Di Domenico Giglio
(Pubblicato, in forma ridotta, da "storia in rete" , nel numero di gennaio)
(Pubblicato, in forma ridotta, da "storia in rete" , nel numero di gennaio)
Che Vienna, nel 2016, centenario della
morte di
Francesco Giuseppe, abbia dedicato
numerose mostre ed esposizioni allo
stesso ed alla sua epoca, cominciando da Schonbrunn, il palazzo dove
era nato il 18 agosto 1830 ed era
mancato la sera del 21 novembre 1916, è logico ed
opportuno, trattandosi
dell’Imperatore che vi aveva regnato per
68 anni, dal lontano 2 dicembre 1848 e che vi fu sepolto
nella Cripta dei Cappuccini,
sepolcreto degli Asburgo
dal 1633, il successivo 30
novembre, cripta che dette
il titolo ad
un celebre romanzo
storico di Joseph Roth ed il rituale
per accedervi fu a sua volta ricordato da
Franz Werfel nel suo “Nel crepuscolo di
un mondo”.
Questo ricordo, doveroso per gli austriaci, per cui le poste dell’attuale repubblica austriaca hanno dedicato un francobollo commemorativo del centenario della morte dell’Imperatore, non vorremmo fosse occasione, in Italia, specie nei territori
che appartennero all’impero asburgico, per analoghe celebrazioni, per cui nel rispetto della memoria storica e con spirito sereno, permeato di pietà cristiana, riteniamo necessario ripercorrere
la lunga vicenda terrena di questo principe, particolarmente con riferimento alle vicende del nostro
processo unitario ed anche per smitizzare una versione e
visione edulcorata data in alcuni film, continuamente ripetuti nelle varie
reti televisive, della sua giovinezza e
del matrimonio, molto meno felice
di quanto non appaia
nella versione hollywoodiana.
L’ascesa al trono di Francesco
Giuseppe, nel dicembre 1848, dopo
l’abdicazione praticamente imposta
all’Imperatore Ferdinando, che
visse poi in serenità a Praga fino al 1873, e l’altrettanto forzata rinuncia
del padre, l’Arciduca Francesco
Carlo, coronava gli sforzi che la madre, la bavarese arciduchessa Sofia, aveva
fatto, perché questo suo
figlio primogenito, fosse imperatore, cominciando dalla sua educazione fin da bambino.
Purtroppo il
momento della assunzione
all’impero non era
dei più felici, perché da
mesi Vienna e l’Ungheria
tutta, erano in rivolta contro l’assolutismo
asburgico, impersonato dal
Metternich, anche con
eccessi come la barbara uccisione
del Ministro della Guerra, il
vecchio conte Latour, raggiunto nei suoi uffici, massacrato e poi
appeso ad un lampione! Rivolte,
quasi rivoluzioni represse a
Vienna dalle truppe comandate dal
maresciallo Von Windish-Graetz, ed in Ungheria, con
l’intervento ancora peggiore,
dell’esercito mandato dallo Zar Nicola I, in virtù dei principii della “Santa Alleanza”, truppe che
avevano avuto ragione dei
ribelli, così che questo giovane di diciotto anni, saliva su di un trono
macchiato di sangue, cancellando quella
Costituzione che Ferdinando, aveva, forse a
malincuore concessa. Ed in Ungheria,
dopo il
vittorioso intervento russo,
aprendo un solco parzialmente riempito solo dopo un
ventennio, un generale austriaco, Haynau, già
tristemente noto in Italia,
nel 1848, per la
sua repressione, che gli
aveva meritato il
titolo di “jena di
Brescia”, fucilava ed impiccava
ad Arad, ben 13 generali ungheresi
e 114 altri militari, le cui
domande di grazia erano state
respinte, come avverrà pure
nel 1852 per la
domanda di grazia per il patriota e sacerdote, Enrico Tazzoli, reo
di un delitto di opinione, impiccato
poi a Mantova nel
dicembre.
Questo, mentre un altro giovane di 28 anni, Vittorio Emanuele
II, salito al trono il 23 marzo
1849, dopo una sconfitta
militare, in quel di Novara, aveva mantenuto la
bandiera tricolore e soprattutto aveva conservato quello Statuto, concesso dal
padre Carlo Alberto, con
i relativi ordinamenti parlamentari
che l’ Austria avrebbe conosciuto solo nel 1867. Interessante questo parallelo tra un
governo, quello del Regno di
Sardegna, con l’intensa attività parlamentare e governativa nel decennio dal 1849 al 1859, mentre
nell’Impero d’Austria, vigeva un regime
assolutistico, da stato di polizia,
così che da una parte si affermava il liberalismo di Cavour e dall’altra, mancato nel
1852, il principe di
Schwarzenberg, campione del
dispotismo, non emergeva nessuna personalità di valore che indirizzasse l’Imperatore, di per sé digiuno di esperienza politica e poco amante di letture, verso le necessarie
riforme.
Così, quando nel
1854, scoppiò quella che fu
chiamata “Guerra di Crimea” con Francia,
Regno Unito, Impero Ottomano, unite contro
l’Impero Russo, l‘Austria rimase neutrale,
con grande amarezza e delusione dello Zar Nicola
I, che riteneva fosse un dovere di Francesco Giuseppe, appoggiare militarmente la Russia, in
ricordo e ricambio dell’aiuto ricevuto
per debellare la rivolta ungherese, mentre proprio in questa vicenda si inserì abilmente Cavour, fortemente appoggiato
dal Re, mandando un
corpo di spedizione in Crimea, che gli dette così l’opportunità di partecipare, unico rappresentante di uno stato italiano, al Congresso
di Parigi nel
1856 e denunciare la situazione dell’Italia,
ponendo le basi di quell’accordo con Napoleone III, definito due anni dopo a Plombieres. E peggio ancora si comportò l’Austria, cioè l’Imperatore, che nel 1859, addirittura lasciando all’oscuro il proprio Ministro degli
Esteri, il conte Buol, inviò il 23
aprile il famoso “ultimatum” al Regno di Sardegna, seguito il 27 dalla dichiarazione di guerra, che fece scattare la clausola dell’alleanza “difensiva” con l’Impero di
Napoleone III, che così in
tal modo poté intervenire militarmente in
aiuto al Piemonte, portando alla
vittoria, insieme con Vittorio Emanuele II,
le truppe franco-piemontesi.
Questa inesperienza di
Francesco Giuseppe, anche di conoscenze
dirette dell’impero, avendo fatto un solo viaggio nel 1845 a Venezia ed in Dalmazia (dove in
un disegno si
vede una insegna, con
la scritta in
italiano, “Osteria”), fu pagata
cara, perché non bastava
da una parte
il coraggio personale, di cui aveva dato prova
nel 1848, ancora arciduca, nel combattimento di Santa
Lucia ed il
senso del dovere e dell’ordine, l’amore e l’inclinazione al lavoro, che rispettò fino all’ultimo
giorno e che ne
fecero il primo impiegato dell’ impero,
quando invece sarebbe
stato necessario lo spirito d’iniziativa
e decisioni rapide e nette, confermando un vecchio giudizio di Napoleone che “l’Austria arrivava sempre troppo tardi sia con l’esercito che con le idee”. E sempre nel 1859 l’infelice scelta, quale comandante dell’esercito austriaco che doveva invadere il Piemonte, del
maresciallo Gyulay, anziché dell’Hess, costrinse Francesco Giuseppe, dopo i primi insuccessi, ad assumere personalmente il comando delle truppe, venendo sconfitto a Solferino e San Martino, perdendo la Lombardia, assegnata al Regno
di Sardegna.
Le incertezze riguardavano anche la
politica interna oscillante tra centralismo e
federalismo e dominavano la politica estera austriaca relativamente al problema dell’unità germanica e del ruolo di comando nella Confederazione Germanica, per cui, anche in questo
caso Francesco Giuseppe fu
abilmente giuocato da Bismarck,
il potente cancelliere del Regno di
Prussia, che nel 1866 lo spinse a
mobilitare per primo, senza che l’esercito fosse pronto e
forzando il riluttante, ma fedele, generale Benedeck, ad
assumenerne il comando, con il risultato di essere travolto dai
prussiani di Moltke a Sadowa,
perdendo definitivamente il primato tra gli
stati tedeschi, che così passava dai cattolici Asburgo ai luterani Hoenzollern, ed il Veneto, assegnato al Regno d’Italia, alleata della Prussia, in quella
che per noi è considerata la Terza Guerra
d’ Indipendenza, però con un
confine quanto mai infelice, tra
Italia ed Austria, con
il Trentino incuneato
tra Lombardia e Veneto e ben lontano
da Trieste. Inoltre l’Austria e quindi l’Imperatore, a cui era demandato anche il
più piccolo problema, dettero prova dopo la
guerra, di ingratitudine nei confronti dell’ammiraglio Tegetthof, il vincitore di
Lissa e del Benedeck, sulle cui uniche
spalle fecero ricadere la sconfitta di Sadowa.
In questi anni si inserisce l’amara vicenda del fratello Massimiliano, quel fratello che nominato Viceré del Regno Lombardo - Veneto, nel 1857, aveva cercato di
riconciliare con l’Impero gli abitanti
del Regno, sollecitando inutilmente Vienna a
liberalizzazioni e riforme, per cui
inascoltato era partito sulla carducciana
“fatal Novara”, lasciando il Castello di Miramare, con le sue “…bianche torri, attediate per lo ciel piovorno…”, per salire al
trono di Imperatore
del Messico, dopo essere stato obbligato dal fratello, prima di partire, a firmare l’atto di rinuncia al trono austriaco, per finire
poi fucilato il 19
giugno 1867 a Queretaro, mentre pochi giorni
prima, l’8 giugno, Francesco Giuseppe
con la moglie, la bavarese Elisabetta,
il cui fascino aveva colpito gli ungheresi,
erano incoronati a Budapest, Re
d’Ungheria, dando così origine
e consacrazione a quella
che da allora fu definita “duplice monarchia” e l’Impero “Austro- Ungarico”.
Ed il successivo 18
agosto, a Salisburgo, si
celebravano solennemente i 37
anni dell’Imperatore, presente anche
Napoleone III, con la
moglie Eugenia, a cui
non rimordeva la coscienza di aver spinto
Massimiliano all’avventura messicana, praticamente lasciandolo solo ed indifeso quando aveva ritirato e reimbarcato per la Francia, il corpo
d’armata francese comandato da Bazaine.
E questo 1867 fu anche
importante perché finalmente l’Impero
si dotava di una Costituzione, con il suo parlamento, il Reichsrat, costituzione che avrebbe regolato teoricamente la vita politica austriaca fino al
1918, ma come commentarono diversi storici in realtà lo Stato era in balia dell’arbitrio burocratico sotto la
maschera del costituzionalismo,
anche quando fu concesso
il suffragio universale maschile ed il parlamento raggiunse i 507 deputati,
con 233
seggi previsti per i tedeschi
e 255 per
gli altri gruppi slavi, mentre
solo 19 erano assegnati alle minoranze italiane, tra i quali ricorderemo il socialista, ma irredentista, Cesare Battisti ed il cattolico Alcide De Gasperi. Questa ridotta presenza
italiana era il frutto della politica,
messa in
atto dopo le nostre
guerre d’indipendenza, che avevano dato
all’Italia la Lombardia ed il
Veneto, malgrado la “Triplice“ stipulata nel
1882, di favorire croati e slavi, fomentando la loro avversione nei confronti
degli italiani, modificando ad esempio i collegi elettorali in modo da
ridurre o far scomparire la rappresentanza italiana che
nel 1848 era maggioritaria in Dalmazia e totale in Istria.
L’accenno alla incoronazione a Budapest di Elisabetta Regina, ci fa
soffermare sulla figura di questa consorte di
Francesco Giuseppe,
principessa bavarese, sposata a
16 anni, per libera
scelta del giovane Imperatore, contravvenendo alla volontà della madre che aveva
invece scelto per lui, la sorella maggiore
di Elisabetta, la principessa Elena.
Matrimonio effettivamente d’amore da
parte imperiale, che le
fu fedele per
tutta la vita, che la assecondò
in tutti i suoi desideri, che le scrisse sempre lettere affettuose, non considerando la relazione, in età più tarda, con
l’attrice Caterina Schratt,
relazione nota ed anche favorita dalla stessa Elisabetta. Diverso invece l’atteggiamento della giovane Elisabetta, oppressa fin dall’inizio del matrimonio dal rigidissimo cerimoniale asburgico, di origine spagnola, soffocante per una giovane abituata ad
una vita libera a contatto
con la natura, in una famiglia senza dubbio di origine regale, essendo un
ramo cadetto della
dinastia dei Wittelsbach, ma non schiava delle forme. Non potevano
essere due caratteri più differenti e
lontani fra loro, con esigenze diverse ed anche con passioni diverse dai viaggi che videro Elisabetta andare da Madera a Corfù, per finire
tragicamente a Ginevra, all’amore
della poesia , particolarmente Heine, mentre è noto lo
scarso interesse culturale di Francesco Giuseppe, tra l’altro poco disponibile ad accettare i progressi tecnici dal
telefono, alle automobili e
alle attrezzature ginnastiche e
balneari che amava
invece la consorte. Questo distacco di
Elisabetta dai suoi doveri di Imperatrice va ad
esempio confrontato, non certo
a suo vantaggio, con il
ruolo che quasi
negli stessi anni veniva svolto in
Italia, a favore
dell’unità nazionale dalla Regina Margherita, oggi quasi
sconosciuta e dimenticata, nei viaggi nella penisola ed in tutte le manifestazioni ufficiali, sempre a fianco
del marito, il Re
Umberto I, di cui
pure conosceva e
perdonava certe debolezze!
Amante della
poesia Elisabetta era ella
stessa poetessa ed ora dopo oltre
un secolo dalla
morte le sue
poesie riscoperte
recentemente sono state pubblicate
in un libro
curato dalla storica
viennese Brigitte Hermann e tradotte
anche in italiano, che
aprono, come sottolineato dallo
storico Waldimaro Fiorentino, che ha
recensito questo libro, uno
scenario incredibile sui
veri sentimenti della imperatrice, smitizzandone il
personaggio , perché le sue
poesie “sulla famiglia
Asburgo e sulla
politica imperiale degli
anni Ottanta sono
a volte spietate, addirittura provocatorie”
e di questa
spietatezza è prova, ad
esempio, una poesia
dove dice: “voi amati
popoli di questo
vasto impero, in gran segreto
io vi ammiro
tanto, perché col sudore
e col vostro
sangue, nutrite generosi questa
schiatta depravata”, cioè gli
Asburgo. E da queste
poesie si comprende
chi avesse ereditato
il carattere ribelle, libertario,
repubblicaneggiante di Elisabetta e cioè
proprio il figlio, l’Arciduca Ereditario, Rodolfo, che, appena trentenne, non compreso
anche lui dal padre, gli
inferse la ferita
più dolorosa con
il suicidio in
quella alba tragica
del 29 gennaio
1889 a Mayerling. Così , più tardi Francesco Giuseppe, dopo la
morte di Elisabetta avvenuta il
10 settembre 1898, pare
abbia detto che
nulla nella vita gli era
stato risparmiato, mai pensando
a quanto sarebbe
avvenuto a Serajevo
sedici anni dopo!
Tra
tanti eventi non
certo positivi, si arrivava, grazie finalmente
ad un uomo
politico audace e
spregiudicato, l’ungherese
Andrassy, nel 1878 , dopo
il Congresso di
Berlino, che poneva un
punto fermo alla
storica inimicizia tra
gli Imperi Russo
ed Ottomano, il congresso
da cui l’ Italia
seppe solo uscire
con le “mani
nette”, alla assegnazione all’Impero
Austro-Ungarico, della
Bosnia-Erzegovina in amministrazione fiduciaria, che nel
1908 sarebbe divenuta
annessione, rafforzandolo nei
Balcani e dando
inizio a quel
lungo periodo di
pace. Periodo di cui
si giovò l’intera
Europa, ma particolarmente l’Impero
asburgico, per la parte
economica e per
lo sviluppo industriale, anche se
nel suo interno
crescevano le rivalità
delle nazionalità componenti
questo grande insieme
multietnico, di oltre cinquanta
milioni di abitanti, ed
apparivano degli spunti
antisemita. In questo scenario
la figura di
Francesco Giuseppe,
fotografato in centinaia
di occasioni diveniva simbolica
e quasi carismatica, assurgendo ad
elemento unificatore, anche se
negli ambienti più
qualificati culturalmente e
politicamente si capiva
che il mantenimento
dello “status quo”
non solo non
risolveva i problemi, ma
lentamente li aggravava e
quindi non bastava
a fermare il declino
la ripetuta immagine
dell’ Imperatore, ancora alto,
snello e
sempre elegante nelle
sue divise, sia nei
balli di Corte
che nelle riviste
militari od anche
a caccia che era
forse la sua
unica passione oltre
il lavoro di
ufficio. Ed in tutte queste
manifestazioni e nelle
sue vacanze nei
territori dell’Impero,
sembrava essere vicino
al popolo, anche se
riservava la stretta
della sua mano
solo all’alta nobiltà!
E di questa sterile nostalgia
c’è chi si nutre
ancor oggi in
varie parti dell’ex
impero, meno in Austria, tranne forse il
Tirolo.
In
questo periodo di
pace, che permetteva anche
al giovane Regno
d’Italia, di consolidarsi all’interno
e di trovare
il suo ruolo
nel concerto europeo
delle grandi potenze , quando Europa
voleva dire il
Mondo, sia Vittorio Emanuele
II, nel 1873 ed
Umberto I, nel 1881 , si
recavano in visita
a Vienna, visite ricambiate
da Francesco Giuseppe
a Venezia, non volendo
venire a Roma, dove
il Pontefice non
riconosceva l’annessione all’ Italia, considerando i
cattolici Savoia, come usurpatori. Nasceva così
in Italia, il problema
dell’irredentismo, con la relativa
reazione anti italiana, da parte
austriaca, con punte di
frizione come quando
il triestino Guglielmo
Oberdan(k), per un presunto
possibile attentato all’Imperatore veniva
impiccato nel 1882, malgrado la
domanda di grazia
presentata dalla madre e gli
appelli di numerose personalità tra
le quali Victor
Hugo. In questa ed
in altre occasioni
il governo italiano, considerando l’alleanza
difensiva conclusa con
gli Imperi Germanico
ed Austro-Ungarico, si comportò
sempre con estrema
correttezza nei confronti
degli alleati, come quando
Giolitti, Presidente del Consiglio, nel 1911, fu
costretto a censurare
l’ode di Gabriele
d’Annunzio, ”La Canzone dei Dardanelli”, in
quanto “ingiuriosa verso
una potenza alleata
e verso il suo sovrano”, censura da
cui derivò il
vero e proprio
odio del poeta per
Giolitti, culminato nel 1915, in
quanto nella canzone
Francesco Giuseppe era
indicato come “…angelicato
impiccatore, l’angelo dalla forca
sempiterna..” e l’Austria come “…la
schifiltà dell’aquila a due teste, che
rivomisce come l’avvoltoio, le carni
dei cadaveri indigeste…”.
Nessuno in
tutto questo periodo
voleva una guerra
e realisticamente il
Regno d’Italia pensava
a soluzioni diplomatiche
per la soluzione
degli italiani irredenti, se
non fosse intervenuto
il 28 giugno
del 1914, a Serajevo, capitale
della Bosnia –Erzegovina, l’attentato e
la morte dell’ Arciduca Ereditario, Francesco Ferdinando, e
della moglie morganatica
Sofia Chotek, ricordati,
anche loro , nel centenario
del triste evento, incredibile a
dirsi, dalle poste della
repubblica austriaca, con l’emissione
di un “foglietto”, contenente due francobolli con
i loro ritratti! Francesco
Ferdinando, nipote di Francesco
Giuseppe, in quanto figlio del fratello minore dell’ Imperatore, succeduto
nella linea ereditaria, dopo la
morte dell’unico figlio
maschio, l’arciduca Rodolfo, era uomo
dal carattere deciso
come aveva dimostrato
anche nel caso del
suo matrimonio con
una nobile di
modesto rango, che non
sarebbe mai potuto
diventare imperatrice, né i
suoi figli ereditare
il trono, ed era
di temperamento autoritario,
diverso da quello
dello zio, ed aveva
progetti di ristrutturazione dell’impero
per dare spazio a
boemi e slavi, cambiandone completamente
il volto e
frenandone la dissoluzione. Questo
assassinio all’inizio, oltre allo
sdegno, non aveva generato
particolari reazioni, ma fu
successivamente preso a
motivo, da parte della
classe dirigente militare
e politica, più austriaca che
ungherese, per dare al Regno
di Serbia, considerato mandante
dell’attentato e da alcuni
definito “il Piemonte
dei Balcani”, una solenne
lezione, dimentichi che sugli
slavi ortodossi esisteva
l’alta protezione del’ Impero
Russo. Così si ripeteva
l’errore dell’ultimatum del
1859 e si
metteva il vecchio, ottantaquattrenne, Imperatore,
quasi di
fronte al fatto
compiuto.
In
effetti Francesco Giuseppe
non era più
per le guerre, ricordando Solferino, con le
migliaia di morti
e feriti, lui che
lì era stato
presente, ma “ingravescente aetate”, non
aveva più sufficiente
energia per opporsi
ai suoi sconsiderati
ministri, che arrivavano anche
ad affermare fatti
inesistenti, per cui, con la stanca
mano appose la
firma alla dichiarazione
di guerra alla Serbia,
mai pensando che
con quella sottoscrizione avrebbe
dato inizio a
quella che fu
poi definita “Prima
Guerra Mondiale” e posto fine
non solo al
suo impero, ma a tutto
il principio monarchico predominante in
una Europa che
al momento vedeva
solo tre repubbliche, Portogallo, Svizzera e
Francia, e dopo avrebbe
visto proprio l’Austria
proclamare la repubblica
e la decadenza
della sua Casa e cadere altri
tre imperi, germanico, russo ed
ottomano, tutti, anche loro, sostituiti da
repubbliche, cambiando così
l’aspetto geopolitico ed
istituzionale dell’Europa.
Domenico Giglio
Bibliografia;
Elsabetta d’Austria –“Diario poetico” – a
cura e prefazione
di Brigitte Harman – ed.MCS – Trieste
Eugenio Bagger – “Francesco Giuseppe” – ed. Mondadori – 1929
Francois Feito – “Requiem per
un Impero defunto” – ed. “Il giornale” – 1990
Franz Werfel – “ Nel crepuscolo
di un mondo” – ed. Mondadori – 1950
Gabriele d’Annunzio – “Merope” - ed.Il
Vittoriale degli italiani - 1943.
Joseph Roth – “ La
marcia di Radetzki” –ed. Adelphi- 1987
Joseph Roth -
“La cripta dei
Caoouccini” – ed. Adelphi
Nora
Fugger - “Gli splendori
di un impero “ . ed. Mondadori
Stefan Zweig – “Il
mondo di ieri “
-ed. Mondadori - 1946
Waldimaro Fiorentino – “Nessuna nostalgia
….” – da “Il sole -24
ore” del 12 agosto
1995 ed altri
articoli
Waldimaro Fiorentino – “La prima
guerra mondiale “ – ed.
Catinaccio - 2015
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