NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 15 maggio 2017

Nostalgia di Re Umberto II in una sera d’inverno

di Emilio Del Bel Belluz  

La storia dell’ultimo Re d’Italia  di cui  il 18 marzo 1983 si ricorda l’anniversario della sua morte, racchiude tante piccole storie che molti non conoscono e aiutano a comprendere la statura di questo sovrano. 
Quella che più mi ha commosso l’ho trovata pubblicata su un giornale che ricordava il Re alla sua morte. Questa storia racconta la grande nostalgia del sovrano esule in Portogallo per la sua amata patria. 
La nostalgia è una delle emozioni più difficili da comprendere se non la si prova sulla propria pelle. La nostalgia ci fa pensare alle cose che in qualche modo ci hanno dato dei momenti  di serenità che sono passati. 

Nella vita tutto passa ma il ricordo dei tempi felici rimane dentro a noi come un eco. Nella memoria umana si depositano delle storie, dei ricordi a cui si può accedere in un secondo momento e riviverle come se fossero successe in questo istante. Il Re era una persona allegra e romantica legata al bello come ci è stato raccontato da alcuni scrittori e poeti. 
Nel quotidiano – il Tempo di Roma – del 20 marzo 1983 a pochi giorni dalla sua morte, ho trovato un racconto di un momento toccante della sua vita. Il ricordo scritto da  Mario La Rosa merita d’essere riportato nella sua interezza per la sua bellezza e per l’emozione che ci lascia. 
“ Nostalgia dell’esule una sera d’inverno” “ Un ricordo per la morte di Umberto: il ricordo di una sera d’inverno del 1950. Eravamo in un ristorante di Roma, nei paraggi di Via Veneto. Giunti a ora inoltrata, con la persona che ci accompagnava, trovammo posto a un tavolo di fortuna collocato ai margini del salone da pranzo a ridosso della parete – tra mezzo dietro cui erano i telefoni  l’atmosfera, gaia e composta insieme, dell’affollato ritrovo, quella sera era ancora di più allietata dalla presenza di un chitarrista famoso, il maestro Delpelo. 
Il vocio sommesso si spegnava allorché il cantante accennava con un pizzico sulle corde della chitarra, uno dei noti e gradevoli motivi del suo repertorio. Venne il turno della romanza più celebre, “ Casetta de Trastevere”. Il silenzio divenne a quel punto assoluto, e anche i camerieri si fermarono. Il cantante dimostrava quella volta uno speciale impegno, era rosso e visibilmente emozionato. Le parole della bella canzone dicevano di una casetta antica del centro di Roma condannata alla demolizione, attorno agli anni Trenta, per fare posto a una grande strada (che si sarebbe chiamata via dell’Impero) ; casetta che, per prudenza, l’autore collocò in altra zona a Trastevere, appunto. 
Ma qualche zelante gerarca avvertì ugualmente l’allusione polemica contro gli eccessi degli sventramenti dei rioni cittadini per la creazione delle nuove opere del regime, e così la canzone scomparve. Tornò in auge, esplose, dopo la caduta del Fascismo. 
La cantavano nei teatri, nei locali pubblici, nei ristornati, e i ragazzi la fischiettavano in istrada. Il motivo è orecchiabile e i versi deliziosi. Ma perché, quella sera, al ristorante romano, il cantante metteva tanto particolare impegno nel suo appassionato canto, e perché si era avvicinato al nostro tavolo dove erano i telefoni? Il mistero fu subito svelato, fu sussurrato da persona a persona, da tavolo a tavolo. 
Qualcuno tra i presenti aveva infatti chiamato un certo numero del lontano Portogallo, Cascais, per far giungere colà, sul filo del telefono, un ricordo con le note e le parole della patetica canzone romana. 
Un applauso di comprensione e di simpatia si levò allora fitto, caldo, unanime, interminabile, pur esso di saluto al non dimenticato esule perché lo udisse”.  Questo semplice grande racconto rispecchia quanto fosse grande l’amore del Re Umberto per la sua patria lontana. La malinconia di quella sera forse si è trasformata in un sorriso. 
Le persone presenti avrebbero potuto esclamare il suo nome per non farlo sentire così solo. Se fossi stato presente in quella sala, in quella sera in cui la nostalgia dell’esule era così grande, avrei urlato il nome del Re perché i presenti lo amavano.  
Coloro, che lontani dalla loro terra erano vinti dalla nostalgia, telefonavano a casa proprio nel momento in cui sapevano che le campane del loro paese avrebbero suonato a festa. Si dice che la gente con il passare del tempo dimentichi  gli ideali che nutriva in passato.  Sono pochi ai quali  è data la forza di professare la fede monarchica per sempre. 
Il mio amato professore di storia del diritto italiano, il grande professore Fulvio Crosara, se lo chiedeva spesso. Si domandava perché si fossero dimenticati del loro sovrano, come spesso accade tra la gente comune dimenticare l’aiuto avuto di qualche animo buono.   
Anche la vita dei Re assomigliava a quella delle persone comuni. Re Umberto II, nel suo esilio di Cascais, sapeva che questo poteva accadere. Ogni uomo ha il dovere di saper scrivere la sua storia. Re Umberto per passare il tempo e per dimenticare le tristezze sapeva che non c’era di meglio che dare la sua massima attenzione ai libri. Un libro non tradisce mai quelli che vogliono imparare e allargare le proprie conoscenze. 
Nel suo studio foderato di libri passava il suo tempo più bello. 

Con il cuore vicino a quei tanti italiani che lo amavano e che si erano accorti che l’Italia senza il suo Re era sicuramente più povera e più sola. Illumina il tuo giorno.

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