Il 30 luglio saranno trascorsi ottanta anni dalla morte di un grande testimone della fede cristiana, San Leopoldo Mandic’. Una delle figure più nobili della Chiesa dei poveri. Nacque il 12 maggio del 1866 a Castelnuovo del Cattaro in Montenegro. Ancora bambino dimostrò la sua volontà di farsi frate, e di abbracciare la fede che porta a Dio. Venne per questo in Italia e precisamente a Udine, dove i frati avevano da poco aperto un seminario. Nel 1885 a Bassano del Grappa prenderà i voti e diventerà Fra Leopoldo. Si trasferì poi a Padova dove vi rimase per decenni. La sua vita veniva vissuta in una celletta di pochi metri quadrati, dove vi stavano a malapena una sedia, un inginocchiatoio per i penitenti, un crocefisso, e un quadro della Madonna. Nella stanza fredda d’inverno e troppo calda d’estate, passava tutti i giorni almeno dodici ore per confessare la gente che si rivolgeva a lui, sapendo che la sua parola era guidata dalla misericordia del buon Dio. Il frate era alto 135 centimetri, aveva un fisico minuto, una barba bianca come si evidenzia dalle sue foto, una salute malferma e difficoltà di parola, ma possedeva la grazia e la forza di un gigante. La sua vita, alla fine, era tra quelle quattro mura, dove non si muoveva mai neppure per bere un caffè. Quando il medico gli consigliò di prendersi un caffè verso le dieci, dovette lottare con il cuoco che lo rimproverava ogni giorno per il disturbo che arrecava al suo lavoro. Il buon frate si era abituato ad essere rimproverato. Una cosa era certa: mangiava come un uccellino, specialmente alla sera che si accontentava di un pezzetto di pane raffermo che inzuppava nella scodella di latte. Aveva cura di dare le briciole rimaste agli uccellini, affinché non si buttasse nulla, perché ogni cosa proveniva dalla bontà del Signore. Era anche molto devoto alla Madonna che confidenzialmente chiamava: La Parona. Durante la guerra ci furono molti soldati che prima di partire per il fronte chiedevano al frate se sarebbero tornati a casa dai loro cari. San Leopoldo per ognuno di loro diceva una parola di coraggio e di fede. Ad ogni soldato donava una medaglietta della Madonna con l’invito di invocarla e di pregarla. Quei soldati se ne andavano da quel convento rincuorati e fiduciosi. Molti di essi non tornarono dalla Russia, e gli altri non poterono ringraziare personalmente il frate, perché nel frattempo era morto. San Leopoldo disse che dopo la sua morte il convento dei frati sarebbe stato bombardato dagli americani, ma la sua celletta dove confessava sarebbe rimasta in piedi, come la Madonna che vi era posta vicino. Quello che aveva previsto si avverò, la guerra infuriava e il convento fu colpito, ma la sua stanzetta della confessioni rimase intatta, come pure, si salvò la Madonna dallo sguardo triste alla quale era particolarmente legato. La guerra poi ebbe termine e il convento fu restaurato, ma la celletta e quella Madonna rimasero uguali a prima. Una volta andai a visitare il convento dove il cappuccino aveva vissuto. In quel periodo non ero felice, una serie di circostanze mi aveva reso la vita piuttosto amara. Un mio zio paterno, che era monsignore in un paese montano, mi regalò un libro sulla biografia del Santo che lessi tutto d’un fiato una notte d’inverno. Alla fine mi sentii rincuorato, e con la forza necessaria per dare una svolta alla mia vita. Allora decisi di commissionare un affresco raffigurante il santo sulla facciata della mia casa ad un grande artista di Motta di Livenza. Quel dipinto divenne per me come figura vivente e ogni sera prima di andare a letto mi mettevo a osservarla. Non mancavano le mie suppliche al frate cappuccino e mi sembrava che la vita andasse meglio. Allora volli fare sempre dallo stesso artista un altro affresco del Santo, sulla proprietà di un commerciante di Motta, in una piccola nicchia, ove le persone si soffermano ad invocarlo. La bellezza dell’affresco mi ha subito affascinato, a tal punto che ogni giorno, vado a vederlo e a recitare una preghiera. Porgo, inoltre, anche un saluto ai proprietari. Un giorno a Motta conobbi un signore piuttosto anziano che mi aveva sempre dato l’impressione che fosse un nobile: il signor Guglielmi. Dopo aver fatto amicizia con lui, questi mi raccontò che per ben due volte aveva visto il Santo, prima con il padre e poi con la nonna. Il padre si era affidato alle sue preghiere dovendo partire per la guerra. Il signor Guglielmi, accompagnato dalla nonna, si recò al convento di Padova per ricevere una benedizione dal frate perché non aveva voglia di studiare. San Leopoldo allargando le piccole braccia in senso d’impotenza, disse che lui non poteva fare nulla per questo, ma poi gli sorrise con affetto. Il signor Guglielmi partecipò anche all’inaugurazione di una statua della Madonna in onore di San Leopoldo da me donata e collocata davanti alla chiesa di Brische di Meduna di Livenza. Fu una di quelle giornate che non si potranno mai dimenticare. La devozione a S. Leopoldo è così sentita a Motta di Livenza che un suo concittadino, Ermanno Sgorlon volle donare un ritratto del frate da esporre nella chiesetta dello ospedale di Motta di Livenza. I degenti, i loro familiari e tutti i mottensi, ora che la chiesa verrà riaperta, potranno pregarlo davanti alla sua immagine, ancor più ora che è stato proclamato protettore dei malati oncologici. Anche in questi momenti difficili è un Santo che si presta ad essere invocato e supplicato per ottenere protezione e grazie. Anni fa venne restituita una chiesa in Crimea ai cinquecento superstiti italiani dalle deportazioni di Stalin in Siberia. Questa comunità, che non aveva molti contatti con l’Italia, chiese l’ invio di una statua della Madonna che essi desideravano molto. Fu così che decisi di donargliela. Venne dipinta dall’artista Lippi che su mia richiesta, raffigurò la stessa immagine, con il volto triste, della Madonna tanto cara al frate cappuccino. Quando il progetto fu realizzato, la Madonna venne fatta benedire dall’allora parroco Monsignor Bruseghin, durante una bella cerimonia. La statua venne spedita in una cassa di legno, che aveva come coperchio un dipinto dello stesso artista, raffigurante la Madonna dei Miracoli di Motta. Quella cassa arrivò a destinazione dopo parecchi giorni, venne collocata nella chiesa di Kerc’ e le immagini sacre vennero benedette dal parroco polacco del luogo. Questa Madonna che era partita da Motta di Livenza è onorata con molta fede. Queste storie meritano d’essere ricordate, perché esprimono la condivisione della stessa devozione per il santo con comunità di diversi Paesi. Una volta parlai con un signore, il cui padre era molto devoto a San Leopoldo, e prima di partire per il fronte russo durante la seconda guerra mondiale, volle andare a salutarlo. Il santo lo accolse come faceva con tutti, con il suo amabile sorriso. Il soldato gli disse che doveva lasciare il paese e partire per la guerra, forse temeva di non tornare a casa a riabbracciare i suoi cari. Frate Leopoldo lo confessò e lo rasserenò, gli diede una medaglietta della Madonna raccomandandosi di pregarla e di avere fede. Il militare partì per la guerra con quella medaglietta che si era messa al collo e benedetta dal piccolo frate. Nel 1942 iniziò la ritirata russa nella morsa del freddo e del fuoco nemico che continuava ad ostacolare il cammino dei nostri soldati. L’uomo nei momenti di disperazione più assoluta pensava a Fra Leopoldo, e questo gli dava la forza di avanzare. Molti dei suoi commilitoni erano morti assiderati. Anche lui era giunto allo stremo delle forze, quando scorse la carcassa di un animale appena morto ed ancora caldo. Sventrò l’animale con un pugnale e vi porse dentro parte del suo corpo, evitando così il congelamento. Quella notte aveva pregato con tutto il cuore il frate e aveva stretto tra le mani la medaglietta benedetta, invocando anche l’aiuto della Vergine. Il giorno dopo scrisse su una roccia, dove aveva appoggiato lo zaino, il suo nome e cognome e la data. Quando tornò in patria seppe che il suo amico frate era morto, e credo che lo abbia onorato con una visita in cimitero. Questa è una della tante storie che ho sentito sulla vita del Santo dei poveri. La regina Elena, originaria pure lei del Montenegro, non so se lo abbia conosciuto, ma di sicuro ne avrà sentito parlare, erano due persone che avevano sempre lottato per i poveri e gli ultimi. Nel mio cuore c’è la speranza che la sovrana possa essere proclamata Beata da papa Francesco. Un caro amico militare in Grecia, in una visita alla chiesa di San Nicolò a Cefalonia, trovò la rivista Portavoce di San Leopoldo, a dimostrazione che la devozione popolare al Santo non ha confini. San Leopoldo morì il 30 luglio 1942 nel convento di S.Croce ,a Padova. Il giorno prima aveva confessato fino a mezzanotte, una cinquantina di penitenti. Il mattino successivo aveva iniziato a celebrare la S. messa che non portò a termine per il sopraggiungere di un malore. Venne riportato nella sua camera e invitò i confratelli a recitare la Salve Regina, le cui lacrime si unirono alle sue e spirò con un sorriso sul volto, raggiungendo finalmente coloro che chiamava il Paron e la Parona.
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