Tre erano gli
elementi fondamentali della Sua natura: la noncuranza assoluta del pericolo,
che gli veniva da una tradizione secolare di gloria militare e civile; un senso
pratico ed ordinato della Amministrazione e della vita, che aveva assorbito dai
Suoi vecchi antenati Piemontesi: una sincerità talvolta perfino spregiudicata
per la quale, se potè talvolta rasentare quelli che sembravano o forse anche
erano i limiti della convenienza finì per imporsi a coloro che Lo circondavano,
poiché questa rara virtù finisce sempre prima o poi - per imporsi, ed ottiene
comprensione, anima gli uomini, solleva entusiasmi ed affetti.
Fu certo la
sincerità più limpida che Gli sgorgava dal cuore quella che guidò naturalmente
la Sua condotta tra gli allievi della Accademia Militare della Nunziatella di
Napoli allorché, a 15 anni, fu rinchiuso in quel collegio per iniziare la Sua
vita militare.
Quella era
veramente una clausura! Entrava nelle camerate e tutti i Suoi compagni erano
sugli attenti; li vedeva divertirsi tra loro, ma quando Egli compariva ogni
giuoco cessava e tutto diventava rigido, silenzioso e solenne. Li incontrava
per i corridoi, sorrideva loro, ed essi impalati, là sull’attenti, con la
faccia seria : Altezza di qua, Altezza di là. Altezza Reale sì, Altezza Reale
no; non ne poteva più!
Un giorno si
fermò davanti ad uno di essi che se ne stava impalato lungo il corridoio, gli
dette un buffetto sulla pancia, tirò fuori la lingua, strizzò gli occhi, fece
tante smorfie buffissime, finché l’altro dovette ridere, per forza.
E così il
ghiaccio era rotto.
Sì, Egli non lo
disse, ma lutti lo capirono quello che Egli voleva: voleva essere come gli
altri, trattato da amico, circondato dal calore di affetti, e
prendere parte
ai loro giuochi e gioire della comune giovinezza.
Ma chi Gliela
aveva data alla Sua età quella insuperabile capacità di essere un camerata
ineguagliabile senza che tuttavia alcuno dimenticasse che bontà, colleganza,
amicizia, non potevano mai annullare la Sua personalità di Principe della Casa
Regnante?
Nessuno Gli
mancò mai di rispetto mentre tutti Gli parlavano col tu, scherzava con tutti ed
era a volte sfrenato c ridanciano, ma quando se ne andava tutti erano
sull’attenti, col volto c con l’anima protesi.
Egli aveva,
innata, questa incommensurabile virtù della semplicità che aggioga le anime:
virtù che non si può improvvisare, che deve essere innata, che deve avere perciò
origini lontane, come in Lui le aveva, nei secoli.
Aveva 17 anni
quando nel 1915 scoppiò la guerra Europea. Scrisse di Suo pugno una petizione
al Re: voleva andare a combattere per l’Italia l’ultima guerra della unità. Ma,
data la Sua età, ci voleva il consenso del Padre.
Il Padre firmò,
ed eccolo vestito in grigio-verde in un reggimento di artiglieria a cavallo, e
dopo poco, a Monte Sei Busi, impavido sotto valanghe di ferro e di fuoco,
meritarsi una medaglia di bronzo, ma, cosa più importante un indirizzo dei
commilitoni, firmato da tutti e concepito così: noi, tuoi compagni, noi soli
veramente sappiamo che se non fossi stato un Principe di Savoia, la medaglia
sul tuo petto sarebbe stata di argento. Noi siamo testimoni che ci hai perduto
ad essere Principe!
E leggendo la
motivazione della Sua seconda medaglia, questa di argento, conseguita l’anno
seguente, quando aveva 19 anni, si comprende come l’avesse meritata; non vaghe
ed altisonanti parole, non retoriche frasi, ma fatti precisi: era veramente un soldato,
ed alla prova del fuoco quella Sua temerarietà infantile si era trasformata in
ragionata, consapevole virtù guerriera.
Risale a quel
tempo della Sua guerra Carsica l’episodio di quando, recatosi a visitare una
trincea che un generale aveva fatto costruire e che personalmente illustrava, a
modello ed esempio di come avrebbero dovuto essere tutte le trincee, Egli non
espresse giudizio guardando muto l’opera che pur era costata tanta
sollecitudine e tanta fatica, finché, alla reiterata domanda espressa dallo
stesso generale: che Gliene sembra Altezza Reale, Egli non esitò a rispondere
nella Sua invincibile sincerità: la sto studiando attentamente per evitarla!
Questo episodio
riferito da Beretta a De Vecchi trova il suo riscontro in altri successivi di
epoche diverse, come ad esempio quello di quando, deliziandosene perdutamente,
vide nel cielo di Gorizia, ove Egli allora era addetto, un areoplano eseguire
la più ardita gamma di loopings, di tonneaux, di virate, di cabrate che si
fossero mai viste e che pur erano severamente proibite; ed accanto a Lui che se
la godeva, stava furente di sdegno il comandante della brigata aerea, il quale
si avvicinò all'avventuroso giovane pilota appena atterrato per comunicargli di
tenere gli arresti. Amedeo era pieno di ammirazione, si avvicinò al giovane
ufficiale, lo prese sotto braccio, gli disse: che bello, ma perché non me lo ha
detto che sarei venuto con lei?
Quel giovano era
il Tenente Tait, che divenne poi il Suo aiutante di volo e non lo abbandonò mai
più, e Gli fu vicino nell’ora estrema.
** *
Finita la grande
guerra, nel 1919 Amedeo se ne andò con lo Zio in Somalia. L’amore dell’Africa
lo dominava dall’infanzia, da quando bambino se ne andava al porto a vedere le
navi che partivano.
Abitava con lo
Zio un bungalow nel villaggio di Afgoi, a 20 Km. da Mogadiscio. Quel vecchio
marinaio ed esploratore, quella grande anima chiusa ed ardente di Luigi di
Savoia, che conobbe tutte le altezze tutte le discipline e tutte le rinuncie,
stava trasformando un lembo di Africa con la sua tenace volontà di colono. Il
senso eroico della vita non aveva bisogno di insegnarlo al nipote Amedeo, ché
questi già l’aveva nel sangue. Ma altre cose Gli insegnò, che Gli rimasero
impresse e Gli servirono di viatico quando si trovò venti anni dopo a dominare
il vastissimo territorio dell’Etiopia!
Gli insegnò la
tenacia delle opere durevoli. Gli insegnò ad amare la terra che risponde
all’uomo che la lavora e la feconda col suo sudore.
Non mi sbaglio,
diceva il grande Suo Zio, non mi sbaglio, ma se noi vogliamo la Somalia ha un
grande avvenire: canna da zucchero, cotone, arachidi, alberi di kapoc possono
rendere enormemente. Queste nozioni Gli servirono come vedremo, più tardi, e le
mise in pratica.
Rimase sei mesi
presso lo Zio e poi ritornò facendo il giro del Capo di Buona Speranza, ma
ammalò e dovette sbarcare a Zanzibar, ove stette un mese tra la vita e la
morte, soccorso dalla Madre, accorsa subito al Suo capezzale. Della Sua
malattia e delle angoscie materne troviamo indelebile nobilissima traccia nelle
pagine scritte dalla Duchessa Madre nel Suo libro:
« Ma vie errante
».
Ritornato in
Patria nel 1920 fu destinato a Palermo. Era l’epoca tremenda del dopo guerra
Italiano, quando imboscati e disertori si riunivano per dare veste di ideale
alla fellonia ed alla viltà, quando i vari Misiano stavano per essere inviati
in parlamento. Del resto, sempre, nelle ore torbide della nostra vita nazionale
la diserzione diventa un Ideale, il tradimento diventa virtù, l’incitamento
alla rivolta esige il suo premio e l’uno o gli altri conducono in parlamento
quando non portano addirittura ad una poltrona ministeriale!
Fu per sfuggire
a tale stato nauseante di cose che Amedeo, sotto il nome di capitano della
Cisterna se ne andò al Congo belga, a Stanleyville a fare l’operaio in una
fabbrica di sapone.
Voglio vedere
cosa sarei capace di fare nella vita civile se fossi nato diversamente da come
sono nato, Egli affermò.
E non si può
dire che l’esperimento non sia riuscito, perché da operaio semplice divenne
capo operaio, e poi assistente, ed alla fine del 13° mese era già
vice-direttore della grande fabbrica e stavano per nominarlo direttore, quando
dette le dimissioni per ritornare in Italia; e solo allora si seppe chi era. La
cronaca pettegola dette un’altra versione di questa strana sosta di oltre un
anno nel Congo. Si vociferò che ad una cerimonia, vedendo arrivare il Re e la
Regina, Amedeo avesse detto sorridendo: ecco Curtatone e Montanara, alludendo
alla bassa statura del Re ed alle origini Montenegrine della Sovrana; e che il
Re, venuto a conoscenza del fatto dal riferimento di uno zelante che aveva
inteso, avrebbe punito il Principe con un anno di sospensione dal grado e dai
privilegi regali, così che, per sfuggire allo scandalo,
Amedeo sarebbe
andato al Congo.
Vero o falso che
sia voglio dire che il fatto è verosimile, poiché si inquadra nella mentalità
spregiudicata semplice e ridanciana del Principe, il quale però, se disse
quella frase ciò fece per fare dello spirito, senza ombra di irriverenza verso
quel Re, cui, nella Sua ora suprema, di fronte alla solennità della Morte,
doveva, venti anni dopo, c come già aveva fatto il Suo Augusto Genitore,
riaffermare devozione e fedeltà, spirando con sulle labbra il Suo nome e quello
dell'Italia adorata.
Ritornò dunque
dopo 13 mesi dalla lunga esperienza del Congo, ritornò con una carovana da Lui
allestita lungo i grandi laghi equatoriali, il Victoria ed il Tangunica, e
sostò ai piedi del Ruvenzori, in memoria dello Zio che ne aveva fatto la
scalata, ed, ultima tappa del viaggio, prima di imbarcarsi a Mombasa, fu a
Nairobi, quella fatale Nairobi, dove doveva venti anni dopo chiudere la Sua
nobile vita.
L’Amore
dell’Africa ormai lo teneva, ed in Africa riuscì a farsi destinare nel 1925,
rimanendovi per sei anni, fino al 1931, salvo brevi parentesi a Torino per la
scuola di guerra, o quella ancor più breve ma importante del Suo matrimonio nel
1926 con Anna di Francia, la dolce e nobile compagna della Sua vita.
L’Italia stava
riconquistando la Libia, di cui non aveva potuto occuparsi durante la guerra,
mantenendo solo la costa. Ed in queste operazioni di polizia che talvolta si
tramutavano in vere e proprie e sanguinose battaglie, seguito dal Maggiore
Volpini, Suo aiutante, che doveva poi morirGli accanto da Generale sul picco
dell’Amba Alagi, Amedeo si distinse perché fu infaticabile e temerario, a
piedi, a cavallo, a dorso di cammello, a bordo di areoplani, mitragliando i
ribelli a volo radente, tornando con l’apparecchio crivellato di colpi.
Tutte le marce e
le battaglie, di Zella, dei pozzi di Bir Tagritt, Nufilia, Marzuk, Kufra,
ricordano il Suo nome. Con la occupazione di Kufra la colonia era ridonata
completamente, totalmente alla Patria, e la si poteva oramai attraversare in
piena tranquillità dalla costa fino al più profondo deserto. Ritornato in
Patria alla morte del Padre, il Comandante vittorioso della III Armata,
avvenuta nel 1931, morte che commosse tutti gli Italiani, non solo per il
passato glorioso del Duca ma per un Suo testamento spirituale che rimane una
delle pagine umane più nobili e belle che siano mai state scritte, Amedeo
divenuto Duca di Aosta, passò l’anno seguente nella aviazione. Si compiva così
un Suo ardentissimo voto.
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