NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 8 dicembre 2022

L’anniversario della morte della Regina Elena. seconda parte


 di Emilio Del Bel Belluz 



Sono passati settant’ anni dalla morte in esilio della Regina del Montenegro, moglie del Re Vittorio Emanuele III, pure lui morto in terra straniera il 28 dicembre del 1947. La regina degli italiani chiuse la sua esistenza terrena il 28 novembre 1952, a Montpellier, in Francia. Anche in terra straniera continuò a prodigarsi per i poveri, le persone sofferenti, i disagiati e per tutti quelli che erano considerati gli ultimi e, pertanto, rifiutati dalla società del tempo. La mamma degli italiani, la mamma della carità aveva sempre avuto nel cuore il bene dell’umanità. Si considerava prima di tutto una mamma e poi una regina che aveva vissuto in Italia a fianco dell’uomo che aveva conosciuto nel 1896 alla mostra di Venezia e che subito ne era stata colpita. Lo stesso principe Vittorio Emanuele III, vedendola ne rimase attratto non solo dalla sua bellezza, ma anche dalla sua dolcezza, perché Elena oltre ad essere una bella donna, alta, aveva un viso e dei modi di fare dolci. La buona Elena era nata l’otto gennaio del 1873 a Cettigne in Montenegro, figlia del Re Nicola I, era stata abituata ad essere una persona di buona educazione, anche se il Regno del Montenegro allora era un piccolo stato con una economia piuttosto povera. La gente viveva di pastorizia ed era famosa per la produzione di fichi. La buona Elena proveniva da una famiglia numerosa, aveva altri undici fratelli. L’ambiente famigliare era molto legato alla tradizione e si godeva di una buona unione. Elena nutriva un grande amore verso i genitori e i fratelli. In famiglia ci si aiutava tutti, e c’era quella armonia difficile da trovare ai nostri tempi. La fortuna della sua famiglia era quella di essere benvoluta dallo Zar di Russia Alessandro III, che era padrino di Elena e che diceva sempre che il suo impero era formato dalla grande Russia e da un paese di trecentocinquantamila abitanti che era il Montenegro. La fortuna della famiglia consisteva nel fatto che godendo dell’amicizia dello Zar Alessandro III, la giovane Elena poté andare a studiare in Russia in un collegio dove vi si formavano le giovani delle più alto locate famiglie nobili di Russia. In quell’ ambiente la principessa Elena ebbe modo di studiare e di coltivare le sue passioni che erano la poesia e l’arte del disegno. Le sue poesie le pubblicava in una rivista letteraria russa con lo pseudonimo di “Farfalla azzurra”. In quel clima il suo cuore conobbe anche quella innata bontà che di solito si colloca nei migliori cuori, e non tutti possono avere la fortuna di nascere nobili oltre per casata ma anche per amore verso il prossimo. La sua anima pura era di grande orgoglio per la famiglia, ma nessuno avrebbe mai pensato che la principessa dal cuore buono avrebbe trovato il suo principe azzurro, che se ne parla solo nelle favole. Questo alla fine fu quello che le accadde, aver visto il principe solo due volte e poi la sua vita cambiò. La principessa scriveva: “Quando dal mio terrazzo scorgo il mare fondersi nella nebbia, che avvolge in un fitto velo le montagne e corre veloce e le fa sembrare qua e là a dei castelli incantati che sorgono dalle acque io penso a te, Venezia. Nei miei sogni di fanciulla io ti vedo città e poesia, dell’amore, e dei sentimenti, mi sento tua figlia, mi sento di amarti come una seconda madre”. Questa poesia forse nasceva dal fatto che proprio a Venezia aveva conosciuto il suo principe azzurro, e non era una cosa accaduta senza l’aiuto esterno di un politico italiano. Quel sogno si trasformò in un grande amore che durò tutta la vita, l’amore per il suo caro marito che le fece scegliere di professare la religione cattolica. Il principe era andato a prendere la sua sposa partendo da Napoli con il panfilo “Gaiola”, e dopo quattro giorni di navigazione arrivò ad Antivari.  Durante il banchetto in suo onore, il principe Danilo volle leggere alcuni versi della sorella Elena che stava per lasciare il paese per venire in Italia: “Disse la madre alla giovinetta: Se vuoi sapere com’è fatto il mondo, tieni sempre aperti gli occhi. Vide le belle montagne, vide le meravigliose vallate, vide lo splendore dorato del sole, le stelle lucenti, i flutti cupi del mare, le onde spumanti dei torrenti, i variopinti fiori dei campi e dei giardini, le fastose piume degli uccelli, i covoni delle messi oramai mature. Poi chiuse gli occhi, e solo allora vide ciò che vi ha di più bello; vide l’immagine di colui che aveva un trono nell’anima sua. Egli è venuto dal mare; è biondo come sua madre; come sua madre è pieno di grazia e ha nobile sguardo”. Questi versi di Elena esprimevano il suo amore per il principe. Il loro matrimonio fu una cerimonia semplice, senza teste coronate, perché i tempi erano difficili a causa della sconfitta di Adua. Davanti a sé non si prospettava un mondo pieno di rose, nel suo cuore sentiva le parole del padre che le diceva: “Non troverai la tua felicità sul trono, ma la incontrerai in famiglia, in un cantuccio della tua dimora”. La vita della coppia reale nei primi anni di matrimonio non fu allietata dalla nascita di figli. Questa preoccupazione non faceva dormire la regina Margherita che si aspettava di diventare nonna presto. A complicare le cose ci fu l’assassinio del Re Umberto I, ad opera nell’anarchico Bresci, il 29 luglio 1900. I principi si trovavano in crociera nello yacht Yela. Il principe e la consorte vennero subito avvertiti che il Re si trovava in gravi condizioni e fecero rientro in patria. Fu la regina Margherita che coraggiosamente disse che il Re era morto. Quello che accadde quando il principe Vittorio Emanuele incontrò la madre fu molto commovente. La donna gli buttò le braccia al collo, come una madre che cerca di consolare il figlio dalla morte del padre. La regina in quell’abbraccio trasferiva la sua forza a un figlio che ora sarebbe succeduto al padre. La regina Elena ebbe un grande ruolo nei mesi e negli anni che seguirono, nei momenti difficili e drammatici fu davvero valorosa. Penso al terribile terremoto che colpi Messina, dove ci furono migliaia di vittime. La regina accorse assieme al suo consorte per organizzare i soccorsi. Appena giunse la notizia del disastro, portarono i figli dalla nonna e partirono con un treno speciale carico di pompieri e di infermieri e a Napoli si imbarcarono nella nave “Vittorio Emanuele “e arrivarono a Messina. Un biografo scrisse: “Vestiva un semplice abito scuro: portava un berretto alla marinara, nessuno l’avrebbe presa per la Regina d’Italia. Sembrava un’infermiera, una suora di carità: il suo volto pallido e contratto dal dolore e dalla pietà si atteggiava a un dolce sorriso per confortare le centinaia di feriti ai quali volle con le sue mani prodigare le sue cure. In un momento d’emergenza, salì a bordo dell’incrociatore russo “Salvia”, giunto nel porto di Messina in quei giorni. Al comandante che, legato agli ordini di rotta, non poteva assumere iniziative personali, ella disse in russo: “Non è la Regina d’Italia, e nemmeno la principessa del Montenegro che vi parla, è una donna che vi chiede in nome dell’umanità di trasportare questi feriti a Napoli, salvandone un gran numero”. Quelli che si recano a Messina possono vedere una grande statua che si staglia e che fu dedicata nel 1962 alla Regina Elena, a riconoscenza del suo aiuto nel tragico terremoto del 28 dicembre 1908. Ci furono anche delle obiezioni da parte di alcuni contrari alla figura della sovrana; allora prese la penna in mano un grande scrittore come Giovannino Guareschi che difese la scelta di dedicare quel luogo al ricordo di una donna coraggiosa, di un cuore nobile, che si prodigò nella sua vita solo per il bene. Una delle date che la segnarono fu il 14 marzo 1912 quando si trovava in carrozza per andare alla messa in suffragio del Re Umberto I. Lungo il tragitto l’anarchico Giovanni D’Alba scaricò la sua rivoltella contro i reali. Elena riuscendo a capire che l’uomo voleva assassinare il Re, gli fece scudo con il suo corpo. I due reali rimasero incolumi, Il buon Dio li aveva protetti. Il gesto della sovrana di salvare il re rimase come esempio di grande generosità. Dopo l’attentato vi è un episodio che merita di essere raccontato per comprendere il carattere e l’animo della Regina. L’animo di madre ancora una volta trionfa, Elena fece visita alla madre dell’attentatore che era stato condotto in carcere, portandole degli aiuti alimentari e del denaro. Quel gesto di sicuro l’aveva fatto pensando allo stato d’animo della madre del giovane attentatore: una grande solitudine unita alla disperazione. Visitando quella donna dava l’ennesima dimostrazione di come un cristiano si comporta. Quando scoppiò la Grande Guerra la regina non ebbe nessun dubbio e trasformò il Quirinale in un ospedale, dove ebbero spazio i feriti più gravi che tornavano dal fronte. La stessa Regina Elena, come già aveva fatto a Messina, passava le sue giornate ad aiutare i medici nelle cure dei soldati sentendosi in un certo modo come una mamma. In quei terribili momenti della guerra strinse migliaia di mani di soldati morenti e pregando con loro. Si comportava come aveva fatto successivamente Madre Teresa di Calcutta che stringeva la mano a coloro che si cingevano a lasciare questa vita. Quei quattro anni di guerra furono drammatici per tutto il mondo, ma la Sovrana continuò sempre a visitare e curare i malati, infondendo loro una grande speranza. Una volta giunse all’ospedale di Asiago per visitare i soldati feriti e vide una stanza con la porta chiusa; ne chiese il motivo e Le fu risposto che all’interno vi era un soldato grave che stava morendo di cancrena. Nessuno resisteva in quella stanza fetida. Era un soldato abruzzese, la Regina volle vederlo e si sedette vicino al malato che la riconobbe e le sorrise. La regina d’Italia in quel momento fu per lui come una madre amorevole che vedendo il proprio figlio nel dolore, gli volle stare assieme, e la Regina gli fece compagnia mentre questi le raccontava della sua famiglia che viveva sperduta tra i monti e le valli d’Abruzzo. Una donna instancabile, che durante i periodi molto complicati della vita italiana, aveva aperto una mensa in Quirinale per i poveri che avrebbero trovato ogni giorno un piatto caldo, del pane e del formaggio. In quel posto aveva pure allestito un magazzino che conteneva l’abbigliamento per far fronte alle tante richieste di persone che bussavano alla sua porta. Rispondeva inoltre alle migliaia di lettere che riceveva di persone che chiedevano aiuto e cercava di soddisfare in qualche modo alle loro esigenze. Il suo impegno verso i poveri era senza limiti. Per fare della beneficenza aveva escogitato di vendere la sua fotografia con dedica in tanti posti d’Italia. Nel mondo della nobiltà aveva arruolato molte donne di alto rango che le fornivano il vestiario che poi devolveva ai bisognosi. Si dice che non ci fosse donna capace di dire di no alle sue richieste. Una volta andò a visitare a sorpresa un collegio dove venivano ospitati i figli dei detenuti, e quando suonò alla porta, la suora che aprì rimase basita perché aveva davanti la Regina d’Italia. In quel collegio si accorse che non erano ancora state fatte le pulizie e la Regina si fece portare l’occorrente per fare lei stessa i lavori. Dopo aver finito volle giocare con loro. Quando se ne fu andata, facendo le raccomandazioni dovute alle suore, fece arrivare in quel collegio dei doni e delle scope nuove oltre ad altro occorrente per le pulizie. Questa era la Regina Elena, una donna che non pensava da sovrana, ma il suo era un agire dettato dalle condizioni del momento, perché quello che contava era fare il bene delle persone bisognose, perché alla fine lei si sentiva una di loro. Mussolini riferendosi alla sovrana aveva detto che con Lei si poteva parlare solo su come risolvere le problematiche sociali e che era una donna che non si spostava dalla sua rotta che misurava il suo tempo dal bene che riusciva a fare.

 

Nel 1937 ricevette la Rosa d’oro della Cristianità da parte del papa Pio XI, che riconobbe in Lei la donna della carità. “Si era dedicata alla cura dell’encefalite letargica, per la quale volle far venire dai Balcani, una speciale erba ritenuta salutare. Questa sua passione le fece conferire l’Ordine Supremo della Croce Rossa Tedesca nel 1937, ed a guerra iniziata, nel 1941, le verrà conferita una laurea “ad honorem “in medicina, dall’Università di Roma. Amò anche indossare spesso il camice ed assistere ad operazioni chirurgiche”. (Historia –Guido Pietriccione)

 

Nel corso della seconda guerra mondiale cercò in tutti i modi di fermare la guerra. Scrisse pure una lettera alle mogli dei sei sovrani ancora neutrali, chiedendo loro di intervenire per la pace. Il dramma della guerra colpì ancora una volta la sua vita. Uno dei capitoli più difficili fu la perdita della figlia Mafalda, la sua secondogenita. Morì nella solitudine di un campo di concentramento, dove era stata richiusa da Hitler. La principessa Mafalda morì senza aver avuto la fortuna di poter rivedere i figli, e il marito che era lontano. La morte la colse il 28 agosto del 1944. Elena venne a sapere della scomparsa dell’adorata figlia solo un anno dopo. La Regina Elena non poté mai portare un fiore sulla tomba della figlia e questo fu un grande dispiacere. Alla Regina Elena non fu risparmiato nulla dalla vita, ogni tipo di dolore, ma ella con la sua forza seppe sempre superare, considerando ogni cosa come una prova che Dio le metteva davanti e che doveva accettare. Quando dovette salire su una nave assieme al marito Re Vittorio Emanuele III, e andare in Egitto ospite di Re Faruk, accettò questa sua sorte e ancora una volta sostenne le sue prove con il massimo impegno come sempre aveva fatto.” Il 12 maggio 1946 “Duca degli Abruzzi “entrava nel porto di Alessandria d’Egitto, pavesato a festa; 101 colpi di cannone salutarono l’arrivo di Elena e Vittorio in terra d’Egitto e re Faruk, ancora giovane, ancora snello, ancora trionfante di magnificenza orientale, era venuto a riceverli in persona “non come sovrani in esilio, ma come amici in visita”.

 

 Il mare ancora una volta era vicino a lei, una presenza che non l’abbandonava mai. Il Re Faruk che li ospitava fu davvero una persona straordinaria, gentile e dotato di un cuore d’oro. Nel mondo non è facile essere capiti e aiutati, quello che fece il sovrano d’Egitto Re Faruk non è facile da spiegare, uomo di grande umanità che trattò i Savoia come se fossero i suoi genitori. Aveva una grande simpatia per la Regina che sapeva essere donna di cuore. Nel momento della sventura molti fingono d’essere dispiaciuti, e non lo fanno con il cuore. La vita in Egitto fu quella di due persone che dovettero mutare le loro abitudini e dimenticarsi di come vivevano in patria. Quello che alla fine fece breccia nel cuore dei sovrani in esilio, fu la grande fede in Dio che non li avrebbe mai abbandonati. Il periodo più difficile fu quello del Santo Natale del 1947 in cui il Re si era dovuto mettere a letto, non si sentiva bene, gli anni non erano molti ma le battaglie che aveva fatto per il bene della sua patria erano davvero tante. Il dolore dell’esilio fu grande perché molti lo avevano dimenticato troppo presto. La sua morte è descritta molto bene nei libri. Fu un triste Natale quello del 1947, molto diverso da quelli che aveva passato fino ad ora in Italia, con la sua gente. Dicembre è il mese più magico dell’anno e per i cattolici è il mese della nascita del Salvatore che scende in terra per portare la pace, e la serenità. La morte del sovrano fu confortata dalla presenza della Regina Elena che gli era rimasta accanto sempre in tutti i momenti difficili, che non lo aveva mai lasciato solo, anche nelle decisioni importanti. Quel matrimonio benedetto da Dio nel lontano 1896, che aveva resistito alle tante burrasche e che ora continuava anche dopo la morte del re. Terribile il momento della sua morte, e irrefrenabile il pianto della Regina Elena. Nel cuore della stessa risuonavano le parole di conforto che le aveva detto al morente padre Ludovico Foschi che aveva impartito l’estrema unzione. Il Re teneva la propria mano in quella della sua amata Elena, la sovrana sentì attraverso la mano la morte che arrivava. Erano le 14.30 del 28 dicembre 1947. Al capezzale non era giunto in tempo il Re Umberto II, e questo era un segno del destino. I funerali vennero fatti in forma militare, la cassa fu posta su un fuso di cannone come si faceva per i personaggi. Un pezzo d’Italia lo pianse e il suo corpo fu sepolto in Egitto, in una tomba dove furono incisi il nome e cognome e la data di nascita e di morte. La sua esistenza si chiudeva in modo semplice, fu un uomo a cui nulla era stato risparmiato. I suoi meriti dopo l’avvento della repubblica furono cancellati, come si fa di solito per chiudere un periodo storico. In Italia molti dei suoi soldati che avevano combattuto erano ancora vivi e almeno loro lo ricordavano, per il suo coraggio e la determinazione su alcune scelte del Paese. Dopo la sua morte la Regina Elena, su insistenza dei figli e degli altri parenti, venne a vivere in Francia a Montpellier. La vita della Regina è stata spesso raccontata dalla gente italiana che viveva come lei lontana dal Paese, si trattava di italiani che lavoravano in Francia. Trascorreva i suoi giorni nell’aiutare coloro che abbisognavano di ogni cosa per vivere; diede fondo a tutti i suoi averi. Vedeva negli ultimi delle persone che potevano ancora migliorarsi, se aiutate e supportate da qualcuno. In poco tempo molti si accorsero di chi fosse davvero questa regina che vestiva in modo semplice e che passava in mezzo al dolore fermandosi a portare soccorso. Il mare era anche per lei il luogo dove si dedicava alla pesca, una sua grande passione e magari, immaginava il proprio figlio Umberto II, in esilio a Cascais che alla sera era intento ad ammirare il mare. Quando scrutava una nave pensava che fosse italiana e che lo riportasse in Patria. Il Sovrano non conosceva la parola odio che spesso veniva usata per diffamarlo. Il mare e i pescatori rappresentavano il suo mondo. La Regina Elena qualche anno dopo raggiunse il marito. Il suo ultimo pensiero lo rivolse alla famiglia e agli italiani, e a quella patria che l’aveva amata e onorata. Quando la morte la raggiunse il buon Dio ha raccolto il bene che ha fatto e le sofferenze che ha subito dalla vita. Quello che aveva fatto più male alla regina era di non poter rivedere l’Italia e abbracciare il suo popolo. Nessuna colpa le poteva essere attribuita: aveva sempre fatto il bene del Paese e quello di tanti bambini che non l’avrebbero dimenticata. Al suo funerale parteciparono cinquantamila francesi che avevano capito la sua grandezza e tanti italiani giunti da più parti d’Italia per darle l’ultimo saluto alla mamma d’Italia. Sono passati settant’ anni dalla sua morte e gli italiani attendono con impazienza che la Regina d’Italia, Rosa d’Oro della Cristianità nel 1937. e Serva di Dio dal 2001, possa essere fatta Beata. Questo sarebbe un riconoscimento ad una donna che Dio aveva creato per servire il popolo, non come Regina, ma come mamma che è il più grande titolo che una donna possa avere dalla vita. Per i settant’ anni dalla sua morte i giornali, eccetto rare eccezioni, non ne hanno parlato, ma a Motta di Livenza un grande artista ha dipinto un quadro che la ricorda, un’altra persona ha stampato un Santino che sul davanti riporta la foto della regina Elena vestita da crocerossina e sul retro è raffigurato S. Leopoldo Mandic’, anche lui proveniente dalla terra del Montenegro, una terra umile che ha dato i natali a due persone di grande umanità. Per l’anniversario della sua morte alcuni poeti Le hanno dedicato delle poesie. La dolcezza dei versi accompagna la sovrana Elena che amava pure lei scrivere delle poesie. Questi poeti sono: Omar Battiston, Monia Pin, e Antonella Montagner.


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