di Emilio Del Bel Belluz
Erano giorni che non vedevo
Genoveffa, e temevo che stesse male. Pertanto decisi di andare a trovarla, e
con mia grande sorpresa incontrai Silvana, la maestra di cui avevo sentito
parlare tante volte. Si presentò sorridendomi, era una bella giovane e provai
subito simpatia per lei. In casa non c’era Genoveffa, era andata a Motta dal
medico, nulla di grave disse subito Silvana. Le raccontai chi ero, ma sapeva
già tutto di me. Genoveffa le aveva detto che si occupava di un giovane al
quale erano mancati i genitori, e sottolineò che mi voleva molto bene, quasi
come una mamma. La maestra volle subito annunciarmi che da qualche giorno aveva
iniziato ad insegnare nella scuola del paese, e il primo impatto era stato
positivo. Gli studenti erano tanti, ma la sua passione di insegnare era
inesauribile. Raccontò che veniva da un paese che costeggiava il fiume più
grande d’Italia: il Po ed era nata sentendo il suo profumo.
La sua famiglia era piuttosto povera,
i suoi genitori lavoravano dei campi che avevano avuto in affitto, e quel poco
che guadagnavano le aveva permesso di studiare. Il loro sacrificio era stato
incommensurabile, e non avrebbe mai potuto in nessun modo dimenticarlo. La
maestra volle offrirmi una limonata, come era d’uso nelle giornate calde ed
afose. La nostra conversazione continuò finché non giunse a casa
Genoveffa. La donna si stupì nel trovarmi e disse che il medico
l’aveva in qualche modo rasserenata, non trattandosi nulla di grave. Le chiesi
che ero preoccupato per non averla più sentita. Genoveffa fece una grande
risata, dicendo che troppe cose erano successe e che aveva dovuto far conoscere
la maestra ai genitori degli scolari. Genoveffa l’aveva pure aiutata a
riordinare dei libri della piccola biblioteca della scuola che da troppo tempo
non venivano utilizzati e si presentavano pieni di polvere. La vecchia maestra
aveva trascurato i libri e molti erano stati rovinati. Alcuni
dovettero essere buttai via. Entrambe avevano cercato di sistemare la scuola,
facendo delle pulizie a fondo, essendo assente in quei giorni la
bidella.
Qualcuno, mentre la scuola era stata
chiusa, aveva rubato alcuni oggetti indispensabili per l’insegnamento e
Genoveffa era dovuta andare in paese a comperarli a sue spese. Silvana non
aveva perso tempo e le lezioni erano iniziate con regolarità. Poi il parroco le
aveva parlato di alcuni bambini che appartenevano a delle famiglie molto povere
e che avevano delle difficoltà d’apprendimento. Costoro necessitavano d’essere
seguiti con maggior attenzione. Allora Genoveffa decise di ospitarli alcuni
giorni alla settimana a casa sua, per delle ripetizioni che Silvana li avrebbe
dato. I bambini non avevano un posto dove andare dopo la scuola e la buona
Genoveffa li invitava a mangiare da lei. Tutti quegli impegni le avevano
impedito di venire a trovarmi. Allora dissi che la mia casa lungo il fiume
mancava del suo tocco femminile. Raccontai che ero uscito negli ultimi giorni
con la barca senza aver conseguito nessun risultato, e questo mi aveva fatto
riflettere se la pesca fosse la mia strada. Dissi che mi ero
incontrato con Elena che era sempre molto felice nel vedermi. Sua madre aveva
trovato un lavoro come cuoca in una famiglia del paese, ed era contenta di
poter guadagnare qualcosa.
La madre di Elena si era affezionata
a me, e me lo dimostrava spesso con degli atti di cortesia. Aveva, inoltre,
deciso di ristrutturare una piccola stalla dove avrebbero trovato riparo degli
animali da cortile. Prima di congedarmi da Genoveffa, Silvana mi regalò un
libro di quelli che aveva scartato. Si trattava di un testo che
poteva essermi utile perché narrava la storia di una famiglia di pescatori che
viveva lungo il Po. Nell’andarmene Genoveffa mi disse che sarebbe tornata nei
prossimi giorni a casa mia per darmi una mano. Salutai con affetto le due donne
e mi dispiaceva andarmene perché in quelle ore mi ero
dimenticato di tutte le mie preoccupazioni e promisi che ci saremmo rivisti
presto. Mi avviai verso casa entusiasta del libro regalatomi, era come un
piccolo tesoro. Non avevo nessuna voglia di dormire, allora mi
misi a riparare la copertina rovinata incollando dei ritagli di cartone con la
colla di pesce. Ottenni un buon risultato, e poi gli misi una
copertina di carta nera come rivestimento. Con una penna scrissi il titolo del
libro: Il pescatore e il suo cuore. Dalla finestra aperta entrava una lieve brezza,
m’avvicinai e potei ammirare la luna che si specchiava sul fiume.
Pensavo ad Elena, sicuramente stava
leggendo o lavorando a maglia per prepararmi un maglione che mi avrebbe donato
per il mio compleanno. La sua voglia di fare era davvero sbalorditiva, non perdeva
mai un momento, e si metteva in testa una cosa la realizzava e questo maglione
nero lo voleva ultimare affinché mi proteggesse dal freddo quando uscivo con la
barca. Presi in mano il libro sulla cui copertina era disegnata una grande
barca da pesca, con un vecchio ed un ragazzo seduti vicino.
La lettura fu molto piacevole ed
interessante. Narrava la storia di una famiglia che viveva con i proventi della
pesca. Il padre che era invecchiato con la rete tra le mani, aveva deciso che
suo figlio sarebbe diventato pure lui un pescatore, motivando che non aveva
molta voglia di studiare. Il ragazzo apprendeva velocemente l’arte della
pesca. Il padre aveva in serbo anche un’altra idea. C’erano vari
pescatori che lavoravano duramente tutta la giornata, ma la vendita del loro
pescato non era sufficiente per arrivare a fine mese. Una sera il padre del
ragazzo che si chiamava Franco volle proporre a questi pescatori di unire le
loro forze e di comperare una barca più grande per lavorare tutti insieme. Lo
scopo era quello di lavorare nel fiume con più sicurezza, ma di potersi
spingere fino al mare, restandovi anche per dei giorni.
Quella sera all’osteria il vecchio
era riuscito a convincerli a fare questo passo, quello che lui proponeva era la
fondazione di una cooperativa di pescatori. La proposta fu ben accolta da
tutti. Quando raccolsero il denaro sufficiente per l’acquisto della barca
mandarono il vecchio a Caorle per acquistarla. I pescatori avevano
una grande fiducia in lui, e lo lasciarono partire con la massima tranquillità.
L’uomo arrivò a Caorle di buon’ ora per incontrare il venditore della barca. Ma
essendo arrivato in anticipo, entrò in un’osteria dove si mise a giocare a
carte, e bevendo qualche bicchiere di troppo, perse tutto il denaro che aveva
ricevuto per l’acquisto della barca. Aveva compiuto qualcosa di grave e non
poteva più tornare in paese. La moglie e il figlio lo aspettarono invano,
assieme ai pescatori, che pochi giorni dopo, vennero a conoscenza
dell’accaduto. I suoi familiari non avevano più il coraggio di farsi
vedere in giro; il figlio si nascose per delle settimane in una boscaglia. Poi
ritornò in paese per porgere le scuse per quello che il padre aveva fatto e
cedere la sua barca come primo risarcimento. Successivamente avrebbe lavorato
sodo per restituire il denaro perduto al gioco dal padre. I pescatori, anche se
uomini rudi, compresero che la moglie e il figlio non avevano
colpa.
La moglie di un pescatore si occupò
della moglie del vecchio temendo che si annegasse dal dolore. Volle andare a
vivere con lei, cercando di allontanarla da quei terribili pensieri. La donna
non riusciva a capacitarsi e qualche mese dopo morì di crepacuore, questo fu la
diagnosi del medico che l’aveva curata gratuitamente. A nulla erano valse anche
le frasi del curato per non farla sentire in colpa. Al funerale della donna
c’era l’intera comunità, e il parroco ripeté con enfasi più volte di non
provare nessun rancore per il male fatto dal marito; le colpe le aveva pagate e
saldate la donna e il figlio. Il ragazzo era dunque rimasto solo, non aveva più
nessuno su cui poter contare, solo la Divina Provvidenza era ancora dalla sua
parte.
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