituiva un
testimone ed un freno. Ora si vuol togliere quel freno, si vuole abolire quella
testimonianza perché i nuovi venuti sono piò voraci e più numerosi. E in
più sono spinti dalla voce alacre della vendetta. Ma una nazione che per
ogni generazione debba provvedere, con il suo lavoro e il suo sangue, ai nuovi
appetiti e alla sistemazione di una intera classe politica è destinata alla
disintegrazione e alla rovina.
L’atmosfera
messianica da anno mille, non fu nel 1919 peculiare dell’Italia. Scrive un
autore messo al bando dal fascismo, H. A. L. Fisher nella sua apprezzata Storia
d Europa (vol. III, pag. 436): «Si riteneva ormai apertamente che i parlamenti
avevano fatto fallimento, che la Civiltà democratica era superata e che il laissez faire
doveva cedere il posto ad una economia regolata su tutta la linea. Nella
stessa Inghilterra i lavoratori organizzati chiedevano una completa
ricostruzione dell’impalcatura sociale (1919)».
Uno dei
maggiori guai derivati dalla guerra fu la decadenza in gran parte
dell’Europa della disciplina sociale. La fede nell'autorità era
vacillante, spezzata la tradizione, ovunque i popoli sconfitti,
allontanatisi dagli antichi ormeggi, attendevano di essere guidati sui
mari inesplorati; dappertutto e specialmente in Russia dove il Governo era
stato colto nel suo momento peggiore e più debole, il terreno
rivoluzionario era ben preparato e dove più rapidamente e
più violentemente che in ogni altra parte d’Europa erano sorti nel
momento della crisi, un uomo, una dottrina, una fede. La dottrina derivata
da Marx era la sostituzione, stimata conclusione inevitabile di un lungo
processo storico, del comunismo, all’ordine costituito della società
capitalista: negava la proprietà, la fede in Dio, la gerarchia sociale, la
classe media e tutti gli ideali artistici morali e filosofici che l'avevano
alimentata.
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