NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 10 giugno 2021

10 Giugno dal Sito della Marina Militare

Una grande battaglia vinta, che cambia definitivamente il corso della Prima Guerra Mondiale a favore dell’Italia e dà grande prestigio alla Marina

9 giugno 2020 Giosué Allegrini





Primavera del 1918, le sorti della guerra italiana sono in bilico. Dopo due anni di attacchi frontali gli austriaci hanno chiamato in aiuto i tedeschi: sono seguiti, nell’ordine, la sconfitta di Caporetto e i successi difensivi italiani del Piave e del Monte Grappa. Ora la situazione è di stallo.

Il 1º marzo 1918 il giovane Ammiraglio Horthy ha assunto il comando della Imperial-Regia Marina austro-ungarica.

Il capo di Stato Maggiore della nostra Marina, ammiraglio Paolo Thaon di Revel, conoscendo la mentalità e i precedenti dell’avversario, segue tale nomina con grande interesse, giudicando come probabile e imminente un cambio di atteggiamento e prevedendo che alla usuale prudenza del nemico seguirà probabilmente un colpo di testa. Il motivo è chiaro: Vienna è alla fame, peggio ancora di Berlino. La Russia si è arresa, ma non c’è modo di portare il suo grano e il suo petrolio oltre il Danubio, a causa del controllo del Mediterraneo esercitato dall’Italia e dai suoi alleati. Quanto al morale dei marinai asburgici è sotto i tacchi.

Gli austriaci pianificano così una spettacolare incursione contro il dispositivo mobile di sbarramento del canale d’Otranto, messo in atto dalla Marina italiana con la collaborazione degli anglo-francesi sin dall’inizio della guerra. Gli asburgici prevedono di poter sorprendere gli italiani, ottenendo un successo da rivendere, nella propaganda, come una seconda Lissa. Siamo alla vigilia dell’offensiva sul Piave, e nell’intento del nemico una sconfitta navale italiana avrebbe avuto pesanti conseguenze morali sullo spirito di resistenza dell’intero Paese.



Nella prospettiva di un’azione nemica, l’ammiraglio Thaon di Revel emana un sintetico dispaccio, preavvisando i comandi della Marina che la linea di condotta degli austro-ungarici potrebbe essere tale da esporre “…a delle imprudenze delle quali dobbiamo essere pronti ad approfittare… si approfitterà di ogni mossa nemica per attaccare coi sommergibili, cacciatorpediniere, torpediniere e M.A.S.”

La sera del 9 giugno 1918, il Capitano di Corvetta Luigi Rizzo, già affondatore, a dicembre, della corazzata austriaca Wien, riceve l’ordine di uscire in mare con una sezione di MAS, il 15 e il 21. Si tratta del “solito incarico: esplorazione, agguato e ricerca mine”. Mentre le piccole unità italiane muovono verso la zona di pattugliamento, a loro insaputa la flotta imperiale è uscita in forze dal porto di Pola, dirigendo verso sud. Si tratta di ben 45 unità, tra le quali tutte le navi da battaglia disponibili.

 

Mentre la Szent Istvan, agonizzante, affonda, i MAS 15 e 21 vittoriosi rientrano nel porto di Ancona. Il Semaforo di Monte Cappuccini, appena avvistati, viste le grandi bandiere issate sui MAS intuì la vittoria e ne diede notizia al Comando Marina di Ancona con il famoso telegramma, vibrante di entusiasmo: “Miglia 15 N–NE, due motoscafi scarichi di siluri ma carichi di onore e gloria dirigono in porto”.

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L’azione di Premuda, per le sue conseguenze militari e politiche, equivale ad una grande battaglia vinta, che cambia definitivamente il corso della Prima Guerra Mondiale a favore dell’Italia e dà grande prestigio alla Marina che, dal 1939 in poi, in ricordo di quell’evento, celebra la sua Giornata il 10 giugno. 

A riconoscimento dell’eroismo dimostrato in azione, il Comandante Luigi Rizzo “di Premuda” viene proposto per una seconda medaglia d’oro al valor militare, dopo quella già tributata per l’affondamento della corazzata Wien. E’ un fatto senza precedenti. Oltretutto, fanno notare a corte, quell’Ufficiale è di sentimenti repubblicani. “Lo è anche il compositore Mario, il quale ha scritto la canzone del Piave. Buoni patrioti”, replicherà Vittorio Emanuele III firmando, serenamente, il decreto.


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