NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 27 luglio 2022

Le ragioni della Monarchia VIII

 


MONARCHIA E DOTTRINA CATTOLICA CONTRO LA RIVOLUZIONE

Qualcuno potrebbe pensare che un Sovrano non sia indispensabile in una società tradizionale. Vi sono una serie di buone ragioni che dimostrano che un Monarca è il necessario coronamento del tipo di società descritto, che, senza di esso, perderebbe vertice e principio informatore.

In primo luogo la figura del Sovrano, con il suo potere sacrale e non legato ad interessi politici od economici simboleggia e riassume in sé i valori spirituali e morali, garantendone la preminenza su quelli economici.

In secondo luogo la Monarchia è l'istituzione che, con la figura del Re padre dei suoi sudditi, riflette l'immagine stessa di Dio Padre e Giudice delle sue creature:

"...Serva l'uomo il suo Re dopo il suo Dio,/ ché, se non fosse 'Re' cosa tant'alta,/ non l'avrebbe al suo nome aggiunto Iddio": cosi" ha scritto Lope de Vega. La Monarchia è simbolo di ciò che è natura­le (31), perché fondata sul più naturale dei rapporti, quello tra padre e figlio. I diritti naturali promossi dal Cattolicesimo trovano la loro migliore realizzazione attraverso I' "empirismo organizzatore" delle Monarchie.

In terzo luogo la Monarchia è evidentemente garanzia di stabili­tà e continuità, quindi di salvaguardia della Tradizione.

Infine la filosofia insegna qual'è l'importanza della forma, poi­ché "Forma est id quod dat esse rei, sicut anima dat esse corpori".

La Chiesa cattolica non ha mai teorizzato esplicitamente in for­ma dogmatica la superiorità della Monarchia sulle altre forme di go­verno. In epoca prerivoluzionaria i costanti riferimenti, nei docu­menti pontifici, alla Monarchia, devono farsi risalire al fatto che in tale epoca altre forme di governo erano largamente minoritarie. Durante la Rivoluzione francese il Papa Pio VI ebbe a definire la Monarchia "praestantioris regiminis forma" (32).

Ciò premesso, va detto però che i grandi filosofi cattolici hanno sempre indicato nella Monarchia il regime ideale. Basti ricordare S. Tommaso nel "De regimine principum" e il Vescovo Bossuet nella "Politique tirée des propres paroles de l'Ecriture sainte". Juan Donoso Cortés stabilisce addirittura una corrispondenza tra dottrine in campo religioso e forme di governo. Secondo tale classificazione, al Cattolicesimo, che insegna che Dio esiste, Dio regna, Dio governa le cose umane, è connaturale la Monarchia tradizionale. Il deismo, se­condo il quale Dio esiste, Dio regna, ma non governa le cose umane, (vi è la negazione della Provvidenza), ha il suo sistema ideale nella Monarchia costituzionale. Il panteismo, secondo il quale Dio esiste però non è una persona ma è l'umanità, porta a concludere che il po­tere è nel popolo, si esprime nel suffragio universale e comporta la forma repubblicana. Infine l'ateismo, la negazione dell'esistenza di Dio, porta all'anarchia (33).

Se il magistero della Chiesa non teorizza esplicitamente la superiorità della Monarchia, tuttavia la dottrina sociale della Chiesa fornisce implicitamente giustificazioni a favore della Monarchia tradizionale. La dottrina della Chiesa sull'autorità legittima, sul potere che deriva da Dio, sul retto esercizio dell'autorità, trova chiaramente la sua migliore configurazione storica nella Monarchia tradizionale, che a Dio fa risalire la sua fonte e alle leggi divine si sottomette nell'eser­cizio quotidiano della sovranità. La dottrina sociale della Chiesa ha sempre difeso, con continuità ammirevole di documenti del Magiste­ro pontificio, i principii ed i fondamenti della società tradizionale ed ha sempre condannato la Rivoluzione.

In questo quadro, ad esempio, Leone XIII condanna l'apriori­stico anti-monarchismo, S. Pio X condanna coloro che vogliono ve­dere nella democrazia la forma politica più rispondente agli ideali cristiani, Pio XII afferma che la democrazia deve essere sottomessa al la legge naturale ed alla legge divina (34).

 

 

Possiamo concludere che la Monarchia può essere considerata il coronamento della dottrina sociale della Chiesa.

Le tappe e le conseguenze della Rivoluzione sono descritte in volumi magistrali, per cui posso limitarmi ad alcuni cenni. Con l'U­manesimo e la Riforma protestante avviene una frattura nella filosofia e nel pensiero religioso. L'Umanesimo, ad un universo in cui misu­ra di tutte le cose era Dio che le aveva create, sostituisce un mondo in cui è solo l'uomo ad essere misura di tutte le cose il suo volere è potere. Il Protestantesimo respinge l'organizzazione gerarchica della Chiesa, rifiuta l'insegnamento del Magistero e della Tradizione, il li­bero esame delle Scritture è sufficiente ad istruire i fedeli, la fede, senza le opere, basta a salvare l'anima. Si spezza la mirabile sintesi tra fede e ragione operata dalla filosofia scolastica ed in particolare da S. Tommaso, viene a mancare, con la frattura tra soggetto e oggetto posta dal cogito cartesiano, la giusta soluzione del problema della verità e della conoscenza, fornita dal realismo critico, la nuova soluzione verrà fornita dall'idealismo che, basandosi sul rifiuto del reale, che vien fatto diventare un prodotto dell'io, aprirà le porte agli esiti rivoluzionari e devastatori della ragione impazzita.

Qui mi soffermerò solo su quella che è la tappa che apre le porte al processo rivoluzionario nel campo della politica, dopo che la Riforma le aveva aperte in campo religioso, il liberalismo.

Bisogna però premettere alcune considerazioni sulla Monarchia assoluta, che per certi versi spiana la strada al liberalismo. Già Tocqueville aveva osservato che la Rivoluzione francese e Napoleone I, dal punto di vista amministrativo, non avevano fatto altro che por­tare a termine l'opera di centralizzazione iniziata da Luigi XIV. L'assolutismo tende a distruggere la piramide dei corpi intermedi e le au­tonomie locali, che erano il sostegno della Monarchia tradizionale. Il volere del Re ha la pretesa di essere fonte della legge al di sopra della Tradizione, i Sovrani si alleano con la borghesia per diminuire í po­teri dell'aristocrazia. Quando la borghesia si sentirà abbastanza forte scatenerà la Rivoluzione (35). Nella Monarchia assoluta i principii che legittimano l'esercizio dell'autorità restano gli stessi della Monarchia tradizionale, in primo luogo il diritto divino, ma da un lato nei paesi protestanti viene a mancare la dottrina religiosa che ne assicu­ra la preminenza nella società (il protestantesimo, a seconda delle set­te e delle epoche, sarà veicolo dell'assolutismo e poi del liberalismo), dall'altro scompaiono o perdono di effettivo significato quelle istitu­zioni che caratterizzavano la società organica. La facciata è quasi la stessa, ma l'edificio è mutato all'interno. Con il dispotismo illumina­to, nel '700, saranno poi gli stessi sovrani ad aprire le porte alla filo­sofia dei "lumi". Tutto ciò non deve comunque far dimenticare che i fondamenti della Monarchia assoluta sono più conformi a verità e giustizia dei fondamenti delle repubbliche democratiche e che il pote­re del Monarca assoluto era molto più limitato di quanto si creda e comunque senz'altro più limitato di quello delle democrazie contem­poranee, giustamente definite totalitarie.

Vediamo qual è l'essenza del liberalismo. Esso mette sullo stesso piano la verità e l'errore, il bene e il male. A buon diritto de Maetzu afferma che la menzogna è figlia del liberalismo. Secondo Kant ed Hegel, per valutare una azione non dobbiamo vedere se essa sia buona o cattiva, ma se l'agente è libero o no. Ma la realtà è che dalla libertà dell'agente non consegue necessariamente che l'azione sia buona.

Il liberalismo sostiene che la verità non esiste, o non può essere né data a priori né conosciuta. Ognuno avrà la sua verità. Ma la socie­tà non potrebbe più funzionare se non vi fosse una qualche autorità, solo che non può più essere un'autorità depositaria del vero, ma solo un arbitro. Il padre Taparelli d'Azeglio mostra molto bene le conseguenze di ciò: "Ben inteso che quando si sceglie l'arbitro, se ne accet­ta la sentenza pratica per necessità, senza legare l'intelletto a credere vera la sentenza specolativa. Si accetta la prima, perché la necessità sociale l'impone, si ricusa la seconda perché nella ragione privata una necessità contraria si oppone... Così l'arbitrato regola l'opera esterna e, materiale, lasciando liberi gli intelletti al di dentro a condannare dottrinalmente ciò che praticamente si eseguisce" (36).

E ancora: "Ammessa l'indipendenza piena ed eguale per tutti nel pensiero, nella coscienza, nell'opera, più non è possibile la società, se non si trova un arbitro a cui soggettarli. Quest'arbitro non può essere la verità, perché l'indipendenza del pensiero concede a ciascuno il di­ritto di credere vera la propria opinione. Non essendo legati gli uomi­ni dal diritto della verità, ed essendo pur necessario un vincolo di unità sociale, altro non rimane che la forza della pluralità. Ora la forza imposta senza i diritti del vero e del giusto è forza dispotica. Dunque ammessa la libertà eterodossa, ossia l'uguale indipendenza di tutti gli intelletti, la società non esiste se non con l'aiuto del dispotismo..." (37)

Naturalmente oggi solo un ingenuo può credere che in democra­zia sia veramente la maggioranza del popolo a decidere. Già Rousseau aveva detto chiaramente che la volontà generale non coincide necessariamente con la volontà della maggioranza. La libertà per il popolo finisce nel momento in cui esso osa mettere in discussione la Rivolu­zione (38).

 

 

Dice Cochin: "I principii sono la volontà del popolo a priori, se il popolo reale decide conformemente, bene, altrimenti il popolo delle società lo corregge" (39).

Per capire quanto odio dobbiamo avere per il liberalismo, basti riflettere su chi è il prototipo del liberale nelle Sacre Scritture: Ponzio Pilato. Leggiamo il Vangelo di S. Giovanni (18, 37 40; 19, 16): "Gli disse allora Pilato. 'Dunque sei re, tu?!'. Rispose Gesú: 'Tu lo di ci: io sono re. lo per questo son nato e per questo sono venuto nel mondo. per dar testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce'. Gli dice Pilato: 'Che cosa è la verità?' ". Ecco il dubbio liberale. "E detto questo usci di nuovo verso i Giudei e disse loro: 'lo non trovo in lui alcun motivo di condanna. Ma è per voi con­suetudine che io vi rilasci qualcuno in occasione della Pasqua. Volete che vi rilasci il re dei Giudei?' ". Il dubbio liberale risolto con la pras­si democratica. Ma c'è di peggio. Pilato sa che cos'è male, ma non vi si oppone. "Pilato dice loro: 'Prendetelo voi e crocifiggetelo! lo non trovo in lui alcun motivo di condanna' ". È il prototipo del conserva­tore benpensante, cosa ben diversa dal contro-rivoluzionario, che sa bene che cosa è male, lo disapprova, ma non fa nulla per reprimerlo, o per quieto vivere o perché, da buon liberale, lo mette sullo stesso piano del bene, riconoscendogli uguali diritti.

Farei torto all'intelligenza dei lettori se mi attardassi a dimostra­re che il liberalismo è solo una tappa sia verso il capitalismo totalita­rio sia verso il comunismo e le estreme conseguenze, nelle tendenze, nelle idee, nelle istituzioni, del processo rivoluzionario. Il totalitari­smo degli stati moderni è anche conseguenza del loro laicismo, defini­to da Pio X l "peste della età nostra", del loro rifiuto di sottomettersi ad una finalizzazione religiosa trascendente per erigersi essi stessi a re­ligione puramente umana. La laicità del cristiano in politica non ha senso, se si crede in valori superiori ed eterni, essi devono ispirare la nostra condotta in ogni momento.

32)     Allocuzione del 17-6-1793 al Concistoro sull'uccisione di Luigi XVI da parte dei rivoluzionari francesi.

33)     Discorso alle Cortes spegnole del 30-1-1850, cit. in P. Siena (a cura di), Do-noso Cortés, ed. Volpe, 1966, pp. 87-88.

34)     Leone XIII, enciclica Au milieu des sollicitudes, 16-2-1892; S. Pio X, lette­ra apostolica Notre Charge Apostolique, cit.; Pio XII, Radiomessaggio del S. Natale 1944.

35)     L'Inghilterra, dove aristocrazia e borghesia furono unite nel limitare i pote­ri del Sovrano, ha avuto una diversa evoluzione.

36)     Da Civiltà Cattolica, anno 1860, ora in La libertà tirannia, ed. di Restaura­zione Spirituale, 1960, p. 34.

37)     Ibidem, p. 38-39.

38)     Ad esempio in Italia le leggi Scelba e Reale puniscono il vilipendio della de­mocrazia!

39)     Op. cit., p. 146.

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