di Emilio del Bel Belluz
Sono due settimane che si parla dei Savoia e lo si fa con toni non sempre benevoli. Molti parlamentari, e mi permetto di citare un dato (546 di loro in spregio alla democrazia hanno cambiato casacca), si sono dimostrati contrari al rientro del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena; dimenticando che il nostro Paese dà la possibilità a tutte le minoranze di manifestare, dona un rifugio a tutti, anche se non tutte le perle che arrivano dal mondo sono così immacolate.
Sono un monarchico, amo la famiglia Savoia, amo quelli che hanno unificato l’Italia, e m’inchino ad un Re come Umberto II che andò in esilio anche se aveva avuto la metà dei voti degli italiani, senza tener conto dei brogli elettorali di cui si accenna poche volte.
Sono passati settant’ anni dalla morte del Re soldato che ha portato l’Italia alla vittoria, che andava in trincea a portare conforto ai soldati, che incoraggiava tutti e che stringeva la mano ai soldati affetti da colera, non preoccupandosi minimamente del possibile contagio. Questo Re, in questi anni mentre si ricorda la Grande Guerra, non è mai citato come si dovrebbe.
Come non viene mai mostrata quella bandiera Sabauda che portò l’Italia alla vittoria.
Spesso nelle ricostruzioni storiche, come nelle foto, la bandiera non è quella della Grande Guerra.
Ora mi domando, chi si considera monarchico come me, potrà avere il diritto di portare un fiore sulla tomba del Re e della Regina?
Ho dovuto aspettare settant’ anni per sentire la presenza di questo Re.
Dopo che i Savoia andarono in esilio qualcuno scrisse che l’Italia era più povera, sono d’accordo perché una testa nobile lascia una scia nobile. Il Natale del 1947 fu l’ultimo ed il più triste che Re Vittorio Emanuele III trascorse, infatti, pochi giorni dopo chiudeva gli occhi. Lo scrittore Giorgio Pillon citò nel libro – I Savoia nella bufera -: “ Fu un Natale ben triste quello che i Sovrani si prepararono a trascorrere il 25 dicembre del 1947.
Alle undici ci fu la Santa messa celebrata da padre Ludovico Foschi in una stanzetta della villa, adattata a cappella. Vi assisterono soltanto Elena di Savoia, la contessa Jaccarino, il barone Torrella, la fedele cameriera della Regina Rosa Gallotti, e l’amministratore. Più tardi un po’ tutti si alternarono al capezzale dell’infermo.
Al barone Torrella, Vittorio Emanuele III mormorò, indicando con gli occhi le due infermiere: “Chi sa quelle donne che porcherie mi mettono in corpo con quella siringa !” Poi cambiando argomento, chiese: “Quante lettere, quanti telegrammi di augurio sono già arrivati ?” Torrella gliene mostrò qualcuno. Erano per lo più, messaggi inviati da sconosciuti, umile gente che non aveva dimenticato il Sovrano in esilio. Mancavano però “grossi nomi”. “Già”, osservò l’ammalato, “ chi dovrebbe ricordarsi di me non lo fa.Viviamo proprio in uno strano mondo!”.
Mi permetto di aggiungere che quei parlamentari che hanno commentato in modo negativo la traslazione del Re dovrebbero riflettere su che cosa sia la democrazia.
Allo stesso tempo non ho sentito parole di gentilezza da parte della Chiesa, che se non sbaglio ebbe molto dai Savoia, come il dono della Sacra Sindone. Mi permetto di chiedere in che Italia viviamo. Potrò onorare i Savoia, potrò farlo anche per il Re Umberto II e la Regina Maria Josè o dovrò aspettare di morire con questo desiderio inappagato?
Come diceva Prezzolini: “Nulla è più stabile del provvisorio“.
Ora ci saranno le elezioni e spero di non vedere successivamente tante fughe da destra e sinistra da parte degli eletti.
Viviamo proprio in uno strano mondo, come disse il Re prima di morire.
Sono due settimane che si parla dei Savoia e lo si fa con toni non sempre benevoli. Molti parlamentari, e mi permetto di citare un dato (546 di loro in spregio alla democrazia hanno cambiato casacca), si sono dimostrati contrari al rientro del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena; dimenticando che il nostro Paese dà la possibilità a tutte le minoranze di manifestare, dona un rifugio a tutti, anche se non tutte le perle che arrivano dal mondo sono così immacolate.
Sono un monarchico, amo la famiglia Savoia, amo quelli che hanno unificato l’Italia, e m’inchino ad un Re come Umberto II che andò in esilio anche se aveva avuto la metà dei voti degli italiani, senza tener conto dei brogli elettorali di cui si accenna poche volte.
Sono passati settant’ anni dalla morte del Re soldato che ha portato l’Italia alla vittoria, che andava in trincea a portare conforto ai soldati, che incoraggiava tutti e che stringeva la mano ai soldati affetti da colera, non preoccupandosi minimamente del possibile contagio. Questo Re, in questi anni mentre si ricorda la Grande Guerra, non è mai citato come si dovrebbe.
Come non viene mai mostrata quella bandiera Sabauda che portò l’Italia alla vittoria.
Spesso nelle ricostruzioni storiche, come nelle foto, la bandiera non è quella della Grande Guerra.
Ora mi domando, chi si considera monarchico come me, potrà avere il diritto di portare un fiore sulla tomba del Re e della Regina?
Ho dovuto aspettare settant’ anni per sentire la presenza di questo Re.
Dopo che i Savoia andarono in esilio qualcuno scrisse che l’Italia era più povera, sono d’accordo perché una testa nobile lascia una scia nobile. Il Natale del 1947 fu l’ultimo ed il più triste che Re Vittorio Emanuele III trascorse, infatti, pochi giorni dopo chiudeva gli occhi. Lo scrittore Giorgio Pillon citò nel libro – I Savoia nella bufera -: “ Fu un Natale ben triste quello che i Sovrani si prepararono a trascorrere il 25 dicembre del 1947.
Alle undici ci fu la Santa messa celebrata da padre Ludovico Foschi in una stanzetta della villa, adattata a cappella. Vi assisterono soltanto Elena di Savoia, la contessa Jaccarino, il barone Torrella, la fedele cameriera della Regina Rosa Gallotti, e l’amministratore. Più tardi un po’ tutti si alternarono al capezzale dell’infermo.
Al barone Torrella, Vittorio Emanuele III mormorò, indicando con gli occhi le due infermiere: “Chi sa quelle donne che porcherie mi mettono in corpo con quella siringa !” Poi cambiando argomento, chiese: “Quante lettere, quanti telegrammi di augurio sono già arrivati ?” Torrella gliene mostrò qualcuno. Erano per lo più, messaggi inviati da sconosciuti, umile gente che non aveva dimenticato il Sovrano in esilio. Mancavano però “grossi nomi”. “Già”, osservò l’ammalato, “ chi dovrebbe ricordarsi di me non lo fa.Viviamo proprio in uno strano mondo!”.
Mi permetto di aggiungere che quei parlamentari che hanno commentato in modo negativo la traslazione del Re dovrebbero riflettere su che cosa sia la democrazia.
Allo stesso tempo non ho sentito parole di gentilezza da parte della Chiesa, che se non sbaglio ebbe molto dai Savoia, come il dono della Sacra Sindone. Mi permetto di chiedere in che Italia viviamo. Potrò onorare i Savoia, potrò farlo anche per il Re Umberto II e la Regina Maria Josè o dovrò aspettare di morire con questo desiderio inappagato?
Come diceva Prezzolini: “Nulla è più stabile del provvisorio“.
Ora ci saranno le elezioni e spero di non vedere successivamente tante fughe da destra e sinistra da parte degli eletti.
Viviamo proprio in uno strano mondo, come disse il Re prima di morire.
Nessun commento:
Posta un commento