Il 13 febbraio 1861, dopo un assedio iniziato dalle truppe italiane
il 5 novembre, la fortezza di Gaeta, ritenendo, giustamente, il comando borbonico,
ormai inutile ogni ulteriore resistenza, che avrebbe provocato solo nuovi lutti,
si arrendeva e l’indomani, 14 febbraio, Francesco II con Maria Sofia, e la
famiglia, si imbarcavano sulla corvetta “La Mouette”, messa a loro disposizione,
da Napoleone III, per raggiungere Terracina e da lì Roma. Il generale Cialdini,
comandante delle truppe italiane poteva prendere possesso della città, dalla
quale uscivano, incolonnati, con l’onore delle armi, le truppe borboniche, con
alla testa i loro generali, ai quali Cialdini ed il Principe Eugenio di Savoia,
Luogotenente del Re, rivolgevano parole di meritato encomio per la difesa da
loro, per mesi, sostenuta in Gaeta. Il Cialdini, che il Re Vittorio Emanuele avrebbe
insignito del titolo di Duca di Gaeta, poi volle che il successivo 17 febbraio venisse
celebrato sull’istmo una messa funebre per invocare pace all’anima degli
estinti di entrambe le parti, rivolgendo alle truppe un ordine del giorno, di
cui riproduciamo la seconda parte per la nobiltà di sentimenti ivi espressa:
“Soldati,
noi combattemmo contro italiani, e fu questo necessario ma doloroso
ufficio; perciò non potrei invitarvi a manifestazioni di gioia, non potrei
invitarvi agli insultanti tripudi del vincitore. Stimo più degno di voi e di me
il radunarvi sotto le mura di Gaeta, dove verrà celebrata una gran messa
funebre. Là pregheremo pace ai prodi, che durante questo memorabile assedio
perirono combattendo tanto nelle nostre linee, quanto sui baluardi nemici. La morte
copre di un mesto velo le discordie umane, e gli estinti sono tutti eguali agli
occhi dei generosi. Le ire nostre d’altronde non possono sopravvivere alla pugna.
Il soldato di Vittorio Emanuele combatte e perdona”.
Questo 13 febbraio ricorre
perciò il centosessantesimo anniversario di questo storico evento che sanciva
la fine del regno borbonico e poteva così consentire a Cavour, un mese dopo, di
poter presentare al Parlamento, ancora subalpino il disegno di legge, di un
solo articolo che proclamava Vittorio Emanuele II, Re d’Italia.
Domenico Giglio
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