NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 19 febbraio 2021

Liberazione dell'Italia. Ecco il "film" degli alleati


Da Salerno a Milano e Bergamo. Così la storia in presa diretta smentisce la vulgata comunista

di Francesco Perfetti 

L'idea dell'unità della Resistenza a guida comunista come mito fondante dell'Italia post-fascista fu il grande capolavoro di quella cultura azionista e comunista che si era proposta, in linea con il progetto gramsciano, la conquista della società civile e politica.

Tale idea presupponeva che la Resistenza fosse stata un movimento popolare di massa all'interno del quale le componenti non comuniste erano state inessenziali o marginali. Scomparvero, così, o furono minimizzati, in tanta letteratura storiografica, sia i contributi forniti alla Liberazione da parte di uomini o formazioni partigiane - cattolici, liberali, monarchici - che non fossero comunisti sia, ancora, quelli dei militari e degli internati nei campi di prigionia tedeschi. Persino in una opera celebrata come innovativa, quale fu il volume di Claudio Pavone dal titolo Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, le cose non cambiarono troppo: anche in quel caso il contributo di alcune componenti alla Liberazione (si pensi, per esempio, alla monarchica e liberale Franchi di Edgardo Sogno) è marginalizzato mentre il contrasto fra partigiani di colore diverso culminato nella strage di Porzûs è confinato in qualche nota a piè di pagina.

Non basta. La mitizzazione della Resistenza - enfatizzata retoricamente anche dalle e nelle cerimonie celebrative - ha finito per diffondere una idea falsa della realtà storica veicolando l'idea che la Liberazione sia stata opera esclusiva, o quanto meno prevalente, della Resistenza e ridimensionando, in tal modo, il contributo militare degli Alleati a un evento che, senza il loro intervento, probabilmente avrebbe faticato a realizzarsi. A tale visione, frutto evidente di «uso politico della Resistenza», assesta un duro colpo l'ultimo importante studio dello storico contemporaneista Gianni Donno dal titolo La liberazione alleata d'Italia 1943-1945 (Pensa Multimedia, 11 volumi in cofanetto, euro 275) impreziosito da un imponente apparato iconografico e da una eccezionale documentazione archivistica proveniente dagli archivi americani e fino ad oggi inedita.

Arricchito da due introduzioni, di Piero Craveri e di Giampietro Berti, il lavoro mostra come la Liberazione sia avvenuta, proprio e soprattutto, grazie all'avanzata delle Forze Alleate lungo il versante tirrenico dallo sbarco di Salerno (settembre 1943) sino a Milano e Bergamo (aprile 1945). Una lunga e faticosa marcia ostacolata dalla resistenza delle truppe tedesche asserragliate lungo la Linea Gotica, ma anche dalle caratteristiche del territorio e dalle condizioni atmosferiche. La «campagna d'Italia», insomma, non fu affatto una passeggiata. Costò agli alleati circa 90mila morti in combattimento o a causa della guerra sepolti in 42 cimiteri sparsi in tutta la penisola. Un grande sacrificio di sangue, dunque, che per molto, troppo tempo la «vulgata» resistenziale ha lasciato in ombra per motivi esclusivamente politici. Un sacrificio che - pur senza nulla togliere al contributo di sangue dei partigiani, che secondo i dati riportati da Donno fu di circa 7mila morti - fa ben comprendere, come osserva giustamente Craveri, chi fossero stati davvero i «protagonisti» della liberazione d'Italia dal fascismo e dal nazismo.

Rispetto ad altre opere storiografiche sulla campagna d'Italia, il lavoro di Donno è originale perché la ricostruzione dell'avanzata alleata dopo lo sbarco di Salerno è fatta utilizzando i Reports of Operations delle unità combattenti americane, cioè i rapporti stilati dai comandanti di pattuglie, compagnie, battaglioni al termine delle singole operazioni. Si tratta di una documentazione che l'autore integra, naturalmente, con le altre fonti tradizionali, ma che, con il suo linguaggio scarno ed essenziale, offre un suggestivo racconto in «presa diretta» e dà conto dei sentimenti di entusiasmo o paura, di aspettative o delusioni degli uomini inquadrati nella V Armata e impegnati nelle operazioni belliche.

Al tempo stesso, questa documentazione aiuta a comprendere meglio la logica di certe scelte strategiche o tattiche suggerite da fattori imponderabili. Per esempio, le piogge torrenziali sull'Italia centromeridionale nell'ultimo trimestre del 1943 provocarono smottamenti di terreno e allagamenti che resero difficile, in qualche caso addirittura problematica, l'avanzata dei mezzi corazzati. Di tutto ciò, ed anche dei riflessi sul morale dei militari, si trova una precisa registrazione nei Reports of Operations. Di particolare interesse, lo sottolineo per inciso, è la riproduzione fotografica di alcuni numeri del settimanale Yank, un rotocalco che aveva come sottotitolo The Army Weekly e che era destinato ai soldati impegnati al fronte sia per offrire loro un aggiornamento periodico anche fotografico dell'andamento delle operazioni militari, sia per tenerne alto il morale e galvanizzarne gli spiriti.

Nel complesso, dunque, il lavoro di Gianni Donno sulla liberazione alleata dell'Italia non è, come la maggior parte delle più conosciute opere sull'argomento, una «storia politica» o una «storia militare» di taglio tradizionale costruita con un approccio di tipo «macrostorico», ma è piuttosto una narrazione di tipo «microstorico» che consente in qualche caso di rivedere taluni giudizi consolidati o di spiegare certe situazioni o decisioni. Basterà un solo esempio. Dai Reports of Operations si comprende il motivo dell'uso massiccio della artiglieria pesante e dei bombardamenti alleati. Si trattò, infatti, di una scelta, in certo senso, obbligata dalla accanita difesa delle truppe germaniche che, utilizzando piccole unità e cecchini ben celati, riusciva a ritardare l'avanzata delle truppe americane in un territorio aspro e difficile provocando uno stillicidio di caduti tra le loro file.

Al di là della ricostruzione degli aspetti militari della Campagna d'Italia, tuttavia, il lavoro di Donno finisce per avere una importanza che trascende la dimensione della «storia militare» propriamente detta perché contribuisce a demitizzare la vulgata resistenziale sulla Liberazione e a far comprendere come il contributo degli Alleati sia stato, davvero, fondamentale per le sorti del Paese.


Fonte: Il Giornale

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