di Emilio Del Bel Belluz
Sono passati settant’ anni dalla
morte in esilio della Regina del Montenegro, moglie del Re Vittorio Emanuele
III, pure lui morto in terra straniera il 28 dicembre del 1947. La regina degli
italiani chiuse la sua esistenza terrena il 28 novembre 1952, a Montpellier, in
Francia. Anche in terra straniera continuò a prodigarsi per i poveri, le
persone sofferenti, i disagiati e per tutti quelli che erano considerati gli
ultimi e, pertanto, rifiutati dalla società del tempo. La mamma degli italiani,
la mamma della carità aveva sempre avuto nel cuore il bene dell’umanità. Si
considerava prima di tutto una mamma e poi una regina che aveva vissuto in
Italia a fianco dell’uomo che aveva conosciuto nel 1896 alla mostra di Venezia
e che subito ne era stata colpita. Lo stesso principe Vittorio Emanuele III,
vedendola ne rimase attratto non solo dalla sua bellezza, ma anche dalla sua
dolcezza, perché Elena oltre ad essere una bella donna, alta, aveva un viso e
dei modi di fare dolci. La buona Elena era nata l’otto gennaio del 1873 a
Cettigne in Montenegro, figlia del Re Nicola I, era stata abituata ad essere
una persona di buona educazione, anche se il Regno del Montenegro allora era un
piccolo stato con una economia piuttosto povera. La gente viveva di pastorizia
ed era famosa per la produzione di fichi. La buona Elena proveniva da una
famiglia numerosa, aveva altri undici fratelli. L’ambiente famigliare era molto
legato alla tradizione e si godeva di una buona unione. Elena nutriva un grande
amore verso i genitori e i fratelli. In famiglia ci si aiutava tutti, e c’era
quella armonia difficile da trovare ai nostri tempi. La fortuna della sua
famiglia era quella di essere benvoluta dallo Zar di Russia Alessandro III, che
era padrino di Elena e che diceva sempre che il suo impero era formato dalla
grande Russia e da un paese di trecentocinquantamila abitanti che era il
Montenegro. La fortuna della famiglia consisteva nel fatto che godendo
dell’amicizia dello Zar Alessandro III, la giovane Elena poté andare a studiare
in Russia in un collegio dove vi si formavano le giovani delle più alto locate
famiglie nobili di Russia. In quell’ ambiente la principessa Elena ebbe modo di
studiare e di coltivare le sue passioni che erano la poesia e l’arte del
disegno. Le sue poesie le pubblicava in una rivista letteraria russa con lo
pseudonimo di “Farfalla azzurra”. In quel clima il suo cuore conobbe anche
quella innata bontà che di solito si colloca nei migliori cuori, e non tutti
possono avere la fortuna di nascere nobili oltre per casata ma anche per amore
verso il prossimo. La sua anima pura era di grande orgoglio per la famiglia, ma
nessuno avrebbe mai pensato che la principessa dal cuore buono avrebbe trovato
il suo principe azzurro, che se ne parla solo nelle favole. Questo alla fine fu
quello che le accadde, aver visto il principe solo due volte e poi la sua vita
cambiò. La principessa scriveva: “Quando dal mio terrazzo scorgo il mare
fondersi nella nebbia, che avvolge in un fitto velo le montagne e corre veloce
e le fa sembrare qua e là a dei castelli incantati che sorgono dalle acque io
penso a te, Venezia. Nei miei sogni di fanciulla io ti vedo città e poesia,
dell’amore, e dei sentimenti, mi sento tua figlia, mi sento di amarti come una
seconda madre”. Questa poesia forse nasceva dal fatto che proprio a Venezia
aveva conosciuto il suo principe azzurro, e non era una cosa accaduta senza
l’aiuto esterno di un politico italiano. Quel sogno si trasformò in un grande
amore che durò tutta la vita, l’amore per il suo caro marito che le fece
scegliere di professare la religione cattolica. Il principe era andato a
prendere la sua sposa partendo da Napoli con il panfilo “Gaiola”, e dopo
quattro giorni di navigazione arrivò ad Antivari. Durante il banchetto in suo onore, il principe
Danilo volle leggere alcuni versi della sorella Elena che stava per lasciare il
paese per venire in Italia: “Disse la madre alla giovinetta: Se vuoi sapere
com’è fatto il mondo, tieni sempre aperti gli occhi. Vide le belle montagne,
vide le meravigliose vallate, vide lo splendore dorato del sole, le stelle
lucenti, i flutti cupi del mare, le onde spumanti dei torrenti, i variopinti
fiori dei campi e dei giardini, le fastose piume degli uccelli, i covoni delle
messi oramai mature. Poi chiuse gli occhi, e solo allora vide ciò che vi ha di
più bello; vide l’immagine di colui che aveva un trono nell’anima sua. Egli è
venuto dal mare; è biondo come sua madre; come sua madre è pieno di grazia e ha
nobile sguardo”. Questi versi di Elena esprimevano il suo amore per il
principe. Il loro matrimonio fu una cerimonia semplice, senza teste coronate,
perché i tempi erano difficili a causa della sconfitta di Adua. Davanti a sé
non si prospettava un mondo pieno di rose, nel suo cuore sentiva le parole del
padre che le diceva: “Non troverai la tua felicità sul trono, ma la incontrerai
in famiglia, in un cantuccio della tua dimora”. La vita della coppia reale nei
primi anni di matrimonio non fu allietata dalla nascita di figli. Questa
preoccupazione non faceva dormire la regina Margherita che si aspettava di
diventare nonna presto. A complicare le cose ci fu l’assassinio del Re Umberto
I, ad opera nell’anarchico Bresci, il 29 luglio 1900. I principi si trovavano
in crociera nello yacht Yela. Il principe e la consorte vennero subito
avvertiti che il Re si trovava in gravi condizioni e fecero rientro in patria.
Fu la regina Margherita che coraggiosamente disse che il Re era morto. Quello
che accadde quando il principe Vittorio Emanuele incontrò la madre fu molto
commovente. La donna gli buttò le braccia al collo, come una madre che cerca di
consolare il figlio dalla morte del padre. La regina in quell’abbraccio
trasferiva la sua forza a un figlio che ora sarebbe succeduto al padre. La
regina Elena ebbe un grande ruolo nei mesi e negli anni che seguirono, nei
momenti difficili e drammatici fu davvero valorosa. Penso al terribile
terremoto che colpi Messina, dove ci furono migliaia di vittime. La regina
accorse assieme al suo consorte per organizzare i soccorsi. Appena giunse la
notizia del disastro, portarono i figli dalla nonna e partirono con un treno
speciale carico di pompieri e di infermieri e a Napoli si imbarcarono nella
nave “Vittorio Emanuele “e arrivarono a Messina. Un biografo scrisse: “Vestiva
un semplice abito scuro: portava un berretto alla marinara, nessuno l’avrebbe
presa per la Regina d’Italia. Sembrava un’infermiera, una suora di carità: il
suo volto pallido e contratto dal dolore e dalla pietà si atteggiava a un dolce
sorriso per confortare le centinaia di feriti ai quali volle con le sue mani
prodigare le sue cure. In un momento d’emergenza, salì a bordo
dell’incrociatore russo “Salvia”, giunto nel porto di Messina in quei giorni.
Al comandante che, legato agli ordini di rotta, non poteva assumere iniziative
personali, ella disse in russo: “Non è la Regina d’Italia, e nemmeno la
principessa del Montenegro che vi parla, è una donna che vi chiede in nome
dell’umanità di trasportare questi feriti a Napoli, salvandone un gran numero”.
Quelli che si recano a Messina possono vedere una grande statua che si staglia
e che fu dedicata nel 1962 alla Regina Elena, a riconoscenza del suo aiuto nel
tragico terremoto del 28 dicembre 1908. Ci furono anche delle obiezioni da
parte di alcuni contrari alla figura della sovrana; allora prese la penna in
mano un grande scrittore come Giovannino Guareschi che difese la scelta di
dedicare quel luogo al ricordo di una donna coraggiosa, di un cuore nobile, che
si prodigò nella sua vita solo per il bene. Una delle date che la segnarono fu
il 14 marzo 1912 quando si trovava in carrozza per andare alla messa in
suffragio del Re Umberto I. Lungo il tragitto l’anarchico Giovanni D’Alba
scaricò la sua rivoltella contro i reali. Elena riuscendo a capire che l’uomo
voleva assassinare il Re, gli fece scudo con il suo corpo. I due reali rimasero
incolumi, Il buon Dio li aveva protetti. Il gesto della sovrana di salvare il
re rimase come esempio di grande generosità. Dopo l’attentato vi è un episodio
che merita di essere raccontato per comprendere il carattere e l’animo della
Regina. L’animo di madre ancora una volta trionfa, Elena fece visita alla madre
dell’attentatore che era stato condotto in carcere, portandole degli aiuti
alimentari e del denaro. Quel gesto di sicuro l’aveva fatto pensando allo stato
d’animo della madre del giovane attentatore: una grande solitudine unita alla
disperazione. Visitando quella donna dava l’ennesima dimostrazione di come un
cristiano si comporta. Quando scoppiò la Grande Guerra la regina non ebbe
nessun dubbio e trasformò il Quirinale in un ospedale, dove ebbero spazio i
feriti più gravi che tornavano dal fronte. La stessa Regina Elena, come già aveva
fatto a Messina, passava le sue giornate ad aiutare i medici nelle cure dei
soldati sentendosi in un certo modo come una mamma. In quei terribili momenti
della guerra strinse migliaia di mani di soldati morenti e pregando con loro. Si
comportava come aveva fatto successivamente Madre Teresa di Calcutta che
stringeva la mano a coloro che si cingevano a lasciare questa vita. Quei
quattro anni di guerra furono drammatici per tutto il mondo, ma la Sovrana
continuò sempre a visitare e curare i malati, infondendo loro una grande speranza.
Una volta giunse all’ospedale di Asiago per visitare i soldati feriti e vide
una stanza con la porta chiusa; ne chiese il motivo e Le fu risposto che
all’interno vi era un soldato grave che stava morendo di cancrena. Nessuno
resisteva in quella stanza fetida. Era un soldato abruzzese, la Regina volle
vederlo e si sedette vicino al malato che la riconobbe e le sorrise. La regina
d’Italia in quel momento fu per lui come una madre amorevole che vedendo il
proprio figlio nel dolore, gli volle stare assieme, e la Regina gli fece
compagnia mentre questi le raccontava della sua famiglia che viveva sperduta
tra i monti e le valli d’Abruzzo. Una donna instancabile, che durante i periodi
molto complicati della vita italiana, aveva aperto una mensa in Quirinale per i
poveri che avrebbero trovato ogni giorno un piatto caldo, del pane e del
formaggio. In quel posto aveva pure allestito un magazzino che conteneva
l’abbigliamento per far fronte alle tante richieste di persone che bussavano
alla sua porta. Rispondeva inoltre alle migliaia di lettere che riceveva di
persone che chiedevano aiuto e cercava di soddisfare in qualche modo alle loro
esigenze. Il suo impegno verso i poveri era senza limiti. Per fare della
beneficenza aveva escogitato di vendere la sua fotografia con dedica in tanti
posti d’Italia. Nel mondo della nobiltà aveva arruolato molte donne di alto
rango che le fornivano il vestiario che poi devolveva ai bisognosi. Si dice che
non ci fosse donna capace di dire di no alle sue richieste. Una volta andò a
visitare a sorpresa un collegio dove venivano ospitati i figli dei detenuti, e
quando suonò alla porta, la suora che aprì rimase basita perché aveva davanti
la Regina d’Italia. In quel collegio si accorse che non erano ancora state
fatte le pulizie e la Regina si fece portare l’occorrente per fare lei stessa i
lavori. Dopo aver finito volle giocare con loro. Quando se ne fu andata,
facendo le raccomandazioni dovute alle suore, fece arrivare in quel collegio
dei doni e delle scope nuove oltre ad altro occorrente per le pulizie. Questa
era la Regina Elena, una donna che non pensava da sovrana, ma il suo era un
agire dettato dalle condizioni del momento, perché quello che contava era fare
il bene delle persone bisognose, perché alla fine lei si sentiva una di loro.
Mussolini riferendosi alla sovrana aveva detto che con Lei si poteva parlare
solo su come risolvere le problematiche sociali e che era una donna che non si
spostava dalla sua rotta che misurava il suo tempo dal bene che riusciva a
fare.
Nel 1937 ricevette la Rosa
d’oro della Cristianità da parte del papa Pio XI, che riconobbe in Lei la donna
della carità. “Si era dedicata alla cura dell’encefalite letargica, per la
quale volle far venire dai Balcani, una speciale erba ritenuta salutare. Questa
sua passione le fece conferire l’Ordine Supremo della Croce Rossa Tedesca nel
1937, ed a guerra iniziata, nel 1941, le verrà conferita una laurea “ad honorem
“in medicina, dall’Università di Roma. Amò anche indossare spesso il camice ed
assistere ad operazioni chirurgiche”. (Historia –Guido Pietriccione)
Nel corso della seconda guerra
mondiale cercò in tutti i modi di fermare la guerra. Scrisse pure una lettera
alle mogli dei sei sovrani ancora neutrali, chiedendo loro di intervenire per
la pace. Il dramma della guerra colpì ancora una volta la sua vita. Uno dei
capitoli più difficili fu la perdita della figlia Mafalda, la sua
secondogenita. Morì nella solitudine di un campo di concentramento, dove era
stata richiusa da Hitler. La principessa Mafalda morì senza aver avuto la
fortuna di poter rivedere i figli, e il marito che era lontano. La morte la
colse il 28 agosto del 1944. Elena venne a sapere della scomparsa dell’adorata
figlia solo un anno dopo. La Regina Elena non poté mai portare un fiore sulla
tomba della figlia e questo fu un grande dispiacere. Alla Regina Elena non fu
risparmiato nulla dalla vita, ogni tipo di dolore, ma ella con la sua forza
seppe sempre superare, considerando ogni cosa come una prova che Dio le metteva
davanti e che doveva accettare. Quando dovette salire su una nave assieme al
marito Re Vittorio Emanuele III, e andare in Egitto ospite di Re Faruk, accettò
questa sua sorte e ancora una volta sostenne le sue prove con il massimo
impegno come sempre aveva fatto.” Il 12 maggio 1946 “Duca degli Abruzzi “entrava
nel porto di Alessandria d’Egitto, pavesato a festa; 101 colpi di cannone
salutarono l’arrivo di Elena e Vittorio in terra d’Egitto e re Faruk, ancora
giovane, ancora snello, ancora trionfante di magnificenza orientale, era venuto
a riceverli in persona “non come sovrani in esilio, ma come amici in visita”.
Il mare ancora una volta era vicino a lei, una
presenza che non l’abbandonava mai. Il Re Faruk che li ospitava fu davvero una
persona straordinaria, gentile e dotato di un cuore d’oro. Nel mondo non è
facile essere capiti e aiutati, quello che fece il sovrano d’Egitto Re Faruk
non è facile da spiegare, uomo di grande umanità che trattò i Savoia come se
fossero i suoi genitori. Aveva una grande simpatia per la Regina che sapeva
essere donna di cuore. Nel momento della sventura molti fingono d’essere
dispiaciuti, e non lo fanno con il cuore. La vita in Egitto fu quella di due
persone che dovettero mutare le loro abitudini e dimenticarsi di come vivevano
in patria. Quello che alla fine fece breccia nel cuore dei sovrani in esilio,
fu la grande fede in Dio che non li avrebbe mai abbandonati. Il periodo più
difficile fu quello del Santo Natale del 1947 in cui il Re si era dovuto
mettere a letto, non si sentiva bene, gli anni non erano molti ma le battaglie
che aveva fatto per il bene della sua patria erano davvero tante. Il dolore
dell’esilio fu grande perché molti lo avevano dimenticato troppo presto. La sua
morte è descritta molto bene nei libri. Fu un triste Natale quello del 1947,
molto diverso da quelli che aveva passato fino ad ora in Italia, con la sua
gente. Dicembre è il mese più magico dell’anno e per i cattolici è il mese
della nascita del Salvatore che scende in terra per portare la pace, e la
serenità. La morte del sovrano fu confortata dalla presenza della Regina Elena
che gli era rimasta accanto sempre in tutti i momenti difficili, che non lo
aveva mai lasciato solo, anche nelle decisioni importanti. Quel matrimonio
benedetto da Dio nel lontano 1896, che aveva resistito alle tante burrasche e
che ora continuava anche dopo la morte del re. Terribile il momento della sua
morte, e irrefrenabile il pianto della Regina Elena. Nel cuore della stessa
risuonavano le parole di conforto che le aveva detto al morente padre Ludovico
Foschi che aveva impartito l’estrema unzione. Il Re teneva la propria mano in
quella della sua amata Elena, la sovrana sentì attraverso la mano la morte che
arrivava. Erano le 14.30 del 28 dicembre 1947. Al capezzale non era giunto in
tempo il Re Umberto II, e questo era un segno del destino. I funerali vennero
fatti in forma militare, la cassa fu posta su un fuso di cannone come si faceva
per i personaggi. Un pezzo d’Italia lo pianse e il suo corpo fu sepolto in
Egitto, in una tomba dove furono incisi il nome e cognome e la data di nascita
e di morte. La sua esistenza si chiudeva in modo semplice, fu un uomo a cui
nulla era stato risparmiato. I suoi meriti dopo l’avvento della repubblica
furono cancellati, come si fa di solito per chiudere un periodo storico. In
Italia molti dei suoi soldati che avevano combattuto erano ancora vivi e almeno
loro lo ricordavano, per il suo coraggio e la determinazione su alcune scelte
del Paese. Dopo la sua morte la Regina Elena, su insistenza dei figli e degli
altri parenti, venne a vivere in Francia a Montpellier. La vita della Regina è
stata spesso raccontata dalla gente italiana che viveva come lei lontana dal
Paese, si trattava di italiani che lavoravano in Francia. Trascorreva i suoi
giorni nell’aiutare coloro che abbisognavano di ogni cosa per vivere; diede
fondo a tutti i suoi averi. Vedeva negli ultimi delle persone che potevano
ancora migliorarsi, se aiutate e supportate da qualcuno. In poco tempo molti si
accorsero di chi fosse davvero questa regina che vestiva in modo semplice e che
passava in mezzo al dolore fermandosi a portare soccorso. Il mare era anche per
lei il luogo dove si dedicava alla pesca, una sua grande passione e magari,
immaginava il proprio figlio Umberto II, in esilio a Cascais che alla sera era
intento ad ammirare il mare. Quando scrutava una nave pensava che fosse
italiana e che lo riportasse in Patria. Il Sovrano non conosceva la parola odio
che spesso veniva usata per diffamarlo. Il mare e i pescatori rappresentavano
il suo mondo. La Regina Elena qualche anno dopo raggiunse il marito. Il suo
ultimo pensiero lo rivolse alla famiglia e agli italiani, e a quella patria che
l’aveva amata e onorata. Quando la morte la raggiunse il buon Dio ha raccolto
il bene che ha fatto e le sofferenze che ha subito dalla vita. Quello che aveva
fatto più male alla regina era di non poter rivedere l’Italia e abbracciare il
suo popolo. Nessuna colpa le poteva essere attribuita: aveva sempre fatto il
bene del Paese e quello di tanti bambini che non l’avrebbero dimenticata. Al
suo funerale parteciparono cinquantamila francesi che avevano capito la sua
grandezza e tanti italiani giunti da più parti d’Italia per darle l’ultimo
saluto alla mamma d’Italia. Sono passati settant’ anni dalla sua morte e gli
italiani attendono con impazienza che la Regina d’Italia, Rosa d’Oro della
Cristianità nel 1937. e Serva di Dio dal 2001, possa essere fatta Beata. Questo
sarebbe un riconoscimento ad una donna che Dio aveva creato per servire il
popolo, non come Regina, ma come mamma che è il più grande titolo che una donna
possa avere dalla vita. Per i settant’ anni dalla sua morte i giornali, eccetto
rare eccezioni, non ne hanno parlato, ma a Motta di Livenza un grande artista
ha dipinto un quadro che la ricorda, un’altra persona ha stampato un Santino
che sul davanti riporta la foto della regina Elena vestita da crocerossina e
sul retro è raffigurato S. Leopoldo Mandic’, anche lui proveniente dalla terra
del Montenegro, una terra umile che ha dato i natali a due persone di grande
umanità. Per l’anniversario della sua morte alcuni poeti Le hanno dedicato
delle poesie. La dolcezza dei versi accompagna la sovrana Elena che amava pure
lei scrivere delle poesie. Questi poeti sono: Omar Battiston, Monia Pin, e
Antonella Montagner.
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