MONARCHIA E DOTTRINA CATTOLICA
CONTRO LA RIVOLUZIONE
Qualcuno potrebbe pensare che un Sovrano non sia indispensabile in una società tradizionale. Vi sono una serie di buone ragioni che dimostrano che un Monarca è il necessario coronamento del tipo di società descritto, che, senza di esso, perderebbe vertice e principio informatore.
In primo luogo la figura del
Sovrano, con il suo potere sacrale e non legato ad interessi politici od
economici simboleggia e riassume in sé i valori spirituali e morali,
garantendone la preminenza su quelli economici.
In secondo luogo la Monarchia
è l'istituzione che, con la figura del Re padre dei suoi sudditi, riflette
l'immagine stessa di Dio Padre e Giudice delle sue creature:
"...Serva l'uomo il suo
Re dopo il suo Dio,/ ché, se non fosse 'Re' cosa tant'alta,/ non l'avrebbe al
suo nome aggiunto Iddio": cosi" ha scritto Lope de Vega. La Monarchia
è simbolo di ciò che è naturale (31), perché fondata sul più naturale dei
rapporti, quello tra padre e figlio. I diritti naturali promossi dal
Cattolicesimo trovano la loro migliore realizzazione attraverso I'
"empirismo organizzatore" delle Monarchie.
In terzo luogo la Monarchia è
evidentemente garanzia di stabilità e continuità, quindi di salvaguardia della
Tradizione.
Infine la filosofia insegna
qual'è l'importanza della forma, poiché "Forma est id quod dat esse rei,
sicut anima dat esse corpori".
La Chiesa cattolica non ha mai
teorizzato esplicitamente in forma dogmatica la superiorità della Monarchia
sulle altre forme di governo. In epoca prerivoluzionaria i costanti riferimenti,
nei documenti pontifici, alla Monarchia, devono farsi risalire al fatto che in
tale epoca altre forme di governo erano largamente minoritarie. Durante la
Rivoluzione francese il Papa Pio VI ebbe a definire la Monarchia
"praestantioris regiminis forma" (32).
Ciò premesso, va detto però
che i grandi filosofi cattolici hanno sempre indicato nella Monarchia il regime
ideale. Basti ricordare S. Tommaso nel "De regimine principum" e il
Vescovo Bossuet nella "Politique tirée des propres paroles de l'Ecriture
sainte". Juan Donoso Cortés stabilisce addirittura una corrispondenza tra
dottrine in campo religioso e forme di governo. Secondo tale classificazione,
al Cattolicesimo, che insegna che Dio esiste, Dio regna, Dio governa le cose
umane, è connaturale la Monarchia tradizionale. Il deismo, secondo il quale
Dio esiste, Dio regna, ma non governa le cose umane, (vi è la negazione della
Provvidenza), ha il suo sistema ideale nella Monarchia costituzionale. Il
panteismo, secondo il quale Dio esiste però non è una persona ma è l'umanità,
porta a concludere che il potere è nel popolo, si esprime nel suffragio
universale e comporta la forma repubblicana. Infine l'ateismo, la negazione
dell'esistenza di Dio, porta all'anarchia (33).
Se il magistero della Chiesa
non teorizza esplicitamente la superiorità della Monarchia, tuttavia la
dottrina sociale della Chiesa fornisce implicitamente giustificazioni a favore
della Monarchia tradizionale. La dottrina della Chiesa sull'autorità legittima,
sul potere che deriva da Dio, sul retto esercizio dell'autorità, trova
chiaramente la sua migliore configurazione storica nella Monarchia
tradizionale, che a Dio fa risalire la sua fonte e alle leggi divine si
sottomette nell'esercizio quotidiano della sovranità. La dottrina sociale
della Chiesa ha sempre difeso, con continuità ammirevole di documenti del
Magistero pontificio, i principii ed i fondamenti della società tradizionale
ed ha sempre condannato la Rivoluzione.
In questo quadro, ad esempio,
Leone XIII condanna l'aprioristico anti-monarchismo, S. Pio X condanna coloro
che vogliono vedere nella democrazia la forma politica più rispondente agli
ideali cristiani, Pio XII afferma che la democrazia deve essere sottomessa al
la legge naturale ed alla legge divina (34).
Possiamo concludere che la
Monarchia può essere considerata il coronamento della dottrina sociale della
Chiesa.
Le tappe e le conseguenze
della Rivoluzione sono descritte in volumi magistrali, per cui posso limitarmi
ad alcuni cenni. Con l'Umanesimo e la Riforma protestante avviene una frattura
nella filosofia e nel pensiero religioso. L'Umanesimo, ad un universo in cui
misura di tutte le cose era Dio che le aveva create, sostituisce un mondo in
cui è solo l'uomo ad essere misura di tutte le cose il suo volere è potere. Il
Protestantesimo respinge l'organizzazione gerarchica della Chiesa, rifiuta
l'insegnamento del Magistero e della Tradizione, il libero esame delle
Scritture è sufficiente ad istruire i fedeli, la fede, senza le opere, basta a
salvare l'anima. Si spezza la mirabile sintesi tra fede e ragione operata dalla
filosofia scolastica ed in particolare da S. Tommaso, viene a mancare, con la
frattura tra soggetto e oggetto posta dal cogito cartesiano, la giusta
soluzione del problema della verità e della conoscenza, fornita dal realismo
critico, la nuova soluzione verrà fornita dall'idealismo che, basandosi sul
rifiuto del reale, che vien fatto diventare un prodotto dell'io, aprirà le
porte agli esiti rivoluzionari e devastatori della ragione impazzita.
Qui mi soffermerò solo su
quella che è la tappa che apre le porte al processo rivoluzionario nel campo
della politica, dopo che la Riforma le aveva aperte in campo religioso, il
liberalismo.
Bisogna però premettere alcune
considerazioni sulla Monarchia assoluta, che per certi versi spiana la strada
al liberalismo. Già Tocqueville aveva osservato che la Rivoluzione francese e
Napoleone I, dal punto di vista amministrativo, non avevano fatto altro che
portare a termine l'opera di centralizzazione iniziata da Luigi XIV. L'assolutismo
tende a distruggere la piramide dei corpi intermedi e le autonomie locali, che
erano il sostegno della Monarchia tradizionale. Il volere del Re ha la pretesa
di essere fonte della legge al di sopra della Tradizione, i Sovrani si alleano
con la borghesia per diminuire í poteri dell'aristocrazia. Quando la borghesia
si sentirà abbastanza forte scatenerà la Rivoluzione (35). Nella Monarchia
assoluta i principii che legittimano l'esercizio dell'autorità restano gli
stessi della Monarchia tradizionale, in primo luogo il diritto divino, ma da un
lato nei paesi protestanti viene a mancare la dottrina religiosa che ne
assicura la preminenza nella società (il protestantesimo, a seconda delle
sette e delle epoche, sarà veicolo dell'assolutismo e poi del liberalismo),
dall'altro scompaiono o perdono di effettivo significato quelle istituzioni
che caratterizzavano la società organica. La facciata è quasi la stessa, ma
l'edificio è mutato all'interno. Con il dispotismo illuminato, nel '700,
saranno poi gli stessi sovrani ad aprire le porte alla filosofia dei
"lumi". Tutto ciò non deve comunque far dimenticare che i fondamenti
della Monarchia assoluta sono più conformi a verità e giustizia dei fondamenti
delle repubbliche democratiche e che il potere del Monarca assoluto era molto più
limitato di quanto si creda e comunque senz'altro più limitato di quello delle
democrazie contemporanee, giustamente definite totalitarie.
Vediamo qual è l'essenza del
liberalismo. Esso mette sullo stesso piano la verità e l'errore, il bene e il
male. A buon diritto de Maetzu afferma che la menzogna è figlia del
liberalismo. Secondo Kant ed Hegel, per valutare una azione non dobbiamo vedere
se essa sia buona o cattiva, ma se l'agente è libero o no. Ma la realtà è che
dalla libertà dell'agente non consegue necessariamente che l'azione sia buona.
Il liberalismo sostiene che la
verità non esiste, o non può essere né data a priori né conosciuta. Ognuno avrà
la sua verità. Ma la società non potrebbe più funzionare se non vi fosse una
qualche autorità, solo che non può più essere un'autorità depositaria del vero,
ma solo un arbitro. Il padre Taparelli d'Azeglio mostra molto bene le
conseguenze di ciò: "Ben inteso che quando si sceglie l'arbitro, se ne
accetta la sentenza pratica per necessità, senza legare l'intelletto a credere
vera la sentenza specolativa. Si accetta la prima, perché la necessità sociale
l'impone, si ricusa la seconda perché nella ragione privata una necessità
contraria si oppone... Così l'arbitrato regola l'opera esterna e, materiale,
lasciando liberi gli intelletti al di dentro a condannare dottrinalmente ciò
che praticamente si eseguisce" (36).
E ancora: "Ammessa
l'indipendenza piena ed eguale per tutti nel pensiero, nella coscienza,
nell'opera, più non è possibile la società, se non si trova un arbitro a cui
soggettarli. Quest'arbitro non può essere la verità, perché l'indipendenza del
pensiero concede a ciascuno il diritto di credere vera la propria opinione.
Non essendo legati gli uomini dal diritto della verità, ed essendo pur
necessario un vincolo di unità sociale, altro non rimane che la forza della
pluralità. Ora la forza imposta senza i diritti del vero e del giusto è forza
dispotica. Dunque ammessa la libertà eterodossa, ossia l'uguale indipendenza di
tutti gli intelletti, la società non esiste se non con l'aiuto del dispotismo..."
(37)
Naturalmente oggi solo un
ingenuo può credere che in democrazia sia veramente la maggioranza del popolo
a decidere. Già Rousseau aveva detto chiaramente che la volontà generale non
coincide necessariamente con la volontà della maggioranza. La libertà per il
popolo finisce nel momento in cui esso osa mettere in discussione la
Rivoluzione (38).
Dice Cochin: "I principii
sono la volontà del popolo a priori, se il popolo reale decide conformemente,
bene, altrimenti il popolo delle società lo corregge" (39).
Per capire quanto odio dobbiamo avere per il liberalismo, basti riflettere su chi è il prototipo del liberale nelle Sacre Scritture: Ponzio Pilato. Leggiamo il Vangelo di S. Giovanni (18, 37 40; 19, 16): "Gli disse allora Pilato. 'Dunque sei re, tu?!'. Rispose Gesú: 'Tu lo di ci: io sono re. lo per questo son nato e per questo sono venuto nel mondo. per dar testimonianza alla verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce'. Gli dice Pilato: 'Che cosa è la verità?' ". Ecco il dubbio liberale. "E detto questo usci di nuovo verso i Giudei e disse loro: 'lo non trovo in lui alcun motivo di condanna. Ma è per voi consuetudine che io vi rilasci qualcuno in occasione della Pasqua. Volete che vi rilasci il re dei Giudei?' ". Il dubbio liberale risolto con la prassi democratica. Ma c'è di peggio. Pilato sa che cos'è male, ma non vi si oppone. "Pilato dice loro: 'Prendetelo voi e crocifiggetelo! lo non trovo in lui alcun motivo di condanna' ". È il prototipo del conservatore benpensante, cosa ben diversa dal contro-rivoluzionario, che sa bene che cosa è male, lo disapprova, ma non fa nulla per reprimerlo, o per quieto vivere o perché, da buon liberale, lo mette sullo stesso piano del bene, riconoscendogli uguali diritti.
Farei torto all'intelligenza
dei lettori se mi attardassi a dimostrare che il liberalismo è solo una tappa
sia verso il capitalismo totalitario sia verso il comunismo e le estreme
conseguenze, nelle tendenze, nelle idee, nelle istituzioni, del processo
rivoluzionario. Il totalitarismo degli stati moderni è anche conseguenza del
loro laicismo, definito da Pio X l "peste della età nostra", del
loro rifiuto di sottomettersi ad una finalizzazione religiosa trascendente per
erigersi essi stessi a religione puramente umana. La laicità del cristiano in
politica non ha senso, se si crede in valori superiori ed eterni, essi devono
ispirare la nostra condotta in ogni momento.
32) Allocuzione del 17-6-1793 al Concistoro sull'uccisione di Luigi XVI da parte dei rivoluzionari francesi.
33) Discorso alle Cortes spegnole del 30-1-1850, cit. in P. Siena (a cura di), Do-noso Cortés, ed. Volpe, 1966, pp. 87-88.
34) Leone XIII, enciclica Au milieu des sollicitudes, 16-2-1892; S. Pio X, lettera apostolica Notre Charge Apostolique, cit.; Pio XII, Radiomessaggio del S. Natale 1944.
35) L'Inghilterra, dove aristocrazia e borghesia furono unite nel limitare i poteri del Sovrano, ha avuto una diversa evoluzione.
36) Da Civiltà Cattolica, anno 1860, ora in La libertà tirannia, ed. di Restaurazione Spirituale, 1960, p. 34.
37) Ibidem, p. 38-39.
38) Ad esempio in Italia le leggi Scelba e Reale puniscono il vilipendio della democrazia!
39) Op. cit., p. 146.
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