Un libro importante, del 1945-1946. Ci accompagnerà per un po'. Buona lettura.
Lo staff
La polemica politica non si svolge serena e obiettiva in Italia dopo l’8 settembre 1943. Il territorio invaso e diviso, la catastrofe della sconfitta con la immensa somma dei beni e delle vite perdute, il rifluire lento e doloroso dei prigionieri, la disoccupazione crescente, l’armistizio protratto per oltre due anni, l’impossibilità di una sollecita ricostruzione, hanno reso più aspro e drammatico il periodo di trapasso dalla guerra fascista alla pace che si vuole riconquistare in un ordine democratico nazionale ed universale.
Lo staff
La polemica politica non si svolge serena e obiettiva in Italia dopo l’8 settembre 1943. Il territorio invaso e diviso, la catastrofe della sconfitta con la immensa somma dei beni e delle vite perdute, il rifluire lento e doloroso dei prigionieri, la disoccupazione crescente, l’armistizio protratto per oltre due anni, l’impossibilità di una sollecita ricostruzione, hanno reso più aspro e drammatico il periodo di trapasso dalla guerra fascista alla pace che si vuole riconquistare in un ordine democratico nazionale ed universale.
Già la mattina del 26 luglio
1943 i partiti e gli uomini, costretti per venti anni al silenzio, avevano imperiose
esigenze morali da far valere contro la funesta dittatura di Mussolini. Oggi,
dopo trenta mesi da quei giorni di illusoria e svagata liberazione, cui doveva
succedere l’incubo invernale dell’oppressione e del terrore, quelle ragioni,
divenute assai più pressanti, contribuiscono a rendere arroventata l’atmosfera
e più acre l’odio politico. Il rancore contro la dittatura si è esteso alle classi
e agli istituti che con il fascismo dovettero fare i conti e che furono
costretti a subire il predominio di parie. Ma intanto molti avvenimenti si sono
succeduti, molti partiti hanno consumato il loro involucro idealistico e hanno
svelato la loro vera natura, molte campagne di stampa hanno mostrato la loro
sostanza artificiosa; certa democrazia «progressiva» interna ed esterna ha
messo a nudo il trucco polemico del proprio programma; molti appetiti che addentano
le nostre frontiere hanno fatto cadere tante illusioni e han fatto conoscere
che nulla è muato nelle leggi fi forza che regolano i rapporti tra i popoli.
E’ venuto quindi il momento
di mostrare alcune verità, di fissare alcune responsabilità, di attribuire a
ciascuno il suo, di dare a Cesare quel che è di Cesare
La confusione tra Monarchia
costituzionale e dittatura totalitaria è, prima che una menzogna demagogica, un
non senso e una contraddizione in termini. La Monarchia costituzionale si
regge, infatti, sul Parlamento democratico che già il Guizot considerava, nella
prima metà del secolo scorso, il più compiuto ed equilibrato dei sistemi
politici. Per sua natura essa tende a mediare le esigenze delle varie parti e a
garantire l’equilibrio dei poteri dello Stato secondo la vecchia e rispettabile
formula di Montesquieu. Non la Monarchia ha voluto superare quella formula, ma,
sì, le rivoluzioni contemporanee che hanno accentrato tutti i poteri nella
dittatura di un uomo e di un partito.
L’esperienza del capoparte,
del duce, del fuehrer, del caudillo, del conducator, non si può conciliare con
il monarca costituzionale. Quando Mussolini sente nel 1941, da un inviato di
Franco, l’intenzione di restaurare la monarchia in Ispagna egli vi si oppose
brutalmente perché la sua esperienza, confrontata con quella di Hitler, gli
insegnava che il più forte ostacolo, alla illimitata dittatura, gli veniva
dalla tenace, costante opposizione (che questo libro mostra e documenta) della
Monarchia costituzionale. D’altra parte non va dimenticato che il 25 luglio fu la
Monarchia a rovesciare la dittatura e a far arrestare il dittatore.
I partiti di massa tendono a
identificarsi con la totalità nazionale e a riempire con la loro forma la
organizzazione giuridica dello Stato. Questa degenerazione e questa perversa
follia dei popoli, usciti dal travaglio della prima guerra mondiale, ha offeso
l’equilibrio delle classi e dei poteri dello Stato e insieme, ha minato la
Monarchia costituzionale. Essa ha tolto le libertà ai popoli, ha chiuso i
Parlamenti e ha, insieme, annullati i poteri del Sovrano. È vano parlare delle
cose d'Italia tra il 1922 e il 1943 senza aver penetrato questa massiccia
realtà.
Nell’ottobre 1922 se la
Monarchia fu costretta a fare buon viso al fascismo (tendenzialmente
repubblicano) ciò si dovette alla incapacità del Parlamento democratico a
costituire un governo saldo e durevole. Da quel momento il Re fece ogni sforzo
per assorbire la rivoluzione nella costituzione; ma il fascismo e il suo
dittatore fecero uno sforzo ancora maggiore per annullare la costituzione nella
rivoluzione e con ciò abolire la Monarchia. Privato del Parlamento, e cioè del
potere legislativo da opporre al potere del dittatore, la Monarchia fu rapidamente
costretta ad una posizione di rigorosa difesa. I termini di costituzione e di
rivoluzione, secondo una memorabile massima di Cavour, non si possono conciliare
a lungo perché l’uno elimina l’altro. In Italia l’imbroglio e il bisticcio sono
durati ventun anni per la deviata sensibilità politica del popolo, pronto a
levare sugli scudi un capoparte cui far coro con clamori di piazza, ma insieme
pigro e beffardo, adusato a volgere in ischerno, l’indomani, gli entusiasmi
travolgenti della vigilia.
In questo libro si dà conto
del lungo conflitto e si descrivono obiettivamente i rapporti tra i due termini
di quella che Mussolini ha chiamato, con ribaldo compiacimento, la « Diarchia
».
Alla fine dell’altra guerra
venne meno, si legge nella « Storia di Europa » del Fisher, la religione della
libertà e la fiducia nel metodo della democrazia parlamentare: si credette
necessario ricorrere ai rimedi eroici e alla concentrazione del potere politico
nelle inani di un capo per superare le difficoltà delle lunghe discussioni
parlamentari. Fu un male non solo italiano, ma europeo ed universale.
Nel rendere conto dei fasti
e dei nfastidel fascismo, questo libro accoglie solo i giudizi e le
testimonianze degli autori antifascisti italini e stranieri, si appoggia alla
autorità del Croce, dei Turati, degli Albertini, degli Amendola, dei
Slvatorelli, dei Matthews, dei Fisher. Gli autori del fascismo sono ignorati
Si è voluto con ciò evitare
tanto l’invettiva polemica per fare opera costruttiva di dimostrazione e di
persuasione. Si spera così di servire assai più dell’interesse dinastico la
causa del paese. Ci troviamo infatti nella urgente necessita
di ricostituire il nostro ordinamento politico e giuridico con il ripristino degli
istituti travolti nel 1922. Essi avevano fatto ottima prova dal 1861 al 1918,
ma divennero tardi e inoperanti con la immissione dei partiti di massa nella
politica e con la conseguente frattura dell'equilibrio dei gruppi nell’antico
Parlamento.
I novatori e i sovvertitori
si divisero in più schiere ora concorrenti, ora rivali; ma essi furono tutti
nemici del vecchio ordine costituzionale. Tutti furono adoratori del sindacalo,
del partito, della massa e nemici dell’individuo: tutti esaltarono la forza del
numero che riempie lo Stato, lo conquista e lo domina; tutti dissertarono sullo
spirito collettivo che regge il mondo moderno, tutti adorarono la rivoluzione
continua; tutti scansarono dalla politica il lume della ragione per sostituirvi
la fede bruciante di una nuova religione o antireligione.
Se dopo tanti sviamenti
polemici vogliamo ritrovare la via dell’ordine, della ragione, della salvezza,dobbiamo
scansare gli arsi sentieri delle vecchie e nuove religioni del collettivismo.
Nel mito della massa potremo ritrovare molte cose a noi note e per noi caduche,
ma non la libertà, non la pace, non l’ordinato progresso, non l’illuminata giustizia,
non la legalità, non la perfezione e l'edificazione dello spirito. La libertà
procede dalla dialettica e dal giuoco delle parti, non dalla massiccia uniformità
del popolo nello Stato.
Nello schieramento attuale
dei partiti in Italia, sono fautori di una Monarchia costituzionale quelli che
avvertono innanzi tutto l'esigenza della libertà; sono fautori della repubblica
quelli che sognano nuove esperienze sociali e sono dominati dal demone
rivoluzionario. I primi chiedono il ritorno agli istituti del Risorgimento e
affermano che lo Stato si può salvare solo rispettando la sua continuità. I
secondi sono pronti alle ignote esperienze dei tumulti di piazza comandati
dalle milizie di parte sotto i vessilli rossi o neri della repubblica e del
terrore.
È la vecchia strada
tradizionale delle repubbliche italiane così felicemente illustrala dal Quinet
nelle Rivoluzioni d'Italia: è una strada nella quale si è consumato per secoli
il nostro genio e avvilita nella servitù la dignità della Patria.
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