CINQUE ANNI A VICOFORTE
di Aldo A. Mola
Centosessantun anni di Capi
dello Stato: si ri-conoscono?
Dalla proclamazione del Regno
d'Italia (14 marzo 1861), genitore dell’Italia attuale, lo Stato ebbe quattro
Capi in 85 anni: Vittorio Emanuele II (1861-1878), Umberto I (1878-1900),
Vittorio Emanuele III (1900-1946) e Umberto II (maggio-giugno 1946). I primi
due riposano al Pantheon, in Roma. “Padre della Patria”, Vittorio Emanuele morì
a soli 58 anni. Suo figlio fu assassinato da un anarchico quando ne aveva 56.
Umberto II (1904-1983), nel 1948 iniquamente condannato all'esilio perpetuo,
dispose di essere sepolto nell'Abbazia di Altacomba, antico mausoleo della
Casa. Dal 1946 si sono susseguiti dodici altri capi dello Stato. Nel 150° della
nascita del regno d'Italia (2011) il presidente Giorgio Napolitano fu al
Pantheon.
Dal 15/17 dicembre 2017 le salme di Vittorio
Emanuele III e della Regina Elena, sua Consorte, riposano nel
Santuario-Basilica di Vicoforte (in provincia di Cuneo) monumento nazionale dal
1980. Chissà se un giorno un presidente della Repubblica visiterà il sepolcro
del suo predecessore? Ogni giorno di più la Storia insegna quanto sia pesante
il fardello del Potere Supremo, anche di un Paese a sovranità limitata qual è
l'Italia odierna. Motivo di più per riflettere sul passato, a cospetto delle
Tombe di Vicoforte, un borgo silente del Vecchio Piemonte, due passi da
Dogliani, eremo del primo presidente della Repubblica, Luigi Einaudi,
monarchico e liberale.
Finalmente,
quei giorni
Cinque anni orsono, il 15 e il
17 dicembre 2017, giunsero in Italia le salme della Regina Elena e di Vittorio
Emanuele III. La loro traslazione era stata per decenni in vetta alle richieste
di monarchici (partiti, movimenti, associazioni...), dell'Istituto nazionale
per la guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon e di tanti italiani
rispettosi del passato. Verso fine Novecento, però, per i più prevalse il motto
“prima i vivi, poi i morti”. Fu data precedenza alla richiesta di abolizione
dell'esilio, in vigore dal 1° gennaio 1948, che colpiva Vittorio Emanuele di
Savoia da quando aveva undici anni, e suo figlio, Emanuele Filiberto, nato a
Ginevra il 22 giugno 1972. Il 23 ottobre 2002 il Parlamento approvò la legge
costituzionale (in vigore dal 10 novembre successivo) che esaurì gli effetti
dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della
Costituzione. Essi privavano dei diritti politici attivi e passivi gli ex re di
Casa Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi e ne vietavano l'ingresso
e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore l’avocazione allo
Stato dei loro beni esistenti nel territorio nazionale e l'annullamento di
trasferimenti e costituzioni di diritti reali sugli stessi avvenuti dopo il 2
giugno 1946, giorno “convenzionale” dell'avvento della Repubblica, che in
realtà data dal 19 giugno seguente, come ricorda Argenio Ferrari in “Lex et
Libertas in potestate Regis” (ed. BastogiLibri). La sorte delle Salme finì in
un cono d'ombra.
Alle 7.30 del 15 dicembre
2017, mentre appena albeggiava, il feretro della regina Elena di Savoia fu
estumulato nel cimitero Saint Lazare di Montpellier, la città ove era morta il
28 novembre 1952 ed era stata inumata il 30 seguente. La Famiglia della regina
fu rappresentata dall’avvocato matuziano Luca Fucini, componente della Consulta
dei senatori del regno, munito di apposita delega. Malgrado la raccomandazione
di assoluta riservatezza, la cerimonia fu ripresa dalle reti televisive France
2 e Montpellier Actualité, previamente informate dalla Maire, che officiò
da protagonista. Alle 17.30 il feretro giunse al Santuario Vicoforte. Fu
accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla Famiglia
Savoia “per tutti gli atti necessari a estumulazione, traslazione e ritumulazione
delle salme della regina e di Vittorio Emanuele III”, e dal Rettore del
Santuario, monsignor Bartolomeo (Meo) Bessone, vicario della Diocesi di
Mondovì. “Don Meo” impartì la benedizione di rito ed evocò la regina “Rosa
d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi affiancava il conte
Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento non era necessario essere
monarchici. Bastava sentirsi italiani. La lapide reca la scritta “Elena di
Savoia/ Regina d’Italia/ 1873-1952”.
Tempestivamente informata
dell'avvenuta traslazione, alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza
stampa convocata dal sindaco di Montpellier, la principessa Maria Gabriella di
Savoia da Ginevra ne dette annuncio con una nota all'Ansa di Parigi. Ringraziò
monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista insigne, il Rettore
del Santuario, quanti avevano operato “nella discrezione raccomandata dal
vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto dei discendenti dei Sovrani che
vissero cinquantun anni di matrimonio in unione con gli italiani nella buona e
nella cattiva sorte e mentre ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel
campo di concentramento in Germania, ove era stata deportata dai nazisti,
esprimo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
che propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in Italia, in prossimità del
70° della morte di Vittorio Emanuele III e nel centenario della Grande Guerra,
per la ricomposizione della memoria nazionale”.
La notizia fece supporre che
fosse imminente la traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato
nella notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria
d'Egitto, sempre presente l'infaticabile conte Radicati, il feretro arrivò in
aereo militare all’aeroporto di Cuneo-Levaldigi e giunse a Vicoforte sul
mezzogiorno del 17 dicembre. Fu tumulato con i dovuti onori e l'esecuzione del
“Silenzio”: mezzo secolo di storia, grande e drammatica. Sul marmo del sacello
è scritto “Vittorio Emanuele III / re d'Italia / 1869-1947”. Così il Re e la
Regina Elena vennero ricongiunti in Italia. Su entrambe le arche è incisa la
Stella d'Italia. A quanti domandarono perché fossero resi onori militari alla
salma del sovrano venne ricordato che Vittorio Emanuele III si era spento quattro
giorni prima che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. Non morì
affatto “in esilio” ma cittadino italiano “all'estero”. Si congedò nella pienezza dei diritti politici e civili,
di ex capo dello Stato e comandante delle Forze Armate.
Gli antefatti
della Traslazione. Perché Vicoforte?
La
tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena a
Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta prese corpo in
una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19 marzo 2011 a Roma. Fu
scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi idonei alla dignità di Tombe
Reali e per previsti intralci di varia natura e perché non nacque come
Mausoleo, qual venne ideato il Vittoriano. Del pari non venne ritenuta idonea
la Basilica di Superga, ove sono sepolti i Re di Sardegna (a eccezione di Carlo
Emanuele IV, sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu re d'Italia.
Voluto nel 1596 quale Mausoleo della Casa da Carlo Emanuele I, duca di Savoia
dal 1580 al 1630, il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore della
Provincia Granda, seconda “culla” dei sovrani sabaudi che la vissero
intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case di caccia
disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per l'Egitto il 9 maggio
1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo che ospita la vasta tenuta regia
poco distante da Vicoforte, ove seguì personalmente i poderi modello avviati
sin da Carlo Alberto. Infine il Santuario, circondato dal verde e immerso nella
quiete propiziata dal vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata (fatta
erigere da Carlo Emanuele I), è affiancato dall'antico monastero cistercense,
poi dei gesuiti e infine seminario vescovile: un complesso identico nei secoli
e incontaminato. È il Grande Silenzio che si addice al riposo eterno.
Il 7 gennaio 2013, previ
ripetuti colloqui con il Rettore del Santuario, la principessa Maria Gabriella
di Savoia e il presidente della Consulta espressero al vescovo di Mondovì,
Luciano Pacomio, il “vivo desiderio di ricongiungere le salme di Vittorio
Emanuele III e della regina Elena in Italia” proprio nel Santuario di
Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”. Prospettarono una cerimonia
funebre “in forma strettamente privata, così unendo in morte due italiani che
vissero insieme cinquantun anni di matrimonio”.
Anche per far meglio
apprezzare il Santuario da quanti ancora non lo conoscevano, il 16 marzo 2013
fu organizzato a Vicoforte il convegno di studi “Incontro Umberto II.
Trent'anni dopo” con la partecipazione di Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che
nel 1997 vi aveva presieduto il convegno su “L'Italia nella crisi dei sistemi
coloniali fra Otto e Novecento”, con interventi di Eddy Sogno, Oreste Bovio,
Franco Bandini, André Combes, Fernando García Sanz, Antonio Piromalli e altri. Al
termine del convegno la presidente della Provincia, Gianna Gancia, poi
europarlamentare, esortò a esaudire il voto degli italiani non immemori della
storia: dare sepoltura in Patria al re e alla regina d'Italia. Il 22 aprile 2013, sentiti il
consiglio di amministrazione del Santuario e il suo rettore, il vescovo accolse
l’istanza. Ricordò che Carlo Emanuele I in visita al Pilone dal quale ebbe
origine la Basilica aveva affermato “questa terra è santa, deponiamo i vecchi
calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il profilo strettamente privato”
della tumulazione, da attuare “nella forma più discreta, con la collaborazione
dei Responsabili del Santuario”. Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola
del salmo 39,13: “Siamo tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Così andava fatto.
Quattro anni dopo, a
coronamento di lunghi preliminari sorti da fortunate convergenze, il 10 maggio
2017 il principe Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Maria Gabriella,
anche a nome delle sorelle Maria Pia e Maria Beatrice, scrissero al Presidente
della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che il Centenario della
conclusione della Grande Guerra offrisse motivo per congiungere le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in
Italia”. Previ numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta,
l'architetto Claudio Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con la
Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di
Alessandria, Asti e Cuneo. Venne così avviato l'intervento nella Cappella di
San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche funerarie in marmo” in
cui deporre “i resti di due persone meritevoli di speciali onoranze”, non
nominativamente specificate. Il 6 novembre il vescovo e il rettore inoltrarono
alla Soprintendenza il progetto, che fu approvato. Con rapidità e assoluta
riservatezza vennero espletate le complesse procedure previste dalla
deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per
il rilascio di “autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a
tumulazione in località differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10 ottobre
1990, n. 285 e art. 12 L.R. n. 2020/2007”. Acquisiti ope legis tutti i documenti necessari, in pochi giorni ebbero corso
estumulazione, traslazione e ritumulazione. Consiglieri Presidenziali
dall'occhio d'aquila, usi a intuire e a superare ostacoli altrimenti
insormontabili, vegliarono da lontano e da vicino affinché nulla fosse lasciato
al caso e tutto procedesse nel massimo riserbo. Come infatti avvenne.
Con pubblica dichiarazione il 17
dicembre, al termine della sepoltura di Vittorio Emanuele III, il conte
Radicati precisò che il rito si era svolto “nelle forme proprie di una
cerimonia privata”.
Alcune
incomprensioni
Alle 21 del 15 dicembre 2017
Vittorio Emanuele di Savoia emanò una “nota” sulla tumulazione della salma
della regina Elena “presso il Santuario di Vicoforte”. Deplorò che si fosse
svolta “in totale anonimato” (invero, il 17 ad attendere il feretro del re si
affollarono decine di giornalisti e radio/video operatori, garbati e compunti)
e rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani sepolti in esilio”. Con
encomiabile tempestività poco dopo rese omaggio alle tombe in Vicoforte. La
traslazione suscitò un ventaglio di dichiarazioni polemiche contro la figura di
Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre “colpi di Stato” che lo “storico”
Luigi Salvatorelli, a volte indulgente a polemiche inconsistenti, gli attribuì
nel 1950: l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra (24 maggio 1915); la
mancata proclamazione dello stato d'assedio e l'incarico a Mussolini di formare
il governo (28-31 ottobre 1922); la revoca del “Duce” (25 luglio 1943). Altri
aggiunsero la “fuga a Brindisi” (9 settembre 1943) e la firma delle leggi
antiebraiche (1938) dalle conseguenze di lungo periodo, in specie tra il 1943 e il 1945 nelle regioni governate
dalla Repubblica sociale italiana e di fatto occupate dai tedeschi (al di
fuori, dunque, da ogni responsabilità del re e del governo Badoglio).
I promotori della traslazione
avevano messo in conto la delusione dell'Istituto nazionale per la Guardia
d'onore alle Reali Tombe del Pantheon (agevolmente superabile con l'adozione,
in forma discreta, da convenire con le autorità competenti, della guardia anche
alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi indica nel re (anziché nel
Parlamento, come in effetti è) il “responsabile” delle leggi razziste. Qualcuno
ritenne uno sgarbo non essere stato previamente informato. Non tutti ebbero
chiaro che la deposizione delle Salme di Vittorio Emanuele III e della Regina
Elena nel Santuario di Vicoforte era un funerale privato, “della Famiglia”, non
della “Casa”. Esigeva il necessario massimo riserbo, sia nel rispetto di quanto
concordato con il vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni
schiamazzi e/o manifestazioni ostili, che avrebbero turbato la solennità
dell'evento: la tumulazione del Re e della Regina sotto la cupola ellittica più
grande del mondo.
Già il 16 dicembre alcuni
sedicenti “monarchici” protestarono che “tutti i Reali d'Italia” dovevano
“quanto prima trovare sepoltura nell'unica sede ad essi deputata: la Basilica
del Pantheon”. La complessa e impegnativa tumulazione nel Santuario di
Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta di campagna”) andava dunque
considerata del tutto effimera e sanata con altra immediata traslazione. Cinque
anni dopo qualcuno continua a ripeterlo. Parlare è facile. Tra tante
professioni di indignazione (certi “istituti storici”, parlamentari, circoli e
associazioni varie) il sindaco di una città di qualche peso nella “Granda”
affermò che non sarebbe mai andato a pregare in un santuario contaminato dalla
salma di quel re. Se così dovesse essere, chi mai pregherebbe nella basilica di
San Pietro a Roma, voluta da papa Giulio II che a ottant'anni indossò
l'armatura al grido “Fuori i barbari”? E poi la preghiera chiede forse un
“luogo” che non sia l'“anima”? A cospetto di tante esternazioni polemiche il
presidente della Repubblica Mattarella e quello del Consiglio dei ministri,
Paolo Gentiloni, motivarono il concorso pubblico alla traslazione come “gesto
umanitario”. Riecheggiò quanto proposto e sancito dal vescovo di Mondovì
monsignor Luciano Pacomio: la “carità” nei confronti di “due persone meritevoli
di speciali onoranze”, provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia
in campo di concentramento in Germania) al pari di tanti italiani,
“pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Per prevenire gesti
inconsulti, il prefetto di Cuneo dispose che la cancellata della Cappella di
San Bernardo rimanesse chiusa sino a quando le tombe non fossero tutelate, come
sono, da videosorveglianza e sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017, 70°
della morte di Vittorio Emanuele III, esse furono e sono meta di un numero
crescente di “boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in meditazione su
monumenti evocativi della Storia e ripetono con Ugo Foscolo: “la vostra tomba è
un'ara”. Al di là di dispute irrilevanti, la traslazione delle reali salme a
Vicoforte propizia la rivisitazione storiografica del lungo e travagliato regno
di Vittorio Emanuele III e pacate risposte ai molti interrogativi ancora aperti
sulla storia d'Italia. Dalla Cappella intitolata a San Bernardo, il monaco
pellegrino fondatore dei cistercensi, venerato da cattolici, anglicani e
riformati, Vittorio Emanuele III e la Regina Elena ricordano che sin
dall'origine i Savoia furono europei, di un'Europa più ampia dell'attuale. Lo
ha ricordato l'Ambasciatrice del Montenegro, Milena Sofranac, che lo scorso 6
novembre rese omaggio alla regina d'Italia nata cristiana ortodossa a Cettigne.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: La Cappella di San
Bernardo del Santuario di Vicoforte ove da cinque anni riposano Vittorio
Emanuele III e la Regina Elena. La continuità tra il Regno d'Italia e la
Repubblica è documentata da Tito Lucrezio Rizzo, già Consigliere capo servizio
al Quirinale, nel corposo volume “Il Capo dello Stato dalla Monarchia alla
Repubblica (1848-2022)”, Roma, Herald Editore (heraldeditore@gmail.com), 2022.
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