Aldo Cazzullo, Corriere della sera
Caro Aldo,
lei scrive che l’Italia di oggi è un Paese senza élite. Ma
non è sempre stato così?
Lorenzo Giacobino, Torino
Ciro Menotti |
Caro Lorenzo,
No, non è sempre stato così. Pensi solo alla sua terra.
Silvio Pellico esce dallo Spielberg dopo dieci anni di carcere duro e pubblica
Le mie prigioni, caso letterario in tutta Europa. Vincenzo Gioberti scrive Del
primato morale e civile degli italiani e lo dedica a Pellico. Cesare Balbo lo
legge ad alta voce a suo cugino, Massimo D’Azeglio, che lo incoraggia a
scrivere Delle speranze d’Italia, dedicato a Gioberti. D’Azeglio a sua volta
pubblica Degli ultimi casi di Romagna, sul fallimento dei moti nazionali, e lo
dedica a Balbo. Tutti e tre i libri sono best-seller dell’epoca. E gli autori
non sono intellettuali chiusi nella torre d’avorio: tutti e tre diventano
presidenti del Consiglio. I Savoia saranno stati pure conservatori, ma sapevano
affidarsi ai migliori, anche se non li amavano. Quando D’Azeglio insistette per
chiamare nel suo governo il giovane conte di Cavour, Vittorio Emanuele II lo
avvertì: «Va bene, ma sappia che ce lo metterà in quel posto a tutti». Prima di
accettare, Cavour andò a trovare Antonio Rosmini, che gli presentò uno
scrittore suo ospite: Alessandro Manzoni (la figlia, che si chiamava Giulia
come la nonna, Giulia Beccaria, aveva sposato D’Azeglio). Dopo l’incontro
Manzoni scrisse di Cavour a un amico, Giovanni Berchet: «È un omino che
promette bene assai».
Questi uomini dalla statura intellettuale e umana
impressionante erano amici tra loro, a volte parenti. Talora erano rivali; ma
sapevano riconoscere la grandezza l’uno dell’altro. Erano insomma un’élite. Non
definita dall’origine municipale: il Risorgimento non fu certo fatto solo dai
piemontesi. Mazzini, Garibaldi, Mameli erano liguri; Confalonieri, Manara,
Cattaneo milanesi; Tito Speri bresciano, Ciro Menotti modenese, Maroncelli di
Forlì, Manin veneziano, Settembrini e Poerio di Napoli, Pilo e La Farina
siciliani. Avevano tutto da perdere, alcuni salirono sulla forca, altri furono
messi al muro. Guglielmo Pepe portò i volontari napoletani a difendere Venezia,
D’Azeglio fu ferito a una gamba sotto le mura di Vicenza assediata, gli studenti
toscani guidati da Giuseppe Montanelli — ferito alla spalla sinistra — si
fecero massacrare a Curtatone. Non andavano tutti d’accordo, spesso si
odiarono, come Cavour e Garibaldi, eppure il conte scrisse del generale:
«Garibaldi ha reso agli italiani il più grande dei servigi che un uomo potesse
rendergli: ha dato agli italiani fiducia in se stessi, ha provato all’Europa
che gli italiani sapevano battersi e morire sui campi di battaglia per
riconquistarsi una patria». Purtroppo, questa epopea è quasi del tutto assente
dalla memoria nazionale. Oggi vanno di moda i briganti.
http://www.corriere.it/lodicoalcorriere/index/09-03-2017/index.shtml
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