PIEMONTE
Repertorio 7238/3875.
Repubblica Italiana
Deposito di documento.
Quattordici aprile 1953 in
Torino nello studio del Notaio Mijno Via Alfieri 19, alle ore diciassette e
minuti trenta.
14-IV-1953
Innanzi me Tabacchi dottor
Pasquale coadiutore temporaneo dell’avv. Ulrico Mijno Notaio in Torino,
iscritto al Collegio Notarile dei Distretti riuniti di Torino-Pinerolo — tale
nominato con provvedimento del Consiglio Notarile dei suddetti distretti
riuniti in data 19 dicembre 1953;
senza l’assistenza dei
testimoni per espressa rinuncia fattane dal signor comparente col mio consenso;
sono comparsi i signori:
1) Ollivero Luigi fu Eugenio
nato a Bibiana domiciliato a Torino Via Bellezia 11, avvocato;
2) Rossi Carlo fu
Michelangelo nato a Celenza residente a Torino Via Schina 8, generale di corpo
d’Armata;
3) Gatti Gesualdo fu Filippo
nato a Roma residente a Torino Via Artisti 34, pubblicista;
4) Grand’Ufficiale Taglietti
Ettore fu Ecc. Giuseppe;
5) Malchiodi Ercole fu
Erminio nato a Bobbio Piacentino domiciliato a Torino Via Viotti 1, avvocato;
della cui personale identità
io Notaio sono certo, i quali mi fanno istanza di ricevere in deposito e
conservare tra i miei atti allo scopo di poterne rilevare copie autentiche
diverse una dichiarazione non intestata redatta su carta da bollo da L. 32
stesa su facciate tre e mezza circa contenente dichiarazione dei firmatari
circa il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, che i comparenti
riconoscono prima d’ora da loro firmata.
Aderendo alla fattami
richiesta io Notaio allego al presente atto sotto la lettera « A » il documento
sopra indicato, omessane la lettura per dispensa dei Comparenti e da loro con
me vidimata.
Il presente atto da me
scritto in parte ed in parte da persona di mia fiducia su due facciate e
qualche linea di un foglio è stato da me letto ai Signori Comparenti i quali a
mia domanda lo dichiarano conforme alla loro volontà e con me lo sottoscrivono
alle ore diciotto.
In originale firmati:
Ercole Malchiodi - Gesualdo
Gatti - Ettore Taglietti - Luigi Ollivero
Generale di Corpo d’Armata (Ris.) Carlo Rossi - Pasquale Tabacchi
(coadiutore).
Allegato A
DICHIARAZIONE
Per intendere come siasi
svolta in Torino e in Piemonte la campagna monarchica in occasione del
referendum occorre ricordare anzitutto che l’ambiente era stato montato, con
ogni espediente più demagogico, contro la Dinastia Sabauda. Uomini che pure
avevano lottato per la resistenza, non avevano esitato a far proprii, e ad
accreditare fra le masse, odiosi attacchi formulati, contro la Casa Savoia, da
giornali della così detta repubblica di Salò. Indubbiamente vi furono episodi
di violenza, specie nella periferia di Torino e di altre città per impedire,
agli oratori monarchici, di prendere la parola e per allontanare ascoltatoci.
A Torino e nelle principali
città del Piemonte, attraverso l’opera dei Comitati di Liberazione, posti di
comando erano stati assegnati, all’infuori di qualsiasi designazione popolare,
ad elementi che, consapevolmente o inconsapevolmente, erano asserviti alla
politica moscovita.
Da ciò lo spiegarsi di molte
influenze contrarie all’idea monarchica e il determinarsi in strati della
popolazione, della convinzione che la causa della Monarchia fosse perduta a
priori.
Il referendum si svolse così
in una situazione psicologica tale da escludere la genuina espressione della
volontà popolare. In Piemonte e in genere in Alta, Italia, nelle giornate
successive alla liberazione, si erano verificati, ad opera di ignoti, parecchi
omicidi di innegabile movente politico. Le Autorità di occupazione, se avevano
contrastato una rivoluzione economica che ad alcune correnti politiche pareva,
secondo le loro speranze, imminente, non si erano però volute impegnare in
un’opera, che sarebbe stata agevole, di repressione dei delitti e di tutela
dell’ordine pubblico sostanziale. Anzi, in quei tempi in cui l’esigenza della
solidarietà europea non si era ancora imposta, le Autorità alleate — fossero o
non fossero sempre intellettualmente parlando, all’altezza della situazione —
davano a divedere di considerare senza dispiacere il determinarsi, fra di noi,
di acerrime lotte interne, tali da togliere al nostro Paese ogni efficienza sul
piano internazionale. Le stesse Autorità erano animate dal solo intento di
ottenere la nomina di deputati alla Costituente i quali, approvando, qualunque
ne fosse la sostanza, il trattato di pace, lo rivestissero di una qualche
parvenza di legittimità internazionale. Queste Autorità di occupazione non
potevano non sapere, e non tenere presente nella loro condotta, che gli
elementi fidi alla Monarchia del Risorgimento, erano anche i più sensibili alla
giusta tutela degli interessi morali e storici della Nazione italiana, onde il
loro prevalere avrebbe reso più difficile l’accettazione formale, per parte
dell’Italia del Trattato di pace.
La tesi che le forze di
occupazione fossero contrarie alla permanenza della Monarchia, era stata
abilmente Valorizzata. Nel Teatro Vittorio Emanuele di Torino, l’On Ferruccio
Parri, fino a poco tempo prima Presidente del Consiglio dei Ministri, affermò
appunto durante la campagna per il referendum, che certi Stati, già nemici,
avrebbero potuto fare patti migliori all'Italia nell’elaborazione del trattato
di pace se il nostro Paese avesse prescelto un regime repubblicano. La
convinzione che, per ottenere più eque condizioni di pace, e prima ancora, gli
aiuti materiali di cu l’Italia aveva letteralmente bisogno per vivere, fosse
conveniente abbandonare l’istituto Monarchico, creò in molte persone un caso di
coscienza veramente grave, consistente nel dubbio che il prevalere della
Monarchia potesse rendere ancor più penosa la situazione in cui l’Italia si
trovava ni 1947. Quando poi si lesse i! Trattato di pace si vide quanto
illusoria e fallace fosse la speranza che l’Istituto repubblicano potesse
condurre ad un equo trattamento del popolo italiano. Ma ormai il dubbio
insinuato nell’animo di molti cittadini aveva prodotto il suo effetto.
Potrebbe aggiungersi, a
spiegare sinteticamente questa deformazione della volontà popolare, quale
indubbiamente deve ravvisarsi nei risultati del referendum, che, anche senza
esplicite pressioni, un plebiscito è sempre conforme alle vere o supposte
intenzioni di chi occupa il territorio in cui avviene la consultazione
popolare.
Per queste ragioni noi
riteniamo che il referendum del 2 giugno 1946 non abbia espresso la volontà
popolare.
Torino, 14 aprile 1953.
In originale firmati:
Ercole Malchiodi - Gesualdo
Gatti - Luigi Ollivero - Ettore Taglietti - Generale di Corpo d’Armata Ris.)
Carlo Rossi.
Registrato a Torino il 24
aprile 1953 al N. 21399 con L. 651.
Copia conforme all’originale
firmato in cadun foglio a sensi di legge.
Torino, 27 aprile 1953.
Pasquale Tabacchi,
coadiutore
Torino,
27 aprile 1953
Via
della Consolata N. 8
All’Unione
Monarchica Italiana - Torino.
Ho
preso visione della dichiarazione notarile relativa al «Referendum » istituzionale
del 2 giugno 1946, al N. di repertorio 7238/3875 in data 14 aprile 1953,
registrata a Torino il 24 aprile al N. 21399.
Concordo
pienamente con quanto in essa è detto e desidero inviare la mia adesione,
dolente che 1 assenza da dorino mi abbia impedito di
firmare contemporaneamente agli altri amici Avv. Ercole Mal eh iodi, S. E.
il Generale Carlo Rossi, Maggiore Gesualdo Gatti, S. E. Ettore Taglietti e
Avv. Luigi Ollivero.
Cordiali
saluti.
Dev.mo
Paolo Bodo
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