di Aldo A. Mola
Malgrado l'apparenza e le narrazioni
mediatiche, l'Italia è il paese più stabile d'Europa. Numericamente irrilevanti
e (per ora) “dimostrativi” ma non “ultimativi”, i deplorevoli ma circoscritti “crimini” a sfondo politico di questi giorni provano che è
fallito l'enorme sforzo eterodiretto di dividere gli italiani in fazioni
scatenate in zuffe continue. L'ormai noiosa reinvenzione della contrapposizione
fascismo-antifascismo (o “resistenza”) mostra la povertà della subcultura
estremistica, incapace di vedere i problemi italiani del Terzo Millennio.
Benché noto, va ripetuto che non c'è mai
stato “il” fascismo. Tra il 1922 e il 1943 l'Italia fu governata da
aggregazioni disparate, con progetti per nulla univoci, nel caos dell'Europa
uscita da cinque anni di guerra devastante, squassata da rivoluzioni e
movimenti armati. Evocare il “fascismo” quale soggetto politico dell'Italia
odierna è irreale e infantile (semmai va ricordato che il suo vero unico argine
fu la monarchia con Vittorio Emanuele III). Lo stesso vale della “resistenza” o
“guerra partigiana”, che fu coacervo di pulsioni e progetti niente affatto
convergenti. L'unico suo elemento unificante fu infine il tricolore indossato
obbligatoriamente dal Corpo Volontari della Libertà, comandato del generale
Raffaele Cadorna, da ricordare tra i “Sacerdoti di Marte” biografati dallo
storico Oreste Bovio nell'ottimo volume edito dall'Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell'Esercito.
Con gesti delittuosi, ripresi ad arte ed
enfatizzati dai “media”, qualcuno tenta ora di esibire all'interno e all'estero il ritratto di
un'Italia in preda a convulsioni. Tra una settimana i cittadini diranno quale essa
in effetti è. Lo faranno col voto; e anche col probabile 35% di non votanti.
Anche questo fa parte della dialettica democratica e dà il polso del paese.
Infatti, a parte qualche desolato e isolato “predicatore” dell'astensione (per
deluse ambizioni personali), molti italiani non andranno alle
urne nella pacata certezza che il treno-Italia continuerà comunque a correre
nei binari della ordinaria normalità. L'astensione “all'italiana” non è un
squillo di tromba contro le istituzioni ma frutto della pigra fiducia che esse
reggono anche sul silenzioso consenso di chi non va ai seggi ma fa la sua parte
nella vita quotidiana.
Passato in rassegna il panorama dei partiti e
dei movimenti in lizza, una constatazione s'impone: a parte frange ideologiche
estreme, tutti dichiarano di voler governare e di cercare adesioni e suffragi
“in Aula”, cioè nella sede deputata ad approvare o negare la fiducia al
governo. Questa è la realtà di un paese dopotutto tranquillo, di cittadini che
chiedono solo di essere amministrati meglio. Pesantemente tartassati da imposte
e balzelli, gli italiani si attendono una politica estera decorosa (a
proposito: dov'è Alfano?), sicurezza pubblica, servizi all'altezza dei tempi e
a costi ragionevoli, l'attuazione del titolo II della Costituzione (rapporti
etico-sociali) e dell'articolo 47: lo Stato “incoraggia e tutela il risparmio
in tutte le sue forme, disciplina, coordina e controlla l'esercizio del
credito”, impegno solenne, questo, che oggi suona beffardo, come la tutela
della proprietà privata, della libertà di insegnamento e di tanti altri diritti
enunciati della Carta.
L'Italia non ha le esasperate divisioni
linguistico-religiose del Belgio, né una mina vagante come la pretesa di una
parte dei catalani di ergersi a repubblica indipendente. A differenza di
Berlino, non sconta il passivo storico dei quarant'anni di regime
dispotico-terroristico imposto alla Germania Orientale, a suo tempo detta
“Democratica”. L'Italia è un Paese con tante difficoltà ma un retaggio
millenario di fondo, grazie al quale in dieci anni realizzò il “miracolo”
dell'unificazione (1859-1870) e in altri dieci (1948-1960) quello della
ricostruzione.
Lasciati nella polvere i fatui libretti
esaltanti il brigantaggio come eroica lotta contro i “carnefici” del
Mezzogiorno, per intendere il lento positivo progresso conseguito basta
un'occhiata all'Italia del 1948. Appena uscita da una guerra civile che si
trascinò molto oltre il maggio 1945 e dopo il cambio della forma dello Stato,
essa rimase annichilita dal sanguinoso colpo di stato filo-sovietico a Praga
(20-25 febbraio), culminato con l'assassinio di Jan Masaryk. Il 3 aprile venne
definitivamente varato il Piano Marshall per la ricostruzione europea (ERP).
L'Italia ne trasse enormi benefici nel periodo medio-lungo. Le elezioni del
18-19 aprile 1948 decretarono la clamorosa sconfitta del Fronte popolare
(partito comunista di Togliatti, partito socialista di Nenni e frange dell'ex
partito d'azione in netto conflitto con Ugo La Malfa e Ferruccio Parri che
all'ANPI ormai succuba dei social-comunisti contrappose la FIAP) e la vittoria
della Democrazia Cristiana. In Parlamento, però, entrò un centinaio di senatori
di diritto (Bencivenga, Croce, Einaudi, Arturo Labriola, Emilio Lussu, Nitti,
Orlando, Ruini...), che fecero la differenza. Impedirono a De Gasperi di
governare con la sola DC e lo obbligarono a varare l'alleanza “centrista”, a
“occidentalizzarsi”. All'inizio dell'anno una vignetta del “Travaso”
rappresentò l'Italia con un fantaccino di spalle, armato di un fuciletto a
tappo innalzante un tricolore ormai senza scudo sabaudo, minuscolo dinnanzi a
due enormi militari ritti su carri armati, con in mano l'atomica e la
controatomica. Benché sconfitta, l'Italia già aveva avviato la ripresa. Il 22
marzo il marchese Antonio Meli Lupi di Soragna presentò a Pio XII
le credenziali di ambasciatore straordinario e plenipotenziario. Era iniziato
un nuovo corso.
Ora il presidente della Commissione europea,
Jean-Claude Juncker, rappresentante di un artificioso frammento della storia
qual è il Granducato di Lussemburgo, vede fosco il futuro di Italia, Germania e
Spagna, paesi a suo avviso politicamente in stallo. Che cosa gli rimane
dell'“Europa” del dopo Brexit? Il Benelux? La Francia? Da sola, con un
presidente votato dal 20% degli aventi diritto e lacerazioni di gran lunga più
profonde ed esplosive di quelle nostrane, Parigi non è un volano ma un
problema. Non le basterà la fusione normativa con la Germania in questioni
bancarie e fiscali. La Storia è politica estera e armi.
L'Italia ce la fece e ce la farà con tenacia
e senso pratico. Sul Paese incombono fantasmi fanatici. Ne è documento la
relazione finale della “Commissione antimafia” che qualcuno vorrebbe elevare a
Superpotere, col diritto di epurare le liste dei candidati alle urne e di
stabilire quali associazioni siano lecite e quali no (per esempio quelle
massoniche e “similari”) sulla base di chissà quali criteri, come avvenne nella
Francia giacobina, della “legge sui sospetti” e delle esecuzioni capitali senza
processo. Questo è il vero rischio politico incombente. Per fermarlo, comunque,
gli italiani hanno a portata di mano la scheda elettorale: risposta pacata ma
ferma all'estremismo ideologico dei cattocomunisti che vorrebbero precipitare
in una sorta di guerra di religione un Paese che non conobbe eresie perché
congenitamente politeista o, se si preferisce, “liberale”.
Il voto è l'argine
contro il caos e il fanatismo.
Aldo A. Mola
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