di Emilio Del Bel Belluz
La storia
dell’ultimo Re d’Italia di cui il 18 marzo 1983 si ricorda
l’anniversario della sua morte, racchiude tante piccole storie che molti non
conoscono e aiutano a comprendere la statura di questo sovrano.
Quella
che più mi ha commosso l’ho trovata pubblicata su un giornale che ricordava il
Re alla sua morte. Questa storia racconta la grande nostalgia del sovrano esule
in Portogallo per la sua amata patria.
La
nostalgia è una delle emozioni più difficili da comprendere se non la si prova
sulla propria pelle. La nostalgia ci fa pensare alle cose che in qualche modo
ci hanno dato dei momenti di serenità che sono passati.
Nella
vita tutto passa ma il ricordo dei tempi felici rimane dentro a noi come un
eco. Nella memoria umana si depositano delle storie, dei ricordi a cui si può
accedere in un secondo momento e riviverle come se fossero successe in questo
istante. Il Re era una persona allegra e romantica legata al bello come ci è
stato raccontato da alcuni scrittori e poeti.
Nel
quotidiano – il Tempo di Roma – del 20 marzo 1983 a pochi giorni dalla sua
morte, ho trovato un racconto di un momento toccante della sua vita. Il ricordo
scritto da Mario La Rosa merita d’essere riportato nella sua interezza
per la sua bellezza e per l’emozione che ci lascia.
“
Nostalgia dell’esule una sera d’inverno” “ Un ricordo per la morte di
Umberto: il ricordo di una sera d’inverno del 1950. Eravamo in un ristorante di
Roma, nei paraggi di Via Veneto. Giunti a ora inoltrata, con la persona che ci
accompagnava, trovammo posto a un tavolo di fortuna collocato ai margini del
salone da pranzo a ridosso della parete – tra mezzo dietro cui erano i telefoni l’atmosfera,
gaia e composta insieme, dell’affollato ritrovo, quella sera era ancora di più
allietata dalla presenza di un chitarrista famoso, il maestro Delpelo.
Il vocio
sommesso si spegnava allorché il cantante accennava con un pizzico
sulle corde della chitarra, uno dei noti e gradevoli motivi del suo repertorio.
Venne il turno della romanza più celebre, “ Casetta de Trastevere”. Il silenzio
divenne a quel punto assoluto, e anche i camerieri si fermarono. Il cantante
dimostrava quella volta uno speciale impegno, era rosso e visibilmente
emozionato. Le parole della bella canzone dicevano di una casetta antica del
centro di Roma condannata alla demolizione, attorno agli anni Trenta, per fare
posto a una grande strada (che si sarebbe chiamata via dell’Impero) ; casetta
che, per prudenza, l’autore collocò in altra zona a Trastevere, appunto.
Ma
qualche zelante gerarca avvertì ugualmente l’allusione polemica contro gli
eccessi degli sventramenti dei rioni cittadini per la creazione delle nuove
opere del regime, e così la canzone scomparve. Tornò in auge, esplose, dopo la
caduta del Fascismo.
La
cantavano nei teatri, nei locali pubblici, nei ristornati, e i ragazzi la
fischiettavano in istrada. Il motivo è orecchiabile e i versi deliziosi. Ma
perché, quella sera, al ristorante romano, il cantante metteva tanto
particolare impegno nel suo appassionato canto, e perché si era avvicinato al
nostro tavolo dove erano i telefoni? Il mistero fu subito svelato, fu
sussurrato da persona a persona, da tavolo a tavolo.
Qualcuno
tra i presenti aveva infatti chiamato un certo numero del lontano Portogallo,
Cascais, per far giungere colà, sul filo del telefono, un ricordo con le note e
le parole della patetica canzone romana.
Un
applauso di comprensione e di simpatia si levò allora fitto, caldo, unanime,
interminabile, pur esso di saluto al non dimenticato esule perché lo udisse”. Questo
semplice grande racconto rispecchia quanto fosse grande l’amore del Re Umberto
per la sua patria lontana. La malinconia di quella sera forse si è trasformata
in un sorriso.
Le
persone presenti avrebbero potuto esclamare il suo nome per non farlo sentire
così solo. Se fossi stato presente in quella sala, in quella sera in cui la
nostalgia dell’esule era così grande, avrei urlato il nome del Re perché i
presenti lo amavano.
Coloro,
che lontani dalla loro terra erano vinti dalla nostalgia, telefonavano a casa
proprio nel momento in cui sapevano che le campane del loro paese avrebbero
suonato a festa. Si dice che la gente con il passare del tempo dimentichi gli
ideali che nutriva in passato. Sono pochi ai quali è data
la forza di professare la fede monarchica per sempre.
Il mio
amato professore di storia del diritto italiano, il grande professore Fulvio
Crosara, se lo chiedeva spesso. Si domandava perché si fossero dimenticati del
loro sovrano, come spesso accade tra la gente comune dimenticare l’aiuto avuto
di qualche animo buono.
Anche la
vita dei Re assomigliava a quella delle persone comuni. Re Umberto II, nel suo
esilio di Cascais, sapeva che questo poteva accadere. Ogni uomo ha il dovere di
saper scrivere la sua storia. Re Umberto per passare il tempo e per dimenticare
le tristezze sapeva che non c’era di meglio che dare la sua massima attenzione
ai libri. Un libro non tradisce mai quelli che vogliono imparare e allargare le
proprie conoscenze.
Nel suo
studio foderato di libri passava il suo tempo più bello.
Con il
cuore vicino a quei tanti italiani che lo amavano e che si erano accorti che
l’Italia senza il suo Re era sicuramente più povera e più sola. Illumina
il tuo giorno.
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