NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 10 giugno 2021

Prima di affrontare il chirurgo scandì lentamente : "Viva il Re!"

Tutti riportano e danno per certa la notizia che Luigi Rizzo fosse repubblicano. Il che non cambierebbe di una virgola la venerazione che abbiamo per la sua memorie.
Ma ci è tornato in mente un articolo letto, nel quale ci siamo imbattuti nella nostra caccia costante a qualsiasi cosa ricordi la nostra Monarchia.
Questo articolo è preso dal settimanale OGGI 12 Luglio 1951. 
Magari, vista la repubblica, l'Ammiraglio Rizzo, aveva cambiato idea. 
Lo staff

 

Luigi Rizzo, il popolare eroe della prima guerra mondiale, morto a Roma il 27 giugno scorso. L'ammiraglio Rizzo era nato a Milazzo nel 1887 ed era figlio di un vecchio lupo di mare. Quattro medaglie d'argento e due medaglie d'oro premiarono una serie di sue audacissime imprese culminate negli affondamenti delle corazzate austriache "Wien" e "Santo Stefano" e nella celebre "Beffa di Buccari". Dopo la guerra era stato fatto conte di Grado. Qui Rizzo è ad Ancona, nel 1918, al tempo del siluramento della "Santo Stefano".

Soltanto due mesi fa l'ammiraglio Luigi Rizzo si presentò al prof. Paolucci (un tempo suo compagno d'arme al comando di un "Mas"), per via di "una piccola banale lesione" al polmone, a chiedere "un piccolo intervento". La lesione non era né piccola, né banale, ma nonostante la sua età avanzata era necessario operare. L'attenzione particolare dei figli e dei parenti insospettì il vecchio ammiraglio che comprese il suo vero stato, ma non indietreggiò. Prima di scendere in sala operatoria volle inviare un saluto telegrafico ai suoi pochissimi amici intimi e al nipotino Francesco di due anni, figlio della figlia che vive a Milazzo, al quale era particolarmente affezionato. Prima di prendere l'anestesia chiese del prof. Paolucci e, come vecchio marinaio nel momento supremo di andare all'attacco, gli disse piano, scandendo le sillabe: “ Viva il Re! “.

L'organo colpito fu asportato; seguirono giorni tempestosi, ma poi lentamente Luigi Rizzo cominciò a migliorare, verso una nuova vita.  È come rientrare da una delle mie azioni, confessò. L'ammiraglio Vittorio Türr entrò una mattina nella sua stanzetta di Villa Margherita per recargli un abbraccio e un messaggio giunto espressamente per lui da Cascais. Rizzo non poté irrigidirsi sull'attenti, ma ascoltò con gli occhi umidi di commozione e un nodo in gola l'augusta comunicazione.

LE PRIME IMPRESE

Nei giorni che seguirono migliorò e poté anche alzarsi e passeggiare. Il male sembrava completamente debellato quando una improvvisa sonnolenza fece capire che lo stesso male stava facendosi strada anche nel cervello. Ogni intervento questa volta fu impossibile e in pochissimi giorni il vecchio ammiraglio se n'è andato, dormendo, quasi senza accorgersene.

Figlio di un vecchio lupo di mare, con un nonno che si era arruolato nel '48 tra I militi della Patria risorgente e con uno zio che a soli 17 anni aveva seguito Garibaldi e I Mille dopo lo sbarco di Messina, Luigi Rizzo era nato a Milazzo sessantaquattro anni or sono. Aveva la passione del mare che il padre incoraggiò in lui fin dalla tenera età, tanto che a soli otto anni a bordo era come di casa, e a diciotto conseguiva la licenza d'onore all'Istituto Nautico di Messina. Navigò con il padre e il fratello maggiore, dividendo con gli altri marinai le fatiche e la disciplina di bordo, i pasti e i turni di guardia. Diventò presto un esperto ufficiale della marina mercantile, poi passò a Sulina, in Romania, alle dipendenze della Commissione del Danubio dove, nella sua qualità di capitano e pilota, svolse un'attività encomiabile, tenendo alto il nome e il prestigio del Paese. In quest'epoca compì anche il primo atto di valore, riuscendo a salvare un piroscafo in balia della tempesta, nonostante quel tentativo fosse stato definito vano e pazzesco da altri ufficiali. Il governo romeno ne onorò l'audacia e la generosità decretandogli una medaglia al valore che doveva essere la prima di una lunga serie di decorazioni.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Luigi Rizzo tornò in Italia per offrire i suoi servizi alla R. Marina e, dopo una destinazione di alcuni mesi in un centro di addestramento reclute, venne trasferito, nel secondo semestre del 1915, in zona d'operazioni, alla difesa marittima di Grado, tenente di vascello di complemento con incarico di aiutante maggiore in prima del Comando. Lii girata agli inizi della guerra, Grado era stata sistemata come difesa marittima sull'estrema ala destra della III armata e dominava interamente il golfo di Trieste dal quale per ventinove mesi, fino a Caporetto, la nostra marina tenne lontano il nemico. Nel febbraio del 1916 il comando della piazza venne assunto dal capitano di fregata Alfredo Dentice di Frasso che amava l'azione, viveva la vita di guerra dei suoi ufficiali ed ebbe in Luigi Rizzo il suo più fedele ed abile aiutante.

Quando nel corso di una violenta mareggiata invernale una grossa torpedine austriaca si arenò sulla spiaggia, il comandante stesso volle tentare l'impresa del disinnesco aiutato dal fido Rizzo che, dopo tale prova di sangue freddo, ricevette una medaglia d'argento e venne nominato comandante della sezione "Mas" di Grado. Antiburocratico per eccellenza, inadatto per il lavoro d'ufficio, nato per l'audacia e per l'azione, Rizzo si identificò con il significativo motto "Memento Audere Semper", che dava il nome alle più piccole navi della nostra marina. A quarantotto ore dalla nomina aveva già compiuto una prima impresa, da lui definita "di assaggio", alle dighe del Vallone di Muggia. Da allora le incursioni notturne nel golfo di Trieste del "corsaro" di Milazzo, furono innumerevoli e fruttuose.

"WIEN" E "SANTO STEFANO"

Ritto a prora, sempre irrequieto e con lo sguardo mobile che scrutava intorno, bruno, irsuto, con una giubba di cuoio di colore indefinito, con un caschetto in testa da cui solo barba e baffi apparivano, con una perenne malizia negli occhi nerissimi e un mite sorriso sulle labbra, inflessibile con i suoi marinai, di poche parole ma di molta iniziativa, Luigi Rizzo andava a caccia di navi avversarie e ci si buttava contro a testa bassa come un toro.

Da un'azione contro una squadriglia di quattro torpediniere austro-ungariche tornò particolarmente di buon umore, per avere in­flitto notevoli danni all'avversario, senza alcuna perdita propria e per aver catturato un magnifico den­tice, ucciso da una bomba caduta a fianco del suo "Mas" e mandato a bordo con la colonna d'acqua. Il pesce venne infiocchettato con un nastro tricolore e offerto al duca d'Aosta.

Nel maggio del 1917 Rizzo ot­tenne una seconda medaglia d'ar­gento per essersi trattenuto sotto il fuoco di batterie e aerei nemici mentre stava effettuando la cattura di alcuni aviatori austriaci. Nel­l'autunno dello stesso anno andò più volte in ricognizione con i suoi "gusci di noce" sulle dighe del por­to di Trieste per preparare l'au­dace impresa da lui poi compiuta nella notte tra il 9 e il 10 dicembre, coronata dal siluramento e affon­damento della corazzata Wien. L'ammiraglio Thaon di Revel, ca­po di stato maggiore della marina, ideatore dei "Mas-; gli aveva spon­taneamente promesso la promozione a capitano di corvetta in caso di successo; Rizzo ottenne con essa anche la sua prima medaglia d'oro e un permesso per andare a godere la luna di miele con la giovane mo­glie, sposata cinque settimane pri­ma, ma abbandonata poche ore dopo per adempiere il suo dovere di soldato.

Dopo l'abbandono di Grado in seguito alla ritirata di Caporetto, Rizzo continuò la sua attività sui "Mas" e condusse la sua squadri­glia attraverso i canali navigabili della laguna veneta, per arrestare le pattuglie dell'esercito nemico di­lagante verso il Tagliamento e il Piave, meritandosi per tali azioni una terza medaglia d'argento.

La successiva impresa alla quale partecipò con Costanzo Ciano fu la "Beffa di Buccari", ideata da Ga­briele D'Annunzio. La notte del 17 febbraio del 1918 tre "gusci di no­ce", con un manipolo di coraggiosi, dopo quattro ore di navigazione riu­scirono a penetrare nello stretto di Buccari. “ Che brava gente questi austriaci“, sussurrò Rizzo al poeta, vedendo che nessuna sentinella si era accorta di loro. Poi lanciarono i siluri contro il piroscafo più gros­so e, posate delle bottiglie nell'ac­qua con grandi coccarde spiegate alla 'brezza del primo mattino, fila­rono via verso i porti amici. L'impresa rimase una delle più audaci e Rizzo guadagnò la quarta meda­glia d'argento.

 

PRIGIONIERO DEI TEDESCHI.

Passato quindi ad Ancona. ebbe l'incarico di organizzare una squa­driglia di "Mas" destinata ad opera­re nelle isole dalmate. Era il giu­gno del 1918 e il nemico preparava la grande offensiva sul Piave. Il mattino del 10 giugno Rizzo eb­be la sua grande occasione: pres­so Premuda marciavano due grosse navi di linea nemiche, circon­date da sette torpediniere di scorta. Rizzo puntò senza esitazione sul­la sagoma più grossa. I "Mas" par­tirono all'attacco, tranquilli, senza aumentare di velocità perché se l'azione poteva essere risolta più presto, la schiuma a prua poteva rivelare la loro presenza. Era l'alba, il nemico era stanco e Rizzo, da buon marinaio, lo sapeva: dopo la tensione continua della notte, la luce mattutina porta ad ogni navi­gante un senso di sicurezza e un bisogno di riposo. Per questa favo­revole circostanza gli spericolati battelli poterono giungere a distan­za ravvicinatissima dalla nave più grossa, lanciando simultaneamente i loro siluri. Due alte colonne di fumo e acqua si alzarono dal cen­tro della nave colpita, poi seguì l'in­ferno, dal quale però i due "Mas" uscirono incolumi, mentre la Santo Stefano, una corazzata di ventimila tonnellate, armata di quaranta boc­che da fuoco e di quattro tubi lanciasiluri, vanto della tecnica navale austro-ungarica, lentamente si inclinava, si capovolgeva e scompa­riva in un gorgo pauroso. Una se­conda medaglia d'oro venne a pre­miare l'audace affondatore.

Finite le ostilità, Luigi Rizzo ac­corse a Fiume al richiamo di Ga­briele D'Annunzio e affiancò animo­samente l'opera dei legionari. La pace lo trovò in piena operosità marinara, dapprima a Trieste, dove organizzò l'ufficio difesa marittima, poi a Genova. Promosso capitano di fregata per merito di guerra chiese nel 1920 di essere dispensato dal servizio attivo: nel 1925 divenne capitano di vascello. Nel giugno del 1926 Trieste gli decretò gli onori del trionfo intitolando al suo nome la grande diga del Vallone di Mug­gia. L'anno seguente, nel decimo anniversario dell'affondamento del­la Wien, alle 2,32 di notte venne deposta sulla diga una corona di quercia con nastri azzurri. Nel 1932, con sovrano motu proprio fu nomi­nato contrammiraglio, gli venne conferito il titolo trasmissibile di conte di Grado e in una simbolica caratteristica cerimonia gli furono consegnate le chiavi della città che da secoli non erano state offerte a nessuno.

Allo scoppio della guerra abissi­na Rizzo si offre come volontario e, nel 1936, è nominato ammiraglio di divisione per meriti eccezionali; nello stesso anno è chiamato alla presidenza del Lloyd Triestino. Conduce una vita serena, accanto alla sua dolce compagna e ai figli Giacomo, Guglielmina e Giorgio. Almeno due mesi ogni estate tor­nava alla sua Milazzo, ai suoi con­tadini che lo accompagnavano vo­lentieri a pesca, sua grande pas­sione dopo i "Mas".

Il 10 giugno 1940 l'eroe di Buccari rientra in servizio e prende il comando della caccia antisommer­gibile, ma cominciano le sue disillusioni finché riesce a farsi esonerare da quell'incarico per la consta tata mancanza di mezzi. L'8 settembre 1943 lo trova alla presidenza dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico e poiché egli è un soldato fedele al suo sovrano, affonderà le navi mercantili •Duilio e Giulio Ce­sare piuttosto che consegnarle ai tedeschi. Alla sua scuola aveva cre­sciuto i figli e in particolare Gior­gio, già comandante di una squa­driglia "Mas" a Rocca di Magra. Anche lui rimase fedele al giura­mento fatto, distrusse il suo battel­lo e raggiunse Portoferraio por­tando con sé i documenti della sua amministrazione e la bandiera, ma una bomba di Stuka lo inchiodò alla banchina. Era appena venti­duenne.

Luigi Rizzo fu imprigionato dai tedeschi e condotto, a Klagenfurt dove rimase quattro mesi in un carcere, poi fu inviato in un campo di concentramento (dove lo seguì spontaneamente anche la figlia), a Hirschegg, vicino al lago di Costan­za. Qui ebbe come compagni di re­clusione Nitti, Carmine Senise, l'at­tuale alto commissario francese in Germania e le duchesse d'Aosta, Irene di Grecia e Anna di Francia. Liberato dalle truppe francesi del generale De Tassigny, nell'agosto del 1945 poté tornare in Italia e abbracciare i suoi, ma rimase scos­so dal marasma postbellico e dalla fredda accoglienza riservatagli e dovette subire, anche un processo di epurazione, pur uscendone com­pletamente discriminato. Dopo la gloria, le decorazioni, gli onori e le esaltazioni, l'ultimo decennio di vi­ta italiana aveva gettato su di lui un velo di oblio e di misconoscenza, provocandogli disillusioni e la perdita di quasi tutti i suoi amici.

Oggi Luigi Rizzo è tornato defi­nitivamente alla sua terra, alla sua gente, alla sua Milazzo con gli ono­ri dovuti ad un grande soldato, portato a braccia, e vegliato dai suoi soldati e dai suoi compaesani, seguito nell'ultimo viaggio se non da tutto un popolo, come sarebbe stato in altri tempi, almeno dalle lacrime e dai pensieri della gene­razione più vecchia.

Giorgio Salvioni


Nessun commento:

Posta un commento