80 ANNI FA
del Prof. Aldo A. Mola, Presidente della Consulta dei Senatori del Regno - Editoriale Giornale del Piemonte - 14.05.2017
Iniziò bene per l'Italia il
1937. Il 2 gennaio fu siglato il Gentlemen's agreement italo-britannico
per la stabilità del Mediterraneo. Ce n'era bisogno. L'anno precedente aveva
addensato nubi minacciose sull'Europa. Il 7 marzo 1936 la Germania di Hitler
occupò la Renania senza incontrare risposte militari: le uniche efficaci.
Allarmato, il Belgio prese le distanze dalla Francia, ove a fine aprile il
socialista Léon Blum formò un governo radical-socialista con il sostegno del
Partito comunista, il più forte dell'Europa occidentale e per di più succubo
del dittatore dell'URSS, Stalin. La risposta non si fece attendere:
boicottaggio commerciale e fuga di capitali. La svolta della Francia seguì di
pochi mesi l'avvento a Madrid di Manuel Azaña a capo di un governo di radicali,
socialisti e liberali (molti massoni, capri espiatori di una storia secolare di arretratezza
culturale, come in Italia dal 1925 a oggi).
Però in Spagna, repubblica dal 1931, la risposta fu più dura: l'alzamiento,
il 18 luglio 1936, dei Quattro Generali (Sanjurjo, Mola, Franco e Queipo de
Llano), molto diversi uno dall'altro ma accomunati nel programma di
“restaurazione nazionale”: Stato forte in vista del ritorno alla monarchia, ma
con molti e motivati “forse e se”. Non
sarebbe stata comunque restaurazione ma
instaurazione.
Il 4 agosto anche la Grecia
virò a destra, col governo Metaxàs.
La Francia propugnò il “non
intervento” nella guerra civile spagnola. Benché da subito a fianco degli
insorti, Italia e Germania ufficialmente aderirono, ma il 18 novembre
riconobbero il governo del generale Franco. Londra e Parigi erano assillate da
conflitti diretti e indiretti nei loro imperi coloniali e nelle aree di
influenza: dalla Palestina all'Egitto (che da quell'anno ebbe per re Faruk ed
entrò nella Società delle Nazioni) e al Sud Africa (che imboccò il tunnel dell'apartheid),
dall'America meridionale (in specie Argentina e Perù) all'India, dalla quale
venne separata la Birmania.
L'accordo italo-britannico
del 2 gennaio 1937con Londra fece da preludio al riconoscimento della sovranità
di Roma sull'impero di Etiopia, ove permanevano sacche di resistenza armata e
il 18 febbraio Rodolfo Graziani fu vittima di un attentato che scatenò tre
giorni di “caccia all'uomo”. Fallita l'offensiva dei nazionalisti, da conflitto
interno la guerra civile spagnola divenne preludio a quella tra i
totalitarismi: il nazionalsocialismo da un lato, il comunismo sovietico
dall'altro. Le “tre Spagne” (la social-comunista, aspramente anticattolica;
quella “profonda”, clericale e conservatrice; la liberal-democratica,
massonica, antitotalitaria) divennero terreno del regolamento di conti tra
ideologie, regimi e “popoli” in lotta da secoli: un conflitto incattivito dal
1917-1919, tra la rivoluzione russa e la pace punitiva di Versailles. Con la
battaglia di Guadalajara la Spagna fu anche teatro di un capitolo della guerra
civile italiana.
Da che parte si schierò Roma?
La Città Eterna parlò attraverso due voci molto diverse: Mussolini aspirava a
elevare il fascismo a modello universale; la Santa Sede era cattolica da
sempre. Il primo ad avvertire la tempesta incombente non fu il “duce del
fascismo” (invero sempre irruente quanto poco lungimirante) ma Pio XI. Il 14
marzo 1937 il papa pubblicò l'Enciclica “Mit brennender sorge”, nella quale
deplorò la deriva del nazionalsocialismo verso sponde razzistiche. La
persecuzione di ebrei, gitani, oppositori politici, “devianti” in genere
(chiusi in campi di concentramento che preludevano alla eliminazione fisica
sistematica) era inconciliabile con il cristianesimo, checché ne pensassero e
dicessero teologi ed ecclesiastici “locali”, per vari motivi distratti dalla
missione universale della Cattedra di Pietro. Quattro giorni dopo Pio XI
pubblicò la “Divini Redemptoris”, condanna durissima del materialismo ateo,
incardinato nella Terza Internazionale di Mosca e nei partiti comunisti
satelliti e in regimi che avevano fatto deragliare la separazione tra Stato e
Chiesa in anticlericalismo e in persecuzione sanguinosa dei credenti: incendio
di chiese, violazione di monasteri e molteplici orrori. Lo mostravano i casi
del Messico e della stessa Spagna repubblicana, come ampiamente documentato,
tra altri, da Mario Arturo Iannaccone in “Cristiada” e in “Persecuzione” (ed.
Lindau).
Nei capitoli centrali di “Il
virus del totalitarismo” (ed. Rubbettino) Dario Fertilio, già Premio Acqui
Storia, ha documentato che il fanatismo stava per dare i suoi frutti più
spettacolari con i processi celebrati in Russia a carico di insigni esponenti
del comunismo sovietico: Kamenv, Zinoviev e altri, accusati di simpatie verso
il pensiero di Leone Trotzkij, cioè per il comunismo come rivoluzione
universale anziché “in un solo Paese”, ovvero a beneficio dell'imperialismo
dell'URSS. Condannati a morte, gli imputati vennero fucilati. Fu l'inizio della
sistematica epurazione ideologica e non solo (molti erano ebrei), accelerata
nel 1937 con l'eliminazione di Karl Radek e del leggendario maresciallo
Tucacevskij, eroe della guerra rivoluzionaria. Dopo di lui vennero assassinati
decine di migliaia di ufficiali, funzionari pubblici, uomini del partito: la
“grande purga”, completa di gulag, aperti ancor prima dei lager
hitleriani. Un delirio razionale programmato in vista della guerra non solo e
non tanto contro la Germania (quello era un duello tra totalitarismi) ma contro
le democrazie occidentali e i socialisti democratici, da anni marchiati come
social-fascisti: epiteto con il quale Palmiro Togliatti liquidò Filippo Turati
e radiò gli oppositori, quali Angelo Tasca e altri fondatori del Partito
comunista d'Italia. Mentre all'estero predicava i fronti popolari, alleanze del
tutto strumentali, all'interno Stalin annientò ogni dissenso, liquidato come
tradimento.
In quel quadro di guerre
ideologiche e di massiccio impiego delle armi (la Francia “democratica” usò
l'aviazione per reprimere una rivolta in Marocco), nel volgere di poche
settimane si susseguirono due eventi paradigmatici. Il 27 aprile 1937 morì
Antonio Gramsci, colpito da emorragia cerebrale proprio quando gli venne
comunicato che era finalmente libero: né carcere, né la libertà condizionata
trascorsa nella clinica Quisisana. La sua fu una morte così inattesa da
suscitare i sospetti ripercorsi da Luigi Nieddu in “L’ombra di Mosca sulla
tomba di Gramsci” (Le Lettere), anche perché egli aveva stabilito di tornare
nella nativa Sardegna e aveva preso tutte le misure per impedire che i suoi
Quaderni finissero nelle mani di Togliatti, come ricorda Giuseppe Vacca in
“Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926-1937)” (ed. Einaudi), a sua volta
Premio Acqui Storia. Il Migliore (come poi Togliatti venne celebrato) pervenne
invece a impadronirsi del Quaderni gramsciani: un'operazione laboriosa,
condotta con la pressione sulla moglie e la cognata di Gramsci, Julija e
Tatjana (Tania) Schucht, esercitata da Piero Sraffa, economista insigne,
docente in Gran Bretagna, figlio dell'altrettanto celebre economista e giurista
Angelo, iniziato massone a Pisa, dalla brillante carriera accademica e rettore
della Bocconi di Milano, ove formò allievi di elevato rango intellettuale e di
prestigiose fortune, come Raffaele Mattioli.
Mentre durava l'emozione per
la morte di Gramsci e si faceva più incalzante l'azione di Togliatti per
confiscare la sua memoria storico-politica, un atroce delitto scosse l'opinione
internazionale: intorno alle 19,30 del 9 giugno 1937 i fratelli Carlo e
Sabatino Enrico (Nello) Rosselli furono assassinati a revolverate e pugnalate
presso Bagnoles-de-l'Orne (Bassa Normandia) da un pugno di cagoulards,
affiliati alla OSNAR (Organisation Secrète d'Action Révolutionnaire Nationale).
Carlo, appena trentasettenne,
era il fondatore del movimento Giustizia e Libertà. Suo fratello, di poco più
giovane, storico di sicuro avvenire, lo aveva raggiunto in Francia poco prima.
Gli assassini agirono senza troppe precauzioni, li pedinarono osservati da
albergatori, camerieri e persone che se videro del tutto casualmente (un po’ la
replica dell'assassinio di Matteotti di cui ha scritto Enrico Tiozzo) e
lasciarono innumerevoli e inconfondibili tracce. Furono quindi subito
individuati, intercettati e arrestati e poi condannati. Le loro schede
biografiche sono in appendice al saggio di Mimmo Franzinelli, “Il delitto
Rosselli” (Mondadori). Ma chi aveva armato la mano a sicari così squallidi?
Appena appresa notizia del crimine i militanti di Giustizia e Libertà non esitarono
a imputare quale mandante il regime fascista. Colpevole era quindi lo stesso
Stato italiano, sia pure tramite i soliti leggendari “servizi segreti”.
I funerali dei fratelli
Rosselli, a Parigi, furono una solenne deplorazione del fascismo. Aderirono socialisti,
radicali, “democratici” e le due massonerie francesi (Grande Oriente e Gran
Loggia), che avevano spesso ospitato conferenze di Carlo Rosselli, in stretto
collegamento con Giuseppe Leti, sovrano gran commendatore del Rito scozzese
antico e accettato e pilastro del Grande Oriente d'Italia dell'esilio, popolato
di infiltrati dell'Ovra e di massoni pentiti, come Alberto Giannini, autore
delle esilaranti “Memorie di un fesso: parla Gennarino, fuoruscito con l'amaro
in bocca” (1934, rist. Forni, 2010).
Ma chi davvero armò le mani
degli assassini dei fratelli Rosselli? L'interrogativo venne riaperto nel 1990
da Franco Bandini, giornalista appassionato di storia, in “Il cono
d'ombra” (Sugarco), frutto di otto anni di indagini sugli atti dei processi
celebrati in Francia a carico dei cagoulards e in Italia contro il
supposto “mandante”, il generale Mario Roatta, in combutta con Galeazzo Ciano,
genero di Mussolini e ministro degli Esteri. Secondo il giudizio corrente e
tuttora prevalente, Carlo Rosselli, già condannato al confino a Lipari ed evaso
il 29 luglio 1930 con Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, era non solo
scomodo ma pericoloso per il regime perché proponeva alla borghesia di
affiancare i “rossi”, come avveniva in Spagna. Sennonché, dopo aver lanciato il
motto “Oggi in Spagna, domani in Italia”, a cospetto della piega assunta della
guerra in Catalogna (ove i comunisti sterminarono gli anarchici) Rosselli era
rientrato in Francia e si era impegnato nell'elaborazione di una strategia
politica del tutto nuova: più estremista dei comunisti e in linea con il
pensiero di Trotzkij. Molto più che a Roma dette fastidio a Mosca. Secondo
Bandini l'assassinio di Carlo Rosselli non avrebbe cambiato i rapporti tra il
regime e gli esuli. Avrebbe invece modificato profondamente quelli tra i
partiti antifascisti, messi alle strette: subordinazione alla Terza
Internazionale o opzione “occidentale”, a favore delle democrazie, per quanto
deboli e screditate: un dibattito laborioso, puntualmente ricostruito da Marco
Bresciani in “Quale antifascismo? Storia di Giustizia e Libertà” (ed. Carocci).
Un anno dopo l'assassinio dei
fratelli Rosselli la Gran Bretagna riconobbe il governo di Franco, mentre era
in corso la decisiva battaglia dell'Ebro vinta dai nazionalisti col sostegno di
40.000 uomini del Corpo Truppe Volontarie (CTV, che gli spagnoli traducevano:
Cuando t'en vas?), mesi prima della trionfale parata di Madrid, narrata anche
da Edgardo Sogno. La domanda che si pone dinnanzi a un delitto efferato è
sempre la stessa: cui prodest? A chi giova? La risposta sul “caso
Rosselli” rimane aperta. Di sicuro nessun gerarca del regime aveva motivo di
volere la morte di Nello, pioniere degli studi sul Risorgimento democratico,
apprezzato da Gioacchino Volpe, che anni addietro era intervenuto personalmente
su Mussolini per consentirgli un viaggio di studi in Inghilterra. Il
Risorgimento democratico, le sue debolezze e contraddizioni, era stato anche al
centro delle riflessioni di Gramsci, lontano dal dogmatismo della Terza Internazionale
di Mosca. Vigilia del catastrofico 1938, il 1937 pose le premesse del “grande
equivoco” nel quale, osserva Fertilio, “cadde Winston Churchill allo scoppio
della seconda guerra mondiale: ci si allea anche col diavolo se questi combatte
il proprio nemico. Ma così si contribuisce a rafforzarlo - come avvenne con
Stalin – prima di ritrovarsi inevitabilmente a fare i conti con lui”. Un monito
da non dimenticare mentre il pianeta è popolato di dittatori sanguinari, di
violazioni sistematiche dei diritti dell'uomo anche di chi aspira a entrare
nell'Unione Europea, e l'ONU di fatto è un fantasma, alla cui apparizione
nessuno più crede.
Aldo A. Mola
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