Lo sappiano, i torinesi. Grillo
detesta il Risorgimento. Di recente ha
richiesto l’istituzione per il 13 febbraio di un ennesimo Giorno della Memoria
per ricordare quelle che lui definisce le vittime del Risorgimento, nell’anniversario
della caduta di Gaeta e della fine del Regno borbonico delle Due
Sicilie che concluse la spedizione dei Mille di Garibaldi, dopo l’incontro a
Teano tra il condottiero dei Due Mondi e Vittorio Emanuele II.
Forse Grillo pensa di sottrarre
voti alla Lega, temibile concorrente al Nord
nella rincorsa populistica, demonizzando la nostra storia come fece
Bossi in passato. La Lega in effetti ha
accantonato i temi antisorgimentali e addirittura il 24 maggio 2015 - centenario dell’ingresso
dell’Italia nella Grande Guerra -
Salvini e Zaia sono andati in riva al Piave ad attingere acqua del "fiume
sacro" come Bossi faceva alle sorgenti del Po.
Grillo nella sua sbornia demagogica
vuole travolgere tutto, in primis la democrazia rappresentativa con il ricorso
al mito di un nuovo Rousseau in rete. Il richiamo a Rousseau, almeno alle
persone colte, dovrebbe essere sufficiente per capire cosa si celi dietro quel
nome: la giustificazione a priori del giacobinismo che dalla Rivoluzione
francese a quella russa di cent’anni fa ha intossicato due secoli con
ghigliottine, terrore e stragi.
Ma come è possibile che nessuno a
Torino abbia levato la sua voce contro la proposta di Grillo di celebrare le
presunte vittime del Risorgimento ?
E’ passato esattamente un mese
dalla proposta, ma il silenzio l’ha fatta da padrone.
La Torino che fu prima Capitale
d’Italia e prima protagonista del
Risorgimento, avrebbe dovuto, a livello pubblico, prendere posizione contro
Grillo. Tutti hanno taciuto. Magari alcuni per disinformazione, altri per
disprezzo verso le sparate di Grillo, ma sicuramente alcuni hanno taciuto per
convenienza. Se oggi fosse in vita, un uomo come Narciso Nada, storico del
Risorgimento, ma anche degli Antichi Stati italiani preunitari, non avrebbe
avuto esitazioni a replicare a muso duro per le rime in quella che Adolfo
Omodeo definiva la “difesa del Risorgimento”. Lo fece insieme a me anche agli albori del leghismo. Il meridionale Croce parlò addirittura di “Sorgimento”
per sottolineare come esso fosse l’unica grande pagina della storia italiana.
Alcuni pallidi risorgimentalisti torinesi si baloccano con
altre cose, ma non hanno avuto il coraggio di replicare a Grillo, come in
passato non lo ebbero nei confronti dei
leghisti.
D’altra parte le cattedre di Storia
del Risorgimento nelle Università italiane vengono sistematicamente eliminate a
favore della Storia contemporanea, ritenendo che il Risorgimento non meriti più
studi specifici.
Solo Dino Cofrancesco, la mente più
illuminata dell’Università di Genova, gran nemico di quello che lui definisce
il “gramsciazionismo" torinese, ha scritto il suo dissenso e la sua
indignazione, ricordando le parole di Rosario Romeo, il grande biografo di
Cavour: “La crisi dell’idea di Nazione ha indotto molti italiani a rinunciare
al rispetto di sé stessi come collettività e come civiltà”.
E ha ricordato la grande lezione di
Francesco de Sanctis che, in esilio a Torino, fu anche professore nella nostra
Università. De Sanctis, sommo critico e storico della letteratura italiana e
primo ministro della Pubblica istruzione del nuovo Regno, scelto da Cavour, patì
il carcere sotto i Borboni.
Bisognerebbe opporre a Grillo la
grande lezione degli storici italiani, molti dei quali originari del Sud, che
hanno scritto la storia del Risorgimento,
contestando le tesi fortemente ideologiche
ma storicamente fragili di Gobetti e Gramsci che vollero vedere nel processo di
unificazione una rivoluzione mancata o una conquista regia.
Mi limito, rispondendo a Grillo da
modesto storico del Risorgimento, con le
parole di Giame Pintor scritte al fratello nel 1943 poco prima di morire, quando
stava iniziando il suo impegno nella Resistenza : “Il Risorgimento fu l’unico
episodio storico-politico... che (ha) restituito all’Europa un popolo di
africani e di levantini".
Non va dimenticato che Pintor era sardo
come Gramsci.
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