di Matteo Sacchi
Monza, 29 luglio dell'anno
mille e novecento, due destini si incrociano: quello di Umberto I di Savoia, re
d'Italia dal 1878, e quello di Gaetano Bresci, anarchico e figlio di contadini.
Tre colpi di pistola - in
rapida sequenza, e a breve distanza - contro il Re in carrozza, che saluta la
folla venuta ad assistere ad un saggio ginnico, troncano la vita del monarca. È
un attimo. La carrozza tenta la fuga, il Re dice «Non credo sia niente» e poi
si accascia, la gente inferocita cerca di linciare Bresci che balbetta «non
sono stato io». Lo salverà, arrestandolo, un maresciallo dei carabinieri,
Andrea Braggio. Bresci non oppone resistenza e solo a posteriori, salvato dai bastoni,
dirà la celebre frase: «Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso
un principio».
Quella scena accaduta
nell'afosa serata estiva di Monza che cambierà la storia d'Italia è solo
l'ultima di un dramma iniziato ben prima. Per rendersene conto a 120 anni dalla
morte di Gaetano Bresci, forse (e il forse è d'obbligo) suicida nel carcere di
Santo Stefano a Ventotene, c'è un libro che ricostruisce non tanto il
regicidio, quanto l'intricato percorso sociale e politico che ha portato a
esso: Uccidete il Re Buono. Da Bava Beccaris a Gaetano Bresci (Neri Pozza,
pagg. 272, euro 18) di Giorgio Ferrari. Ferrari, inviato speciale ed
editorialista, cesella con precisione certosina il contesto europeo e
internazionale in cui è maturato l'attentato. L'impressione che se ne ricava è
che molte delle tensioni politiche e ideologiche del Novecento, nonché il
militarismo e la violenza che ha portato alle Guerre mondiali, abbiano solide
radici nel secolo precedente. I tre proiettili (ma c'è stato anche chi ha parlato
di un quarto colpo) che uccisero un Re schiacciato dall'ombra di suo padre, il
vitale e battagliero Vittorio Emanuele II, sono stati fusi tanto nello stampo
dell'anarchia che in quello del militarismo bismarckiano.
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https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/bava-beccaris-bresci-anatomia-regicidio-1927016.html
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