NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 24 dicembre 2022

IL RIPOSO DEL RE


CINQUE ANNI A VICOFORTE

di Aldo A. Mola

Centosessantun anni di Capi dello Stato: si ri-conoscono?

Dalla proclamazione del Regno d'Italia (14 marzo 1861), genitore dell’Italia attuale, lo Stato ebbe quattro Capi in 85 anni: Vittorio Emanuele II (1861-1878), Umberto I (1878-1900), Vittorio Emanuele III (1900-1946) e Umberto II (maggio-giugno 1946). I primi due riposano al Pantheon, in Roma. “Padre della Patria”, Vittorio Emanuele morì a soli 58 anni. Suo figlio fu assassinato da un anarchico quando ne aveva 56. Umberto II (1904-1983), nel 1948 iniquamente condannato all'esilio perpetuo, dispose di essere sepolto nell'Abbazia di Altacomba, antico mausoleo della Casa. Dal 1946 si sono susseguiti dodici altri capi dello Stato. Nel 150° della nascita del regno d'Italia (2011) il presidente Giorgio Napolitano fu al Pantheon.

   Dal 15/17 dicembre 2017 le salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena, sua Consorte, riposano nel Santuario-Basilica di Vicoforte (in provincia di Cuneo) monumento nazionale dal 1980. Chissà se un giorno un presidente della Repubblica visiterà il sepolcro del suo predecessore? Ogni giorno di più la Storia insegna quanto sia pesante il fardello del Potere Supremo, anche di un Paese a sovranità limitata qual è l'Italia odierna. Motivo di più per riflettere sul passato, a cospetto delle Tombe di Vicoforte, un borgo silente del Vecchio Piemonte, due passi da Dogliani, eremo del primo presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, monarchico e liberale.

Finalmente, quei giorni

Cinque anni orsono, il 15 e il 17 dicembre 2017, giunsero in Italia le salme della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III. La loro traslazione era stata per decenni in vetta alle richieste di monarchici (partiti, movimenti, associazioni...), dell'Istituto nazionale per la guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon e di tanti italiani rispettosi del passato. Verso fine Novecento, però, per i più prevalse il motto “prima i vivi, poi i morti”. Fu data precedenza alla richiesta di abolizione dell'esilio, in vigore dal 1° gennaio 1948, che colpiva Vittorio Emanuele di Savoia da quando aveva undici anni, e suo figlio, Emanuele Filiberto, nato a Ginevra il 22 giugno 1972. Il 23 ottobre 2002 il Parlamento approvò la legge costituzionale (in vigore dal 10 novembre successivo) che esaurì gli effetti dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Essi privavano dei diritti politici attivi e passivi gli ex re di Casa Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi e ne vietavano l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore l’avocazione allo Stato dei loro beni esistenti nel territorio nazionale e l'annullamento di trasferimenti e costituzioni di diritti reali sugli stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946, giorno “convenzionale” dell'avvento della Repubblica, che in realtà data dal 19 giugno seguente, come ricorda Argenio Ferrari in “Lex et Libertas in potestate Regis” (ed. BastogiLibri). La sorte delle Salme finì in un cono d'ombra.

   Alle 7.30 del 15 dicembre 2017, mentre appena albeggiava, il feretro della regina Elena di Savoia fu estumulato nel cimitero Saint Lazare di Montpellier, la città ove era morta il 28 novembre 1952 ed era stata inumata il 30 seguente. La Famiglia della regina fu rappresentata dall’avvocato matuziano Luca Fucini, componente della Consulta dei senatori del regno, munito di apposita delega. Malgrado la raccomandazione di assoluta riservatezza, la cerimonia fu ripresa dalle reti televisive France 2 e Montpellier Actualité, previamente informate dalla Maire, che officiò da protagonista. Alle 17.30 il feretro giunse al Santuario Vicoforte. Fu accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla Famiglia Savoia “per tutti gli atti necessari a estumulazione, traslazione e ritumulazione delle salme della regina e di Vittorio Emanuele III”, e dal Rettore del Santuario, monsignor Bartolomeo (Meo) Bessone, vicario della Diocesi di Mondovì. “Don Meo” impartì la benedizione di rito ed evocò la regina “Rosa d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi affiancava il conte Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento non era necessario essere monarchici. Bastava sentirsi italiani. La lapide reca la scritta “Elena di Savoia/ Regina d’Italia/ 1873-1952”.

   Tempestivamente informata dell'avvenuta traslazione, alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza stampa convocata dal sindaco di Montpellier, la principessa Maria Gabriella di Savoia da Ginevra ne dette annuncio con una nota all'Ansa di Parigi. Ringraziò monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista insigne, il Rettore del Santuario, quanti avevano operato “nella discrezione raccomandata dal vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto dei discendenti dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio in unione con gli italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel campo di concentramento in Germania, ove era stata deportata dai nazisti, esprimo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in Italia, in prossimità del 70° della morte di Vittorio Emanuele III e nel centenario della Grande Guerra, per la ricomposizione della memoria nazionale”.

   La notizia fece supporre che fosse imminente la traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato nella notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria d'Egitto, sempre presente l'infaticabile conte Radicati, il feretro arrivò in aereo militare all’aeroporto di Cuneo-Levaldigi e giunse a Vicoforte sul mezzogiorno del 17 dicembre. Fu tumulato con i dovuti onori e l'esecuzione del “Silenzio”: mezzo secolo di storia, grande e drammatica. Sul marmo del sacello è scritto “Vittorio Emanuele III / re d'Italia / 1869-1947”. Così il Re e la Regina Elena vennero ricongiunti in Italia. Su entrambe le arche è incisa la Stella d'Italia. A quanti domandarono perché fossero resi onori militari alla salma del sovrano venne ricordato che Vittorio Emanuele III si era spento quattro giorni prima che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. Non morì affatto “in esilio” ma cittadino italiano “all'estero”. Si congedò  nella pienezza dei diritti politici e civili, di ex capo dello Stato e comandante delle Forze Armate.

Gli antefatti della Traslazione. Perché Vicoforte?

La tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena a Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta prese corpo in una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19 marzo 2011 a Roma. Fu scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi idonei alla dignità di Tombe Reali e per previsti intralci di varia natura e perché non nacque come Mausoleo, qual venne ideato il Vittoriano. Del pari non venne ritenuta idonea la Basilica di Superga, ove sono sepolti i Re di Sardegna (a eccezione di Carlo Emanuele IV, sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu re d'Italia. Voluto nel 1596 quale Mausoleo della Casa da Carlo Emanuele I, duca di Savoia dal 1580 al 1630, il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore della Provincia Granda, seconda “culla” dei sovrani sabaudi che la vissero intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case di caccia disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per l'Egitto il 9 maggio 1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo che ospita la vasta tenuta regia poco distante da Vicoforte, ove seguì personalmente i poderi modello avviati sin da Carlo Alberto. Infine il Santuario, circondato dal verde e immerso nella quiete propiziata dal vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata (fatta erigere da Carlo Emanuele I), è affiancato dall'antico monastero cistercense, poi dei gesuiti e infine seminario vescovile: un complesso identico nei secoli e incontaminato. È il Grande Silenzio che si addice al riposo eterno.

   Il 7 gennaio 2013, previ ripetuti colloqui con il Rettore del Santuario, la principessa Maria Gabriella di Savoia e il presidente della Consulta espressero al vescovo di Mondovì, Luciano Pacomio, il “vivo desiderio di ricongiungere le salme di Vittorio Emanuele III e della regina Elena in Italia” proprio nel Santuario di Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”. Prospettarono una cerimonia funebre “in forma strettamente privata, così unendo in morte due italiani che vissero insieme cinquantun anni di matrimonio”.

   Anche per far meglio apprezzare il Santuario da quanti ancora non lo conoscevano, il 16 marzo 2013 fu organizzato a Vicoforte il convegno di studi “Incontro Umberto II. Trent'anni dopo” con la partecipazione di Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1997 vi aveva presieduto il convegno su “L'Italia nella crisi dei sistemi coloniali fra Otto e Novecento”, con interventi di Eddy Sogno, Oreste Bovio, Franco Bandini, André Combes, Fernando García Sanz, Antonio Piromalli e altri. Al termine del convegno la presidente della Provincia, Gianna Gancia, poi europarlamentare, esortò a esaudire il voto degli italiani non immemori della storia: dare sepoltura in Patria al re e alla regina d'Italia. Il 22 aprile 2013, sentiti il consiglio di amministrazione del Santuario e il suo rettore, il vescovo accolse l’istanza. Ricordò che Carlo Emanuele I in visita al Pilone dal quale ebbe origine la Basilica aveva affermato “questa terra è santa, deponiamo i vecchi calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il profilo strettamente privato” della tumulazione, da attuare “nella forma più discreta, con la collaborazione dei Responsabili del Santuario”. Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola del salmo 39,13: “Siamo tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”. Così andava fatto.

   Quattro anni dopo, a coronamento di lunghi preliminari sorti da fortunate convergenze, il 10 maggio 2017 il principe Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Maria Gabriella, anche a nome delle sorelle Maria Pia e Maria Beatrice, scrissero al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che il Centenario della conclusione della Grande Guerra offrisse motivo per congiungere le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in Italia”. Previ numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta, l'architetto Claudio Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo. Venne così avviato l'intervento nella Cappella di San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche funerarie in marmo” in cui deporre “i resti di due persone meritevoli di speciali onoranze”, non nominativamente specificate. Il 6 novembre il vescovo e il rettore inoltrarono alla Soprintendenza il progetto, che fu approvato. Con rapidità e assoluta riservatezza vennero espletate le complesse procedure previste dalla deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per il rilascio di “autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a tumulazione in località differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 285 e art. 12 L.R. n. 2020/2007”. Acquisiti ope legis tutti i documenti necessari, in pochi giorni ebbero corso estumulazione, traslazione e ritumulazione. Consiglieri Presidenziali dall'occhio d'aquila, usi a intuire e a superare ostacoli altrimenti insormontabili, vegliarono da lontano e da vicino affinché nulla fosse lasciato al caso e tutto procedesse nel massimo riserbo. Come infatti avvenne.

   Con pubblica dichiarazione il 17 dicembre, al termine della sepoltura di Vittorio Emanuele III, il conte Radicati precisò che il rito si era svolto “nelle forme proprie di una cerimonia privata”.

Alcune incomprensioni

Alle 21 del 15 dicembre 2017 Vittorio Emanuele di Savoia emanò una “nota” sulla tumulazione della salma della regina Elena “presso il Santuario di Vicoforte”. Deplorò che si fosse svolta “in totale anonimato” (invero, il 17 ad attendere il feretro del re si affollarono decine di giornalisti e radio/video operatori, garbati e compunti) e rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani sepolti in esilio”. Con encomiabile tempestività poco dopo rese omaggio alle tombe in Vicoforte. La traslazione suscitò un ventaglio di dichiarazioni polemiche contro la figura di Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre “colpi di Stato” che lo “storico” Luigi Salvatorelli, a volte indulgente a polemiche inconsistenti, gli attribuì nel 1950: l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra (24 maggio 1915); la mancata proclamazione dello stato d'assedio e l'incarico a Mussolini di formare il governo (28-31 ottobre 1922); la revoca del “Duce” (25 luglio 1943). Altri aggiunsero la “fuga a Brindisi” (9 settembre 1943) e la firma delle leggi antiebraiche (1938) dalle conseguenze di lungo periodo, in specie  tra il 1943 e il 1945 nelle regioni governate dalla Repubblica sociale italiana e di fatto occupate dai tedeschi (al di fuori, dunque, da ogni responsabilità del re e del governo Badoglio).

   I promotori della traslazione avevano messo in conto la delusione dell'Istituto nazionale per la Guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon (agevolmente superabile con l'adozione, in forma discreta, da convenire con le autorità competenti, della guardia anche alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi indica nel re (anziché nel Parlamento, come in effetti è) il “responsabile” delle leggi razziste. Qualcuno ritenne uno sgarbo non essere stato previamente informato. Non tutti ebbero chiaro che la deposizione delle Salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena nel Santuario di Vicoforte era un funerale privato, “della Famiglia”, non della “Casa”. Esigeva il necessario massimo riserbo, sia nel rispetto di quanto concordato con il vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni schiamazzi e/o manifestazioni ostili, che avrebbero turbato la solennità dell'evento: la tumulazione del Re e della Regina sotto la cupola ellittica più grande del mondo.

   Già il 16 dicembre alcuni sedicenti “monarchici” protestarono che “tutti i Reali d'Italia” dovevano “quanto prima trovare sepoltura nell'unica sede ad essi deputata: la Basilica del Pantheon”. La complessa e impegnativa tumulazione nel Santuario di Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta di campagna”) andava dunque considerata del tutto effimera e sanata con altra immediata traslazione. Cinque anni dopo qualcuno continua a ripeterlo. Parlare è facile. Tra tante professioni di indignazione (certi “istituti storici”, parlamentari, circoli e associazioni varie) il sindaco di una città di qualche peso nella “Granda” affermò che non sarebbe mai andato a pregare in un santuario contaminato dalla salma di quel re. Se così dovesse essere, chi mai pregherebbe nella basilica di San Pietro a Roma, voluta da papa Giulio II che a ottant'anni indossò l'armatura al grido “Fuori i barbari”? E poi la preghiera chiede forse un “luogo” che non sia l'“anima”? A cospetto di tante esternazioni polemiche il presidente della Repubblica Mattarella e quello del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, motivarono il concorso pubblico alla traslazione come “gesto umanitario”. Riecheggiò quanto proposto e sancito dal vescovo di Mondovì monsignor Luciano Pacomio: la “carità” nei confronti di “due persone meritevoli di speciali onoranze”, provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia in campo di concentramento in Germania) al pari di tanti italiani, “pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.

   Per prevenire gesti inconsulti, il prefetto di Cuneo dispose che la cancellata della Cappella di San Bernardo rimanesse chiusa sino a quando le tombe non fossero tutelate, come sono, da videosorveglianza e sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017, 70° della morte di Vittorio Emanuele III, esse furono e sono meta di un numero crescente di “boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in meditazione su monumenti evocativi della Storia e ripetono con Ugo Foscolo: “la vostra tomba è un'ara”. Al di là di dispute irrilevanti, la traslazione delle reali salme a Vicoforte propizia la rivisitazione storiografica del lungo e travagliato regno di Vittorio Emanuele III e pacate risposte ai molti interrogativi ancora aperti sulla storia d'Italia. Dalla Cappella intitolata a San Bernardo, il monaco pellegrino fondatore dei cistercensi, venerato da cattolici, anglicani e riformati, Vittorio Emanuele III e la Regina Elena ricordano che sin dall'origine i Savoia furono europei, di un'Europa più ampia dell'attuale. Lo ha ricordato l'Ambasciatrice del Montenegro, Milena Sofranac, che lo scorso 6 novembre rese omaggio alla regina d'Italia nata cristiana ortodossa a Cettigne.

Aldo A. Mola

 

DIDASCALIA: La Cappella di San Bernardo del Santuario di Vicoforte ove da cinque anni riposano Vittorio Emanuele III e la Regina Elena. La continuità tra il Regno d'Italia e la Repubblica è documentata da Tito Lucrezio Rizzo, già Consigliere capo servizio al Quirinale, nel corposo volume “Il Capo dello Stato dalla Monarchia alla Repubblica (1848-2022)”, Roma, Herald Editore (heraldeditore@gmail.com), 2022. 

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