di Emilio Del Bel Belluz
La vita lungo il fiume
procedeva. Si avvicinava dicembre, il mese più freddo e meno pescoso. Vittorio
avrebbe impiegato il tempo libero ad ultimare dei lavori sulla sua casa che
necessitava sempre di ristrutturazioni. Una settimana la impegnò per sistemare
il tetto della casa che perdeva da troppo tempo. Il lavoro non fu facile, anche
a causa del freddo, e solo con l’aiuto d’un vicino il lavoro fu portato a
termine a regola d’arte. I bambini seguivano la scuola con diligenza ed
impegno, non occorreva dirli di studiare. Spesso alla sera si mettevano in cucina
vicino al fuoco per studiare. Erano così silenziosi che si sentiva solo lo
scoppiettio di un vecchio ceppo, che era pieno di tarli, che ardeva nel camino.
Vittorio e Elena aspettavano che andassero a letto, per sistemare le ultime
cose. Quell’inverno fu rigido, la legna non bastava mai, la casa poi era
vecchia e piena di spifferi, ma bastava pensare a chi stava peggio per sentirsi
più fortunati. Vittorio pensava a quella casa come se fosse una barca, una
gigantesca barca. Niente poteva metterla in difficoltà. Gli veniva in mente
spesso la storia di una famiglia che viveva in una grande barca rovesciata che
avevano trasformato in una casa. L’aveva letta in un libro di cui non ricordava
né l’autore, né il titolo, ma l’aveva letto con molto interesse, come tutto ciò
che riguardava la pesca. La famiglia viveva con la pesca, il loro mondo era
fatto di barche e di reti, per il resto andava come il buon Dio voleva. Spesso immaginava
di andare con loro a pesca, alla caccia di un grande e raro esemplare di pesce.
Vittorio con la sua barca aveva pescato dei pesci piuttosto grandi ma non
sempre erano sufficienti per arrivare a fine mese. C’erano dei momenti in cui
calava la rete e si rivolgeva a Dio chiedendogli aiuto che non gli aveva mai
negato. Confidava sempre nella Divina Provvidenza. Dicembre è il mese più
magico dell’anno perché si festeggia il S. Natale e le case vengono allietate
dalla presenza del presepe. In quei giorni aveva parlato con i suoi ragazzi,
dove collocare il presepe. Lo scorso anno aveva detto che avrebbero cambiato
qualcosa, la stalla dove Gesù era nato doveva essere fatta in modo diverso. La
piccola stalla doveva avere un posto più ampio per gli animali del presepe. Il
figlio più grande si era impegnato a scolpire qualche statuina in legno. Da
settimane lo si vedeva con uno scalpello che modellava un pastore con una
pecora sulle spalle e un vagabondo con una lampada. Queste due statuine
dovevano in qualche modo arricchire il presepe. Il ragazzo aveva avuto delle
difficoltà e per questo si era rivolto con molta umiltà al suo maestro. L’uomo
lo aveva accolto con molta gentilezza nella sua casa e si erano messi a
lavorare accanto al fuoco. Il vecchio viveva solo e riusciva a campare con
qualche semplice lavoretto, la gente lo cercava perché sapeva quanto fosse
bravo. La visita del ragazzo lo fece felice, stava preparandosi la cena, sul
fuoco borbottava una pentola con la minestra di fagioli. Il profumo intenso si
mescolava con l’odore del tabacco, l’uomo aveva sempre tra i denti la sua pipa.
Il profumo che si era espanso nella casa era piacevole. L’uomo si fece mostrare
le due statuine e le prese tra le mani. Si accorse subito che qualcosa non
andava, l’errore non era grave, e si poteva sistemare. Il vecchio con la pipa
in bocca e il cappello da marinaio si mise a raccontare una storia che gli era
capitata proprio nel periodo della Grande Guerra. Una volta mentre si trovava
in trincea fu colpito da una scheggia di bomba che gli aveva procurato una
ferita lacerante sul braccio. Fu ricoverato in un convento che era stato
adibito ad ospedale. Nella stanza dove fu collocato c’era una dozzina di letti.
L’ambiente era saturo dell’odore dei disinfettanti. Quell’ospedale era un luogo
molto tranquillo, non si sentiva il rombo della guerra, sembrava che tutto si
fosse fermato, ma a ricordare che il conflitto non era finito era il continuo
sopraggiungere di nuovi feriti dal fronte. Le infermiere che si prendevano cura
di loro erano le suore del convento, e una rigida superiora che vigilava sul
loro operato. Costei non scherzava mai e il suo volto era serio e voleva che ci
fosse ordine in ogni cosa che si faceva. In quel periodo venne ricoverato un
soldato che presentava una ferita alla testa, una persona dal volto gentile,
che non si lamentava mai. Una notte stava male ed era salita la febbre. La
superiora aveva avvertito il medico che, una volta visitatolo, aveva espresso
una prognosi sfavorevole. Disse inoltre che per la sua guarigione ci sarebbe
voluto un miracolo. La superiora non disse nulla, chiamò una suora che
rimanesse vicino al soldato che stava male. Gli diede delle indicazioni, dal
mio letto vedevo il volto di questa suora che era molto bello, doveva avere non
più di vent’anni. La osservavo e non dicevo nulla, spesso la suora mi guardava
e ad un certo punto mi chiese come stavo. Fu così che ci scambiammo qualche
parola. Le diedi una mano per sollevare il ferito che si lamentava in
continuazione per i dolori. Il soldato aveva superato la notte e ciò era di
auspicio per una facile guarigione. Alla mattina la suora mi salutò con un
sorriso, da tempo non vedevo un volto sorridente e dolce. Quel soldato con il
passare dei giorni divenne sempre più forte e si ristabilì. Ebbi modo di
parlare con lui del periodo bellico e della speranza che nutrivamo che tutto
quell’orrore potesse finire. Era un maestro di scuola, poi aveva dovuto andare
in guerra. Questo giovane mi confidò che la prima notte in cui la suora lo
aveva assistito non aveva mai perso conoscenza e sentì tutto quello che ci
eravamo detti. Non vedemmo più quella suora così giovane e così gentile,
sapemmo che era stata spostata in una struttura diversa, e questo ci
dispiacque. Nei giorni successivi il giovane mi insegnò a disegnare e a
scolpire il legno, divenne un mio maestro. Mi trasmise la passione per la
scultura. In quel periodo in cui eravamo ricoverati in ospedale, ottenemmo il
permesso di costruire una Madonna in legno, che ci impegnò per dei giorni.
Questa statua poi fu collocata nella chiesetta dell’ospedale e posta vicino al
presepe. Passarono degli anni, e un giorno mi trovai casualmente a passare
vicino al convento dove ero stato ricoverato durante la guerra e sentii
l’esigenza di entrare a rivedere quel posto. Allora suonai alla porta, venne ad
aprirmi una suora che con molta gentilezza mi chiese cosa desiderassi. Costei
mi sorrise, era quella dolce suora che aveva assistito quel ferito grave che
doveva morire. Le dissi che mi ricordavo di lei e dopo pure lei si rammentò di
quella notte che assistemmo il mio amico, di cui non avevo avuto più notizie.
Le chiesi se quella Madonna in legno che avevamo scolpito fosse ancora in
chiesa. La suora mi fece entrare, il convento era diventato una scuola, tanti
bambini festanti giocavano. La suora mi portò nella chiesa e vidi la Madonna messa
in un piedistallo vicino all’altare. Per un attimo sentii che la guerra
qualcosa di buono aveva portato. La suora sorrise come aveva fatto la prima
volta. Prima di andarmene volli toccare la statua della Madonna e sentii che la
guerra era finta per sempre. La suora volle regalarmi un rosario prima di
andarmene e salutandomi mi sorrise come allora.
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