Questo articolo è preso dal settimanale OGGI 12 Luglio 1951.
Soltanto
due mesi fa l'ammiraglio Luigi Rizzo si presentò al prof. Paolucci (un tempo
suo compagno d'arme al comando di un "Mas"), per via di "una
piccola banale lesione" al polmone, a chiedere "un piccolo
intervento". La lesione non era né piccola, né banale, ma nonostante la
sua età avanzata era necessario operare. L'attenzione particolare dei figli e
dei parenti insospettì il vecchio ammiraglio che comprese il suo vero stato, ma
non indietreggiò. Prima di scendere in sala operatoria volle inviare un saluto
telegrafico ai suoi pochissimi amici intimi e al nipotino Francesco di due
anni, figlio della figlia che vive a Milazzo, al quale era particolarmente
affezionato. Prima di prendere l'anestesia chiese del prof. Paolucci e, come
vecchio marinaio nel momento supremo di andare all'attacco, gli disse piano,
scandendo le sillabe: “ Viva il Re! “.
L'organo
colpito fu asportato; seguirono giorni tempestosi, ma poi lentamente Luigi
Rizzo cominciò a migliorare, verso una nuova vita. È come rientrare da una delle mie azioni,
confessò. L'ammiraglio Vittorio Türr entrò una mattina nella sua stanzetta di
Villa Margherita per recargli un abbraccio e un messaggio giunto espressamente
per lui da Cascais. Rizzo non poté irrigidirsi sull'attenti, ma ascoltò con gli
occhi umidi di commozione e un nodo in gola l'augusta comunicazione.
LE
PRIME IMPRESE
Nei
giorni che seguirono migliorò e poté anche alzarsi e passeggiare. Il male
sembrava completamente debellato quando una improvvisa sonnolenza fece capire
che lo stesso male stava facendosi strada anche nel cervello. Ogni intervento
questa volta fu impossibile e in pochissimi giorni il vecchio ammiraglio se n'è
andato, dormendo, quasi senza accorgersene.
Figlio
di un vecchio lupo di mare, con un nonno che si era arruolato nel '48 tra I
militi della Patria risorgente e con uno zio che a soli 17 anni aveva seguito Garibaldi
e I Mille dopo lo sbarco di Messina, Luigi Rizzo era nato a Milazzo
sessantaquattro anni or sono. Aveva la passione del mare che il padre
incoraggiò in lui fin dalla tenera età, tanto che a soli otto anni a bordo era
come di casa, e a diciotto conseguiva la licenza d'onore all'Istituto Nautico
di Messina. Navigò con il padre e il fratello maggiore, dividendo con gli altri
marinai le fatiche e la disciplina di bordo, i pasti e i turni di guardia.
Diventò presto un esperto ufficiale della marina mercantile, poi passò a
Sulina, in Romania, alle dipendenze della Commissione del Danubio dove, nella
sua qualità di capitano e pilota, svolse un'attività encomiabile, tenendo alto
il nome e il prestigio del Paese. In quest'epoca compì anche il primo atto di
valore, riuscendo a salvare un piroscafo in balia della tempesta, nonostante
quel tentativo fosse stato definito vano e pazzesco da altri ufficiali. Il
governo romeno ne onorò l'audacia e la generosità decretandogli una medaglia al
valore che doveva essere la prima di una lunga serie di decorazioni.
Allo
scoppio della prima guerra mondiale Luigi Rizzo tornò in Italia per offrire i
suoi servizi alla R. Marina e, dopo una destinazione di alcuni mesi in un
centro di addestramento reclute, venne trasferito, nel secondo semestre del
1915, in zona d'operazioni, alla difesa marittima di Grado, tenente di vascello
di complemento con incarico di aiutante maggiore in prima del Comando. Lii
girata agli inizi della guerra, Grado era stata sistemata come difesa marittima
sull'estrema ala destra della III armata e dominava interamente il golfo di
Trieste dal quale per ventinove mesi, fino a Caporetto, la nostra marina tenne
lontano il nemico. Nel febbraio del 1916 il comando della piazza venne assunto
dal capitano di fregata Alfredo Dentice di Frasso che amava l'azione, viveva la
vita di guerra dei suoi ufficiali ed ebbe in Luigi Rizzo il suo più fedele ed
abile aiutante.
Quando
nel corso di una violenta mareggiata invernale una grossa torpedine austriaca
si arenò sulla spiaggia, il comandante stesso volle tentare l'impresa del
disinnesco aiutato dal fido Rizzo che, dopo tale prova di sangue freddo,
ricevette una medaglia d'argento e venne nominato comandante della sezione
"Mas" di Grado. Antiburocratico per eccellenza, inadatto per il
lavoro d'ufficio, nato per l'audacia e per l'azione, Rizzo si identificò con il
significativo motto "Memento Audere Semper", che dava il nome alle
più piccole navi della nostra marina. A quarantotto ore dalla nomina aveva già
compiuto una prima impresa, da lui definita "di assaggio", alle dighe
del Vallone di Muggia. Da allora le incursioni notturne nel golfo di Trieste
del "corsaro" di Milazzo, furono innumerevoli e fruttuose.
"WIEN"
E "SANTO STEFANO"
Ritto
a prora, sempre irrequieto e con lo sguardo mobile che scrutava intorno, bruno,
irsuto, con una giubba di cuoio di colore indefinito, con un caschetto in testa
da cui solo barba e baffi apparivano, con una perenne malizia negli occhi
nerissimi e un mite sorriso sulle labbra, inflessibile con i suoi marinai, di
poche parole ma di molta iniziativa, Luigi Rizzo andava a caccia di navi
avversarie e ci si buttava contro a testa bassa come un toro.
Da
un'azione contro una squadriglia di quattro torpediniere austro-ungariche tornò
particolarmente di buon umore,
per avere inflitto notevoli danni all'avversario, senza alcuna perdita propria
e per aver catturato un magnifico dentice, ucciso da una bomba caduta a fianco
del suo "Mas" e mandato a bordo con la colonna d'acqua. Il pesce
venne infiocchettato con un nastro tricolore e offerto al duca d'Aosta.
Nel maggio del
1917 Rizzo ottenne una seconda medaglia d'argento per essersi trattenuto
sotto il fuoco di batterie e aerei nemici mentre stava effettuando la cattura
di alcuni aviatori austriaci. Nell'autunno dello stesso anno andò più volte in
ricognizione con i suoi "gusci di noce" sulle dighe del porto di
Trieste per preparare l'audace impresa da lui poi compiuta nella notte tra il
9 e il 10 dicembre, coronata dal siluramento e affondamento della corazzata Wien.
L'ammiraglio Thaon di Revel, capo di stato maggiore della marina, ideatore
dei "Mas-; gli aveva spontaneamente promesso la promozione a
capitano di corvetta in caso di successo; Rizzo ottenne con essa anche la sua
prima medaglia d'oro e un permesso per andare a godere la luna di miele con la
giovane moglie, sposata cinque settimane prima, ma abbandonata poche ore dopo
per adempiere il suo dovere di soldato.
Dopo l'abbandono di Grado in
seguito alla ritirata di Caporetto, Rizzo continuò la sua attività sui
"Mas" e condusse la sua squadriglia attraverso i canali navigabili
della laguna veneta, per arrestare le pattuglie dell'esercito nemico dilagante
verso il Tagliamento e il Piave, meritandosi per tali azioni una terza medaglia
d'argento.
La successiva
impresa alla quale partecipò con Costanzo Ciano fu la "Beffa di
Buccari", ideata da Gabriele D'Annunzio. La notte del 17 febbraio del
1918 tre "gusci di noce", con un manipolo di coraggiosi, dopo
quattro ore di navigazione riuscirono a penetrare nello stretto di Buccari. “
Che brava gente questi austriaci“, sussurrò Rizzo al poeta, vedendo che nessuna
sentinella si era accorta di loro. Poi lanciarono i siluri contro
il piroscafo più grosso e, posate delle bottiglie nell'acqua con grandi
coccarde spiegate alla 'brezza del primo mattino,
filarono via verso i porti amici. L'impresa rimase una delle più audaci e
Rizzo guadagnò la quarta medaglia d'argento.
PRIGIONIERO DEI TEDESCHI.
Passato quindi ad Ancona. ebbe l'incarico di
organizzare una squadriglia di "Mas" destinata ad operare nelle
isole dalmate. Era il giugno del 1918 e il nemico preparava la grande
offensiva sul Piave. Il mattino del 10 giugno Rizzo ebbe la sua grande
occasione: presso Premuda marciavano due grosse navi di linea nemiche, circondate
da sette torpediniere di scorta. Rizzo puntò senza esitazione sulla sagoma più
grossa. I "Mas" partirono all'attacco, tranquilli, senza aumentare
di velocità perché se l'azione poteva essere risolta più presto, la schiuma a
prua poteva rivelare la loro presenza. Era l'alba, il nemico era stanco e
Rizzo, da buon marinaio, lo sapeva: dopo la tensione continua della notte, la
luce mattutina porta ad ogni navigante un senso di sicurezza e un bisogno di
riposo. Per questa favorevole circostanza gli spericolati battelli poterono
giungere a distanza ravvicinatissima dalla nave più grossa,
lanciando simultaneamente i loro siluri. Due alte colonne di fumo e acqua si
alzarono dal centro della nave colpita, poi seguì l'inferno, dal quale però i
due "Mas" uscirono incolumi, mentre la Santo Stefano, una
corazzata di ventimila tonnellate, armata di quaranta bocche da fuoco e di
quattro tubi lanciasiluri, vanto della tecnica navale austro-ungarica,
lentamente si inclinava, si capovolgeva e scompariva in un gorgo pauroso. Una
seconda medaglia d'oro venne a premiare l'audace affondatore.
Finite le ostilità, Luigi Rizzo accorse
a Fiume al richiamo di Gabriele D'Annunzio e affiancò animosamente l'opera
dei legionari. La pace lo trovò in piena operosità marinara, dapprima a
Trieste, dove organizzò l'ufficio difesa marittima, poi a Genova. Promosso capitano di fregata per merito di guerra chiese
nel 1920 di essere dispensato dal servizio attivo: nel 1925 divenne capitano di
vascello. Nel giugno del 1926 Trieste gli decretò gli onori del trionfo
intitolando al suo nome la grande diga del Vallone di Muggia. L'anno seguente,
nel decimo anniversario dell'affondamento della Wien, alle 2,32 di
notte venne deposta sulla diga una corona di quercia con nastri azzurri. Nel
1932, con sovrano motu proprio fu nominato contrammiraglio, gli
venne conferito il titolo trasmissibile di conte di Grado e in una simbolica
caratteristica cerimonia gli furono consegnate le chiavi della città che da
secoli non erano state offerte a nessuno.
Allo scoppio della guerra abissina
Rizzo si offre come volontario e, nel 1936, è nominato ammiraglio di divisione
per meriti eccezionali; nello stesso anno è chiamato alla presidenza del Lloyd
Triestino. Conduce una vita serena, accanto alla sua dolce compagna e ai figli
Giacomo, Guglielmina e Giorgio. Almeno due mesi ogni estate tornava alla sua
Milazzo, ai suoi contadini che lo accompagnavano volentieri a pesca, sua
grande passione dopo i "Mas".
Il 10 giugno 1940 l'eroe di Buccari
rientra in servizio e prende il comando della caccia antisommergibile, ma
cominciano le sue disillusioni finché
riesce a farsi esonerare da quell'incarico per la consta tata mancanza di
mezzi. L'8 settembre 1943 lo trova alla presidenza dei Cantieri Riuniti
dell'Adriatico e poiché egli è un soldato fedele al suo sovrano, affonderà le
navi mercantili •Duilio e
Giulio Cesare piuttosto che
consegnarle ai tedeschi. Alla sua scuola aveva cresciuto i figli e in
particolare Giorgio, già comandante di una squadriglia "Mas" a
Rocca di Magra. Anche lui rimase fedele al giuramento fatto, distrusse il suo
battello e raggiunse Portoferraio portando con sé i documenti della sua
amministrazione e la bandiera, ma una bomba di Stuka lo inchiodò alla banchina.
Era appena ventiduenne.
Luigi Rizzo fu imprigionato dai
tedeschi e condotto, a
Klagenfurt dove rimase quattro mesi in un carcere, poi fu inviato in un campo
di concentramento (dove lo seguì spontaneamente anche la figlia), a Hirschegg,
vicino al lago di Costanza. Qui ebbe come compagni di reclusione Nitti,
Carmine Senise, l'attuale alto commissario francese in Germania e le duchesse
d'Aosta, Irene di Grecia e Anna di Francia. Liberato dalle truppe francesi del
generale De Tassigny, nell'agosto del 1945 poté tornare in Italia e abbracciare
i suoi, ma rimase scosso dal marasma postbellico e dalla fredda accoglienza
riservatagli e dovette subire, anche un processo di epurazione, pur
uscendone completamente discriminato. Dopo la gloria, le decorazioni, gli onori
e le esaltazioni, l'ultimo decennio di vita italiana aveva gettato su di lui
un velo di oblio e di misconoscenza, provocandogli disillusioni e la perdita di
quasi tutti i suoi amici.
Oggi Luigi
Rizzo è tornato definitivamente alla sua terra, alla sua gente, alla sua
Milazzo con gli onori dovuti ad un grande soldato, portato a braccia, e
vegliato dai suoi soldati e dai suoi compaesani, seguito
nell'ultimo viaggio se non da tutto un popolo, come sarebbe stato in altri
tempi, almeno dalle lacrime e dai pensieri della generazione più vecchia.
Giorgio
Salvioni
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