NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 21 febbraio 2021

Capitolo XVI: Carnera alla conquista dell'America


 di Emilio Del Bel Belluz

Nel gennaio del 1930, Carnera assieme al suo allenatore, Paul Journée s’imbarcò nella nave “Conte di Savoia“ a Genova. È una bella giornata, riscaldata da un pallido sole. Non nascose la sua tristezza e la sua preoccupazione per il futuro. 

Non era mai stato in America, al suo paese gli avevano parlato di questa grande nazione solo quelli che vi erano emigrati. Primo ricordava un vecchio del paese che gli raccontava sempre che in America si mangiavano delle bistecche dal peso di oltre un chilo. Si poteva trovare ogni ben di Dio, ma lui non era riuscito a fare fortuna e ritornò più povero di prima. L’uomo aveva avuto sfortuna perché si era ammalato e non riusciva a lavorare, solo l’aiuto di un prete italiano gli salvò la vita. Costui aveva una chiesa in un paese abitato da una comunità italiana e aiutava i poveri, quelli che non erano più di nessuno. Questa gente derelitta trovava ospitalità nelle sua canonica. Il vecchio aveva sempre detto che quel prete sarebbe diventato un santo per come si prodigava instancabilmente per gli altri. Carnera aveva per il vecchio una grande simpatia, e la figura di questo prete lo aveva affascinato, e chiedeva sempre di lui. L’uomo raccontava che il prete, una volta esauriti i soldi delle elemosine, aveva il coraggio di andare a bussare nelle case dei più benestanti. Nella stalla aveva una mucca, e un asinello. La prima l’aveva presa per produrre il latte per i poveri, e in canonica alla mattina, arrivava tanta gente da sfamare. L’asinello lo utilizzava durante i suoi vagabondaggi alla ricerca di cibo. 

Anche la gente povera gli donava dei viveri che lui metteva nella bisaccia portata dall’asinello, e nei momenti difficili doveva stare fuori quasi tutto il giorno per chiedere la carità. La sua meta preferita era la casa di un ricco italiano, che aveva fatto una grande fortuna in America. Possedeva un’ azienda agricola con centinaia di ettari di terreno, e questo anziano ricco, ma solo, lo vedeva sempre con felicità. Il prete sapeva che non era capace di negare la carità a nessuno, e gli voleva bene. La solitudine di questo signore era data dalla scomparsa della sua famiglia, la moglie era morta da anni, e l’unico figlio gli era stato ucciso durante una rapina nella villa dove abitava. Il prete di nome Felice lo consolava, e gli portava la parola del buon Dio che non abbandona mai nessuno dei suoi figli. Quando ripartiva dalla sua villa, l’asinello era carico di cibo, e di altre cose. La generosità dell’anziano signore non aveva limiti. Il vecchio paesano di Sequals gli aveva talmente parlato del prete Felice che gli sarebbe piaciuto conoscerlo. Carnera conservava nel suo portafoglio una lettera del prete su cui era scritto il suo indirizzo: era il suo contatto con l’America, di cui aveva tanto sentito parlare, senza averla mai vista. Il vecchio del paese, ogni tanto riceveva da lui degli aiuti, almeno due volte all’anno: in prossimità del Natale e della Santa Pasqua. Il vecchio continuò a vivere nella povertà, ma almeno nel suo paese era confortato dai suoi amici. La nave finalmente salpò dal porto, e Carnera dal ponte osservò per l’ultima volta le luci che provenivano dalle case lontane ed immaginava che in ognuna ci fosse una famiglia felice, perché riunita, anche se doveva sopportare una vita di stenti. Il suo allenatore, soffrendo di mal di mare, si era ritirato nella sua cabina. In nave molti lo avevano riconosciuto, si erano fermati a salutarlo, erano italiani poveri in cerca di fortuna, che viaggiavano stipati in terza classe. Primo Carnera osservò il cielo e si raccomandò a Dio che aiutasse questa gente disperata, e che le facesse incontrare un buon prete come Felice, disposto sempre a dividere il suo cibo con gli altri. Carnera guardava il mare e sentiva il profumo intenso dell’acqua; in lontananza vedeva le luci di qualche bastimento. Rientrò in cabina, e si preparò per andare a mangiare. Il suo allenatore Paul Journée non avrebbe cenato. 

Era preferibile che lui stesse a digiuno. Carnera aveva fame, da alcuni giorni si era dovuto mettere a dieta, perché mangiando in famiglia era cresciuto di quasi dieci chili, ed ora doveva ritrovare il suo peso forma. Quando scese nel ristorante il cameriere lo fece accomodare in un posto tranquillo, ma la solitudine non durò molto, perché alcuni signori italiani, conoscendolo di fama, gli chiesero se voleva unirsi al loro tavolo, e Carnera accettò. Queste erano persone ricche, mangiavano cibi raffinati e seguendo le norme del galateo, ma Carnera aveva mangiato alla tavola di un principe e non temeva di fare brutta figura: l’avevano istruito per bene. Durante la cena gli chiesero cosa si aspettasse da questa avventura americana, e se era mai stato in America. L’uomo che gli poneva queste domande era un italiano partito dal nulla che in America aveva fatto fortuna diventando un grande proprietario terriero ed era tornato in Italia per rivedere la terra dei padri. Manifestò a Carnera che ora era indeciso se lasciare l’ America e tornare in Italia. Al tavolo c’era anche la moglie che era americana, una bella donna dai capelli biondi . Questa signora sorrise a Carnera e si aspettava una risposta. Allora il campione disse che quando espatriò per la prima volta, per recarsi in Francia a lavorare, il desiderio che lo accompagnava era quello di poter fare presto il suo ritorno in patria, anche se poi gli fu permesso solo dopo alcuni anni, in occasione del combattimento a Milano contro Epifanio Islas. Un’idea gli era chiara in mente e che non avrebbe mai cambiato: la sua patria era l’Italia dove erano nati i suoi avi ed anche lui era venuto al mondo, e lì vi avrebbe fatto ritorno. 

L’America rappresentava solo una grande opportunità per la conquista del titolo mondiale dei pesi massimi. L’uomo che gli stava vicino gli disse che aveva conosciuto la sua storia proprio dai giornali americani, che avevano spesso parlato di un gigante italiano che aveva un fisico da Ercole, che avrebbe cercato in America la sua fortuna. Vari articoli erano stati pubblicati anche da un quotidiano scritto in lingua italiana e letto dagli emigranti. Questo giornale aveva riportato la storia di Carnera, raccontandola in alcune puntate, e corredandola con delle foto molto esplicative. Gli italiani d’America aspettavano con ansia i suoi prossimi combattimenti. Al tavolo arrivò pure il comandante della nave che, appena aveva saputo della presenza del gradito ospite, lo invitò a cena nelle sere successive. Carnera non era abituato a simili gentilezze, ai tanti complimenti, e timidamente, ringraziò i suoi ammiratori. Anche lui era un emigrante che cercava attraverso la boxe un lasciapassare per abbandonare la povertà, se ci fosse riuscito non avrebbe dimenticato quelli che erano poveri e che non erano stati molto fortunati. 

Quella sera chiuso nella sua cabina non riusciva a prendere sonno, gli era rimasto nel cuore quella povera gente che viaggiava in terza classe, che avrebbe avuto poco con cui sfamarsi e che s’accingeva a riscattare la propria vita in una terra nuova. Lui si vergognava d’aver mangiato in una tavola imbandita d’ogni ben di Dio. Quando era stato a Sequals, prima che partisse, il vecchio prete gli aveva fatto dono di una Bibbia, che era appartenuta a un sacerdote che era sepolto a Sequals. Il curato gli disse che, in ogni posto dove si trovasse, non dimenticasse mai di leggere una pagina di questo grande libro, lo avrebbe consolato perché il buon Dio era con lui. Il curato gli aveva fatto una dedica: “ A Primo Carnera, che non dimentichi mai il suo piccolo paese, e in qualunque parte del mondo si trovi, pensi al suo prete di campagna che prega per lui. Con tante benedizioni, Don Giuseppe”. Carnera si era portato nella sua valigia, oltre alla bibbia, il libro Cuore, quello regalatogli dalla sua maestra, di cui era gelosissimo. Dopo avere letto un passo della Bibbia si addormentò, felice e commosso. Il giorno dopo, incontrò il suo allenatore che non aveva chiuso occhio, aveva una faccia davvero sofferta, il mal di mare non gli dava tregua. Primo aveva dormito come un re, un sonno ristoratore, ed era di buon umore. Scese nella sala delle colazioni e fece onore al caffelatte, e ai molti dolci di cui era ghiotto; in quei momenti, che raramente sarebbero stati ripetibili, s’era dimenticato del proposito di mettersi a dieta. 

Gli capitava spesso di pensare ai tempi difficili, per lui l’America sarebbe stata un ulteriore banco di prova. Rimuginava spesso che nella vita l’importante era di non fare del male agli altri, e in questo modo si poteva stare tranquilli. Mentre era solo al tavolo, s’avvicinò il comandante della nave che gli chiese se poteva fargli compagnia. Era un appassionato di pugilato e aveva letto alcuni articoli scritti su Carnera. La conversazione ebbe come argomento la boxe, e l’uomo gli augurò di coronare il sogno di tutti gli italiani che era quello di diventare campione del mondo. Il comandante gli riferì che il duce Benito Mussolini stava seguendo la sua carriera e per questo aveva fatto pubblicare sul “Popolo d’­Italia “ un lungo articolo, che ripercorreva la vita di Carnera. Il puglie volle ringraziare il comandante della nave perché non sapeva di avere tra i suoi ammiratori proprio il Duce. La conversazione s’indirizzò nei difficili momenti che l’America stava vivendo. Il 24 ottobre 1929 fu il giovedì nero: il crollo della borsa di Wall Street e dell’economia. Le conseguenze gravissime avevano costretto molte persone sul lastrico, mai il mondo avrebbe pensato a questo drammatico epilogo. Il capitano volle scusarsi se aveva portato la conversazione su argomenti così tristi, tra cui ricordò anche il ritorno in patria di molti emigranti italiani, per loro era preferibile una vita di stenti in Italia che all’estero. Il capitano lasciò Carnera visibilmente intristito. Temeva che la stessa sorte potesse toccare a lui. La fame l’aveva sconfitta da pochi anni, e gli sarebbe dispiaciuto tornare indietro. Primo pensava che ci si debba adattare ad ogni evenienza, anche la più brutta, come gli diceva spesso don Giuseppe il suo parroco di Sequals:” Siamo nelle mani di Dio, perché Dio vede e Dio provvede”. Carnera era immerso in questi pensieri, quando gli si avvicinò una ragazza che voleva conoscerlo, aveva appena letto su un giornale un articolo su di lui. Aveva tra le mani un rotocalco, in cui veniva pubblicato ogni settimana un capitolo di un libro. Gli sedette vicino, sorridendogli, era vestita in modo elegante e iniziarono a conversare. 

La ragazza disse che abitava a Padova e andava a New York per far compagnia ad una zia che era rimasta vedova, e le sarebbe piaciuto convincerla a tornare in Italia. Disse a Primo che era felice di parlare con lui, una persona inusuale, infatti, non aveva mai conosciuto un boxeur che avrebbe combattuto per il titolo mondiale dei pesi massimi. Carnera le sorrise, e le disse che l’America rappresentava per lui la carta vincente del momento. La donna si mise a raccontare che si era laureata in lettere all’Università di Padova, e il suo sogno era quello di lavorare per i quotidiani nazionali. Quando conobbe Carnera pensò subito di scrivere un articolo da pubblicare su un giornale di Padova. Primo ne rimase felice e si dilungò nel racconto con particolari riguardanti la sua vita nel circo e i suoi combattimenti in Germania. La ragazza lo salutò felice, per lei era la persona più importante che aveva incontrato, gli diede la mano, e Primo sentiva quella manina che si perdeva nella sua. Durante il viaggio aveva cominciato ad allenarsi con Paul che, nel frattempo, stava superando il mal di mare. Alla mattina presto correvano lungo il perimetro della nave. Faceva un freddo cane, ma si vestivano con molta accortezza, e ad entrambi piaceva sentire il profumo ed il rumore del mare. 

Alcuni italiani che aveva conosciuto e che viaggiavano in terza classe, lo seguivano negli allenamenti. Carnera aveva un cuore davvero generoso e si era messo d’accordo con il cuoco che gli passasse del cibo da distribuire tra di loro. Un giorno aveva chiamato il medico di bordo, perché una donna e il suo bambino stavano male, e costui fu felice di fare qualcosa per il campione. La donna ed il figlio avevano la febbre molto alta. Questa disponibilità verso le persone povere lo rese ancora più popolare. Una sera con il capitano organizzò una lotteria per raccogliere del denaro da destinare a quelli che avevano bisogno, e questa iniziativa ebbe un grande successo. La gente si era abituata a conoscere questo gigante dal cuore buono, lo apprezzava e sperava che potesse trionfare. La giovane che lo aveva intervistato gli disse che aveva preparato il suo primo articolo e, se voleva, glielo avrebbe spedito. Carnera le diede l’indirizzo di sua madre, perché non sapeva nulla sulla sua destinazione in America. Nella nave aveva fatto la conoscenza di alcuni uomini italiani che da anni vivevano in America e qualche volta aveva giocato a carte con loro, senza rischiare il denaro che aveva portato con sé. Passarono i giorni successivi quasi in un baleno e finalmente si vide una mattina la famosa statua della Libertà, immersa nella nebbia. 

L’America lo aspettava e iniziava la sua avventura. Quando discese la scaletta, gli italiani che viaggiavano in terza classe urlarono il suo nome, e lo salutarono, ansiosi di raccontare ai loro famigliari che avevano conosciuto un campione che aveva un buon cuore e coraggio da vendere: infatti, fino ad ora non si era mai arreso davanti alle difficoltà della vita


Nessun commento:

Posta un commento