Il Quirinale non
era però solo
sede di incontri
politici, ma per precisa
volontà del Principe
Umberto, anche sede di
iniziative assistenziali e benefiche
o simili, quale ad
esempio il 21
gennaio 1945, un pranzo
offerto a 50
soldati del Battaglione
“San Marco”, con il
suo personale intervento, o
il giorno di
Pasqua del 1945, un pranzo
per ben 500
bambini poveri e 100
soldati.
E sempre in
questa data viene
aperto un ambulatorio
per bambini mutilati civili di
guerra, intitolato “Maria Gabriella”,
come pure saranno aperti
la casa “Maria Beatrice” per bambini
mutilati di guerra, la colonia elioterapico
“Maria Pia” per
bambini dei quartieri
operai, e una cucina
per gli indigenti
“Mafalda di Savoia” e varie altre iniziative per
chiudere con un
Ufficio di Assistenza, che solo
nel 1945, distribuì 10 milioni di
contributi, cifra
rappresentante il 90%
degli emolumenti del Luogotenente.
Ed a proposito
di queste attività
è interessante un
dialogo tra De
Gasperi, che essendone venuto
a conoscenza, ed evidentemente
apprezzandole, si rivolge a
Lucifero, quasi incitandolo:
“le rendete note
queste cose?” e
Lucifero che rimane
interdetto, quasi non pensando
all’effetto propagandistico che
avrebbero avuto. E queste
azioni benefiche sarebbero
proseguite particolarmente dopo
il rientro a
Roma, della Principessa Maria Josè, il 7 giugno
1945, e quello successivo
dei giovani principi, con
il pranzo di
Natale per 100 bambini
poveri, un altro analogo
per il Capodanno ed un ulteriore per l’ Epifania, dove
appunto i principini
più grandi aiutavano
nel servizio.
Quella solitudine del
Principe, cui accennammo all’inizio, si era
notevolmente attenuata perché
oltre, logicamente al Ministro
della Real Casa, ed
agli aiutanti di
campo, generale Adolfo Infante
e l’ammiraglio Franco
Garofalo, si erano riavvicinati
alla Corona, Vittorio Emanuele
Orlando, al cui parere venivano
sottoposti numerosi problemi giuridici, Francesco Saverio
Nitti, che rientrato dall’esilio, aveva pronunciato
un importante discorso
al San Carlo
di Napoli sottolineando
la funzione stabilizzatrice e
moderatrice della Monarchia, e
persone più giovani
quali Carlo Scialoja, esperto di
diritto, e per la
politica estera, Giovanni Visconti
Venosta, diplomatico, entrambi
discendenti da famiglie che già avevano
dato importanti contributi
nel Risorgimento e nel successivo Regno, nonché alcuni giornalisti
fra i quali
Luigi Barzini jr., Ugo
D’Andrea ed il
liberale Manlio Lupinacci, che troveremo
nel gruppo che
salutò il Principe, divenuto Re,
quel triste pomeriggio del 13 giugno
1946 a Ciampino.
Ebbene tutte queste
attività del Principe, di
cui ricorderemo fra
l’altro il messaggio
di Capodanno del
1946, letto alla radio, indirizzato ai
nostri prigionieri di
guerra, e l’accoglienza, il 17
novembre 1945, a reduci
dalla Russia, presente anche la
Principessa, che, a sua volta, aveva
ripreso diversi contatti
con personalità della
cultura, in primo luogo Zanotti
Bianco, non mutavano la
propensione repubblicana anche
di personalità lontane
dai comunisti, il cui
atteggiamento è perfettamente
descritto dal conte
Carandini in questa
frase: “La Monarchia è
una causa perdente
e non vale
sciuparsi in combattimenti
di retroguardia” o in
quella, ancor più cinica, di
Meuccio Ruini: “Dobbiamo schierarci
per la repubblica, giacché se vince la
Monarchia, questa ci perdonerà e
saremo sempre lo stesso
ministri, consiglieri di stato….”. In
realtà nessuno di
questi politici appartenenti alla
nobiltà ed all’alta
borghesia, aveva effettivi contatti
con il popolo, ed
ignorava quanto invece
la Monarchia, come si vide
nel successivo referendum, malgrado la
propaganda contraria, la quasi
totale impossibilità di
una propaganda monarchica in
tutto l’Italia Centro settentrionale, gli scarsi
mezzi finanziari a
disposizione, avesse radici ben
profonde, ed anche, specie da
parte delle donne, alle
quali era stata
finalmente concesso il
diritto di voto,
un attaccamento, se non
affetto, per la famiglia
reale, e particolarmente per le
sue Regine, che erano
state esempio per
i costumi morigerati ed
il tenore di
vita.
Quanto alla situazione
politica, riunitasi
finalmente la già
citata Consulta Nazionale, il
25 settembre, con
l’elezione di Sforza
a Presidente, nel governo
Parri si erano accentuate
le spinte demagogiche, specie per
una epurazione ancor
più radicale, per cui da parte
liberale cresceva l’insofferenza per
questo modo di
agire, così dopo
un acceso dibattito
interno, i liberali provocarono
la crisi del
governo, anche se Parri, stranamente attaccato
alla poltrona avrebbe
voluto continuare a
governare senza i
liberali , ma è la
Democrazia Cristiana a
dargli il “colpo di
grazia”, costringendolo a presentare
le dimissioni al
Luogotenente il 24 novembre
del ’45. In questa
occasione Parri tenne
un infelice discorso, criticato dallo
stesso Nenni, dove
aveva spiegato le
sue dimissioni come frutto
di un “colpo
di stato” (sic), anche se poi si
corresse chiamandolo “colpo
di mano”. E queste
infelici espressioni oratorie erano presenti anche nel suo
discorso del precedente
26 settembre, alla Consulta, dove aveva pronunciato
la frase, storicamente falsa,
come lo
rimbeccò Benedetto Croce, che
“neppure prima del
fascismo, vi era stata
in Italia, una vera
democrazia”.
Ripresa così delle
consultazioni, con i tentativi, non riusciti, di
inserire nel governo
gli esponenti del
liberalismo storico, affiorò il
nome come possibile
nuovo Presidente del
Consiglio, del leader democristiano, De Gasperi, ed
il Luogotenente gli
affidò l’incarico di
formare il nuovo
governo con tutti
e sei partiti
dell’Esarchia, che era divenuto
il termine per
definire il potere del CLN. La costituzione
di questo governo non si rivelò
facile per le
pur giuste richieste
liberali che non
trovavano accoglimento negli altri
partiti, tanto che sembrava
essere orientato De
Gasperi ad un
governo senza i
liberali se non
fosse stato proprio
richiamato dal Luogotenente
al rispetto dell’incarico
conferitogli di un
governo a sei, che, costituitosi, giurò
con la solita formula,
il 10
dicembre. Purtroppo in tali trattative
quel Ministero dell’Interno, che in
precedenza era stato
negato ai socialisti
da liberali e
democristiani, fu concesso loro
con una incredibile leggerezza, particolarmente grave
specie da parte
della DC che
ebbe, oltre agli Esteri, confermati a De
Gasperi, due ministeri minori, e
per questo incarico
i socialisti indicarono
Romita, notoriamente
repubblicano. E tale nome non
trovò opposizione neanche
nel Ministro Lucifero, che
sottovalutò l’importanza che
i due ministeri
chiave, giustizia ed interni, fossero in
mani socialcomuniste, e quindi
repubblicani, ed anzi,
riferendosi proprio a
Romita, in un successivo
incontro del 12
dicembre, lo definì “un
galantuomo”, per cui riteneva
sufficiente questa qualifica a tranquillizzare il
Luogotenente. Forse sia lui
che il Principe, ignoravano non
solo il repubblicanesimo del
Romita, ma proprio l’avversione
a Casa Savoia, che
sarebbe venuta fuori
anni dopo nel
libro di memorie, dove
Romita la definisce
come “la più
inetta dinastia europea”, con
una incredibile malafede, frutto di
ignoranza storica, ingiustificabile in
un piemontese che, almeno, avrebbe dovuto
conoscere la storia
della propria regione. Romita infatti, fin
dal primo giorno
del suo incarico
lavorò, e lo confessa
nelle memorie, per il
trionfo della repubblica, con ipocrisia, sempre acquiescente stranamente
la DC, come nel
caso delle prime
elezioni amministrative del
successivo marzo del 1946
per cui uno
storico, Andrea Ungari , afferma, e non mi
sento di dargli
torto, che la “repubblica
era già fatta
il martedì 11 dicembre
1945”. Così per l’eterogenesi
dei fini la
crisi aperta dai
liberali per evitare
lo scivolamento a
sinistra del governo
Parri, portava ad un
governo, salvo il Presidente
del Consiglio, maggiormente squilibrato
a sinistra e
per la repubblica.
In questi mesi
che separano la
nascita del primo
governo, presieduto da un
cattolico, nella storia del
Regno d’Italia, il fatto
più importante ed anche
l’unica vittoria luogotenenziale, fu l’affidamento
ad un referendum
la soluzione della
questione istituzionale, con il
Decreto del 16
marzo 1946, n.98, la cui
firma fu accompagnata
da una lettera
personale del Principe
al Presidente del
Consiglio, che trascriviamo integralmente, rappresentando la
sintesi del pensiero
politico del Luogotenente e
della Sua correttezza
costituzionale:
“Signor Presidente,
Le restituisco,
muniti della mia
sanzione, i provvedimenti con
i quali si indice
il “referendum” sulla forma
istituzionale dello Stato e
si convoca l’Assemblea
Costituente che dovrà decidere sulla
nuova Costituzione.
Nel compiere quest’atto sento di ricongiungermi alle
gloriose tradizioni del
Risorgimento nazionale, quando,
attraverso eventi memorabili indissolubilmente legati
alla storia d’Italia, la
Monarchia poté suggellare l’unità della
Patria e i
plebisciti furono l’espressione
della volontà popolare
ed il fondamento
del nuovo stato
unitario.
Questo ossequio alla
volontà popolare dettò
anche la decisione
del mio Augusto
Genitore di ritirarsi
irrevocabilmente dalla vita
pubblica per facilitare. Come Egli
stesso affermò, l’unità nazionale. Il
medesimo pensiero mi
indusse a sanzionare
il Decreto del 24
giugno 1944, che rimetteva
al popolo italiano
la scelta delle forme
istituzionali.
La sanzione di
oggi è dunque
il coronamento di
una tradizione che
sta a base
del patto fra
Popolo e Monarchia, patto che, se riconfermato, dovrà costituire
il fondamento di una
Monarchia rinnovata, la quale
attui pienamente l’autogoverno
popolare e la giustizia sociale.
In questo solenne momento non posso fare a
meno di rivolgere un commosso
pensiero ai nostri fratelli ancora
prigionieri e internati, ai
cittadini tutti di
ogni terra italiana, i quali – per ragioni
indipendenti dalla nostra
volontà e che per
rispetto della giustizia devono considerarsi
contingenti – non potranno partecipare
alla consultazione che dovrà
decidere anche del loro
avvenire.
Confido che il Governo
saprà provvedere affinché
le elezioni si
svolgano nella massima libertà
degli individui e
delle coscienze, per
assicurare quest’ultima, ho dato, con le disposizioni testé
sanzionate, libertà di voto
a quanti sono
legati dal giuramento.
Io, profondamente
unito alle vicende
del Paese, rispetterò come ogni
italiano le libere
determinazioni del popolo, che, sono certo, saranno ispirate
al migliore avvenire della
Patria.
Voglia, signor
Presidente, comunicare ai signori
Ministri questa mia
lettera, che considero un doveroso
contributo alla serenità
della consultazione popolare.
Roma, 16 marzo 1946 Aff.mo Umberto
di Savoia
CONCLUSIONE
A questo punto
necessita una riflessione: cosa aveva
giovato al Luogotenente, con la
sua innata signorilità, l’ aver esercitato con competenza,
in forma
discreta, formalmente
ineccepibile, la funzione di Capo dello
Stato, come osserva Ludovico Incisa, quando dalla
parte dei ministri e dei partiti
repubblicani, nessuno si era
mosso dalle sue
posizioni e convinzioni
aprioristiche, contrarie al mantenimento della Monarchia, pur rappresentata da questo Principe? Sempre Incisa
definisce “evanescente e patetica, politicamente
rassegnata” la Sua
figura, dimenticando e sottovalutando quanto
aveva fatto in
quei mesi il Luogotenente,
attività che abbiamo
seguito e descritto. Non pensava
che Umberto di
Savoia era stato
educato a fare
il Re, e non
poteva quindi trasformarsi
in capo di
un partito o
di una fazione, quando il
ruolo di un Re,
e lo
avevano ampiamente dimostrato
i suoi predecessori, era quello
di essere al
di sopra delle parti
e di rappresentare
il vertice dello Stato,
in cui
tutti i cittadini potessero
riconoscersi. O come scrivono
altri storici, pure non
avversi alla Monarchia, c‘era in
Lui una propensione ad
espiare colpe non
sue, ammesso che fossero
colpe? Eppure la risposta, la
motivazione del suo
modo di agire, esisteva
e ne dette
prova quando partì
dall’ Italia, ed era quella
di non acuire
le tensioni tra
gli italiani, di arrivare
quanto prima alla
pacificazione tra gli
stessi, ancor oggi
non raggiunta dopo
71 anni (vedi la proposta
di amnistia, dopo la
Sua elevazione al Trono, amnistia che Togliatti, ministro della
Giustizia, ed il Governo non concessero), e sopra
tutto di evitare lo
scorrere ulteriore di sangue
fraterno. Il pensiero regale per gli
umili, come da carità
cristiana, l’amore per la
Patria, per il mantenimento, ad ogni
costo, della unità della
stessa, raggiunta per merito
della sua Casa, sentimenti e valori ereditati
dal Padre, Vittorio Emanuele, definito da Domenico
Fisichella “l’ultimo uomo
del Risorgimento”, che quando, forse
tardi, abdicò, il 9 maggio
1946, prendendo la strada
dell’esilio, nella sua agenda, il
successivo primo gennaio
1947, scrisse “Viva l’ Italia ,
ora più
che mai”, avrebbero
fatto dire al
Principe, divenuto Re, in un
messaggio alla vigilia
del Referendum, che se
la Monarchia avesse
prevalso per pochi
voti, era disponibile ad
un secondo referendum, perché intendeva
governare con un
vasto consenso popolare
e non con il
51%. Questo atteggiamento da Re,
mantenuto per tutta
la vita, anche in esilio, spiega
perché per decenni, fino
al termine della
Sua vita terrena, 18 marzo
1983, tantissimi italiani si
recassero a visitarlo in
Portogallo, altri numerosi seguissero con affetto
in Italia la
sua vita, leggessero con interesse
le sue
interviste, ancora scrittori, giornalisti e
storici rivalutassero la sua
figura riconoscendo il
sacrificio della sua
partenza dall’Italia, altri ancora combattessero
democraticamente ed a
viso aperto la
battaglia monarchica, così che
tanti volgessero lo
sguardo verso Cascais, sperando, forse, in un Suo ritorno.
Domenico Giglio
Appendice
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Bibliografia:
1) Falcone LUCIFERO: “L’ultimo RE- diari
del Ministro della
Real Casa - 1944 - 1946” -
editore Mondadori- collana “Le
Scie” - 2002
2) Giovanni ARTIERI: “ Umberto II
e la crisi
della Monarchia “- editore Mondadori – collana “Le
scie”-1983
3) Luciano REGOLO: “ Il
Re Signore” – editore Simonelli – 1998
4) Gianni OLIVA: “Umberto II - L’ultimo Re - editore
Mondadori – 2000
5) Domenico FISICHELLA: “Dittatura e
Monarchia “ - editore Carocci -
collana Sfere - 2014
6) Ludovico INCISA di
CAMERANA : “Umberto II e
l’Italia della Luogotenenza
“- editore Garzanti- 2016
7) Andrea UNGARI: “In
nome del RE - i
monarchici italiani dal
1943 al 1948 “-editore “Le
lettere”- 2004
8) Gianni OLIVA : “I vinti e i liberati
- 8 settembre 1943-25
aprile 1945-Storia di
due anni “ editore Mondadori - collana “Le
Scie”- 1994
9) Aldo A. MOLA : “Declino
e crollo della
Monarchia in Italia - I
Savoia dall’unità al
referendum del 2
giugno 1946 “ - editore Mondadori - collana “Le Scie “- 2006
10) Giovanni ARTIERI: “Cronaca del
Regno d’Italia “ - volume secondo - editore Mondadori – 1978
11) Aldo A. MOLA: “Umberto II di Savoia “- editore Giunti - 1996
12) Niccolò RODOLICO - Vittorio PRUNAS TOLA: “ Libro Azzurro
sul Referendum “ – editore “Superga” - 1963
13) Enrica LODOLO: “Savoia “ - editore Piemme -1998
14) Silvio BERTOLDI : “Savoia - Album dei Re
d’Italia “ -editore Rizzoli - 1996
15) Vincenzo STALTARI: “Umberto II “- editore Istituto
Teano di Cultura – 2003
16) Oreste GENTA: “S.M. Umberto II durante
il periodo della
Guerra di Liberazione “- edito
da INGORTP - conferenza tenuta
al Circolo REX -
29 gennaio 1989
17) Oreste GENTA: “S.M. Umberto II
nei due anni
di Regno “ – edito da
Ingortp - conferenza tenuta
al Circolo REX - 21
gennaio 1990
18) Franco GAROFALO: “Pennello nero - La
Marina Italiana dopo
l’ 8 settembre 1943 .” edizioni della
Bussola - 1945
19) Giovanni SEMERANO e Camillo ZUCCOLI: "La verità sul Referendum" - edizioni "Monarchia Nuova", Roma 1996.
19) Giovanni SEMERANO e Camillo ZUCCOLI: "La verità sul Referendum" - edizioni "Monarchia Nuova", Roma 1996.
Egregio dottor Giglio, ho letto con piacere il suo breve saggio sulla luogotenenza del principe Umberto...vorrei richiamare la Sua attenzione su di un passaggio che mi lascia molto perplesso: Lei sottolinea il fatto che il principe Umberto non avrebbe potuto fare il capo di una fazione o di un partito, perchè educato a fare il re, come i suoi predecessori che erano sempre stati al di sopra delle parti. Ella non crede che suo padre, Vittorio Emanuele, avallando la dittatura di Mussolini, non si sia schierato a fianco del fascismo? So bene che Mussolini arrivò al governo liberamente eletto dal parlamento, ma questi stravolse in breve tempo la vita politica italiana, arrivando a cancellare ogni forma di democrazia e di espressione del libero pensiero, senza che il Sovrano abbia mai fatto nulla per ostacolare tale deriva.
RispondiEliminaI Sovrani costituzionali hanno un ruolo molto più difficile di quanto non si possa pensare. "Il Re regna, ma non governa" è la sintesi. Per cui, come nel caso di Vittorio Emanuele III, lo sviluppo del governo Mussolini, in regime, avvenne gradualmente e sempre legalmente dal 1925 o meglio dal 1928 in poi e, De Felice insegna, con il consenso tacito e non, della maggioranza degli italiani, che toccò il suo culmine nel 1936 con l'esito positivo dell'impresa etiopica. Ancora nel 1938 dopo l'incontro di Monaco di Baviera il prestigio di Mussolini era elevato. I margini di manovra di un Re costituzionale erano ridotti anche se in alcune occasioni sappiamo essersi opposto , ed i diari di Galeazzo Ciano ne sono testimonianza. Il Re aveva i suoi fedeli nelle Forze Armate, ed in tanti altri organismi, dalla diplomazia alla magistratura, ma fino a quando Mussolini avesse goduto del consenso della maggioranza, uno scontro avrebbe portato ad una guerra civile, che mai il Re (come poi suo figlio) avrebbe voluto provocare, o alla sua abdicazione dalla quale l'Italia nulla avrebbe guadagnato, vedi la Germania hitleriana e la Russia staliniana.
RispondiEliminaDomenico Giglio