Sono molti gli episodi che sono
stati scritti per raccontare la grande Guerra, ma spesso ho constatato che i
nostri storici e i nostri uomini di cultura abbiano avuto la tendenza a
dimenticare certe piccole schegge di grande eroismo per esaltare solo una parte
della storia. In questi mesi di rievocazione si sente parlare poco del ruolo
che ebbe il Re Vittorio Emanuele III, il cui fondamentale contributo non viene
spesso valorizzato come si dovrebbe.
Ogni atto di eroismo non viene
ricordato come meriterebbe.
La storia che i soldati hanno
tracciato con il loro eroismo è una storia vera e senza macchia. Non ci possono
essere delle macchie per coloro che hanno dato per la patria i migliori anni
della loro vita.
Questo Paese così aperto a ogni
contributo dovrebbe ricordare questi fanti d’Italia che non arretrarono per dare al Paese gloria e onore.
Studiando la grande guerra ho sempre cercato di valorizzare qualsiasi ricordo;
forse perché ho avuto per maestro uno zio che era stato bersagliere nella
Grande Guerra.
Uno zio che visse gli ultimi anni
della sua vita in una stanza da letto e fino all’ultimo istante osservava un
quadro appeso alla parete vicino al crocifisso. In questo quadro, dalla cornice
di legno, raffigurava lo zio in uniforme e il cappello da bersagliere, accanto
alla sua amata moglie.
Questo zio diceva spesso che chi
aveva prestato giuramento alla patria l’avrebbe onorata per tutta la vita e per
essa sarebbe morto. L’altra promessa di fedeltà eterna l’aveva fatta quel
giorno che si era sposato. Lo zio Gaetano era fiero di essersi comportato in un
certo modo e per questo la sua esistenza era stata davvero una storia pulita.
Dalla vita aveva ricevuto alcuni dispiaceri, ma il Signore gli aveva dato la
forza per superarli e andare avanti. Forse era come suo padre, che quando
perdette sua moglie, era sempre in cimitero a pregare. Aveva passato la sua
vita con i suoi nipoti e con la cognata.
La moglie Rosa era mancata nel 1952, alcuni anni dopo la fine della
guerra. Rosa era stata l’amore della sua vita, quell’amore che non si cancella.
Lui morì vent’anni dopo la morte della moglie e fece in tempo a ricevere la
medaglia che lo Stato dava a quelli che avevano combattuto nella Grande Guerra.
Gaetano aveva fatto incorniciare
quella medaglia assieme all’attestato. Riceveva pure una pensione di guerra
dell’importo di trentamila lire e con quei soldi si poteva comperare i toscani.
Negli ultimi anni sapeva misurare le sue forze e ogni giorno combatteva per la
vita. Suo padre aveva vissuto una esistenza più difficile, combattendo undici
anni con Garibaldi. Tante volte lo zio Gaetano aveva sentito raccontare le sue
storie di guerra a coloro che venivano a trovarlo. Il vecchio zio Gaetano aveva trovato in un
libro di scuola di suo nipote un racconto di guerra che lo aveva interessato
molto. Questo racconto lo aveva talmente commosso che spesso chiedeva a suo
nipote di leggerlo a voce alta.
Il racconto s’intitolava: “
L’inno Reale a Montesanto”. “ Nel Monte Santo è avvenuto ieri sera qualche cosa
d’incredibile. Erano le dieci. Stava per nascere la luna. Qualche proiettile
passava sibilando dall’Isonzo sull’altipiano di Ternova : qualche altro
sibilava in partenza da Ternova. Colpi di fucile si sgranavano appena sotto il
Santo, verso il San Gabriele, dove italiani ed austriaci stavano ad una
quarantina di metri di distanza tra le due linee, con l’ordine di non parlare
per non farsi sentire. All’improvviso echeggiarono trionfalmente nel buio le
note della Marcia Reale, intonate da una banda con uno slancio straordinario. Venivano
dal Monte Santo. Sulla vetta suprema della montagna vinta, la sera dopo la
conquista, con la battaglia ancora vicinissima, una banda italiana teneva
concerto sullo spiazzo dominante, fra le macerie del convento.
Era la banda divisionale dei quattro reggimenti che vi avevano combattuto. Sui fianchi del monte, sulle nuove linee a valle, sulle trincee sgretolate a mezza costa del San Gabriele, gli Italiani urlavano di gioia. L’insolenza in faccia al nemico era veramente, supremamente italiana. Lì, sotto la sella di Dol, stava in linea contro il nemico a quaranta metri dalle trincee austriache, un reggimento nostro. Il colonnello si levò e urlò nel fuoco: - Soldati: in piedi! At…tenti ! I soldati elettrizzati si drizzarono, si rimpettirono nelle trincee. La musica continuava. Il colonnello gridò ancora : - Miei soldati gridiamo forte in faccia al nemico: Viva L’Italia!, Viva il RE! Viva la Fanteria! I soldati gridarono forte i tre evviva. Una scarica di cannonate austriache si avventò contro il Monte Santo. La musica continuò tranquillamente. Suonò la Marcia Reale. Il ghigno dei cannoni austriaci inveleniti riprese. La banda suonò l’inno di Mameli. molti occhi italiani, che non hanno mai pianto per le sofferenze atroci di questa guerra, molti occhi italiani piangevano di gioia. E l’ultima nota dell’inno si affievolì in un clamore di “ Evviva” Urlato da tutte le nostre linee al di là … Poi la battaglia continuò”. (Arnaldo Fraccaroli)
Era la banda divisionale dei quattro reggimenti che vi avevano combattuto. Sui fianchi del monte, sulle nuove linee a valle, sulle trincee sgretolate a mezza costa del San Gabriele, gli Italiani urlavano di gioia. L’insolenza in faccia al nemico era veramente, supremamente italiana. Lì, sotto la sella di Dol, stava in linea contro il nemico a quaranta metri dalle trincee austriache, un reggimento nostro. Il colonnello si levò e urlò nel fuoco: - Soldati: in piedi! At…tenti ! I soldati elettrizzati si drizzarono, si rimpettirono nelle trincee. La musica continuava. Il colonnello gridò ancora : - Miei soldati gridiamo forte in faccia al nemico: Viva L’Italia!, Viva il RE! Viva la Fanteria! I soldati gridarono forte i tre evviva. Una scarica di cannonate austriache si avventò contro il Monte Santo. La musica continuò tranquillamente. Suonò la Marcia Reale. Il ghigno dei cannoni austriaci inveleniti riprese. La banda suonò l’inno di Mameli. molti occhi italiani, che non hanno mai pianto per le sofferenze atroci di questa guerra, molti occhi italiani piangevano di gioia. E l’ultima nota dell’inno si affievolì in un clamore di “ Evviva” Urlato da tutte le nostre linee al di là … Poi la battaglia continuò”. (Arnaldo Fraccaroli)
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