NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 18 marzo 2023

RICORDO DEL RE UMBERTO II DI SAVOIA

 



di Gianluigi Chiaserotti

 

Erano le 15,35 del 18 marzo 1983, quaranta anni or sono, che il Grande Re Umberto II di Savoia ci lasciava.           

Ma il piacere più grande è quello di ricordarlo, in questa occasione, in cui mi limiterò a tratteggiare, a grandi linee, e con ricordi personali, la Sua vita di Italiano e di Re.

Nato nel Castello di Racconigi giovedì 15 settembre 1904, l’allora Principe Ereditario venne al mondo in silenzio, come in silenzio è stata la sua vita di italiano e di Re; in silenzio, dicevo, in quanto era in corso uno sciopero generale e proprio per questo i giornali non furono stampati. Però il lieto evento giunse alle orecchie del Sindaco di Milano, il quale volle esporre il Tricolore Sabaudo al balcone del Palazzo Municipale.

Il Principe di Piemonte, titolo che Gli spettava, ebbe un’infanzia ed un’adolescenza caratterizzate essenzialmente dalla rigida educazione militare impartitagli dall’Ammiraglio Attilio Bonaldi. Per cui sveglia all’alba, esercitazioni varie, equitazione, ginnastica. Molti avversari della Monarchia, inutili e superficiali, hanno criticato questo; senza però pensare che era necessario, in quanto il Principe sarebbe dovuto divenire il Sovrano di una Nazione invidiata e nobile come era la nostra. Terminata la preparazione c. d. bonaldiana, Umberto andò in Ginnasio e poscia al Collegio Militare di Palazzo Salviati in Roma, nel quale frequentava le lezioni a carattere scientifico, mentre gli studi classici li preparava privatamente. Terminato il Liceo si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, laureandovisi nel novembre 1925, e divenendo, contemporaneamente, Tenente della Accademia Militare di Modena.

Dopo gli anni spensierati della giovinezza, trascorsi soprattutto a Torino, giunse il momento in cui prevalse la Ragion di Stato poiché Umberto doveva assicurare la continuità della Dinastia; per cui nel giorno del cinquantasettesimo genetliaco della Regina Elena (1873-1952), il giorno 8 gennaio 1930, sposò la bellissima Principessa Reale di Sassonia Coburgo Gotha, Maria Josè del Belgio (1906-2001), figlia del Re Alberto I.

Siamo così giunti alla parte del ricordo sul Re Umberto II in cui  è chiamato a reggere le sorti dello Stato. Con l’armistizio di Cassibile del 4 settembre 1943,  il giorno 8, Re e Governo si trasferirono a Pescara (ho detto “si trasferirono” e non “fuggirono”, come qualcuno vorrebbe). Codesto è stato un grande atto di lungimiranza del Re Vittorio Emanuele III (1869-1947), il quale sapeva che se non fosse giunto a ciò, non avrebbe assicurato la continuità dello Stato. Dopo un periodo di governo al Sud, Vittorio Emanuele, alla liberazione di Roma — cioè il 5 giugno 1944 —, nominò Umberto, Luogotenente Generale del Regno. Con questa veste Egli attuò bene la Sua ottima preparazione a divenire Re, che giunse il 9 maggio 1946, a circa un mese dalla data in cui si era stabilito di svolgere il “referendum” istituzionale, cioè il 2 giugno; “referendum” che il Re e, ribadiamo, solo il Re indisse con Decreto Legislativo Luogotenziale  16 marzo 1946, N. 98; ed ecco cosa, tra l’altro, disse Umberto, a Genova, nel Suo proclama del 31 maggio 1946, e, soprattutto, scevro da ogni interesse dinastico:

 

“(…) appena la Costituente avrà assolto il suo compito possa essere ancora una volta sottoposta agli italiani — nella forma che la rappresentanza popolare volesse proporre — la domanda cui siete chiamati a rispondere il 2 giugno.”

 

Dalle urne invece, purtroppo, uscì l’imbroglio e la truffa. Il 4 giugno aveva vinto la Monarchia; il 5 giugno mattina la Repubblica. La notte portò “consiglio”. Uscì, sempre dalle urne,  il modo non corretto di calcolare le maggioranze e così via (fatti tutti documentati anche da libri di testo scolastici stranieri). Anche la Cassazione non si portò come avrebbe dovuto in quanto non poteva che omologare risultati, e quindi non proclamò nessuna nascita della Repubblica.

Nel suo ultimo proclama Umberto dice:

 

“(…) confido che la Magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d’Italia, potrà dire la sua libera parola;”.

 

Purtroppo nella notte tra il 12 e il 13 giugno, compiuto, da parte del Governo, un vero e proprio “colpo di Stato” (tacitamente ammesso anche dalla Gazzetta Ufficiale del 1° luglio 1946, N. 144), alle ore 16 del 13 giugno il Re Umberto di Savoia lasciava la Sua Patria, ed alla radio fu letto il proclama di protesta, che, tra l’altro, dice:

 

“(…) Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi ed

al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il Governo  ha compiuto un gesto rivoluzionario assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire violenza.”.

 

Il Re, non abdicatario (se lo avesse fatto avrebbe dovuto riconoscere il sopruso di cui era stato fatto bersaglio), lasciando la Patria si sacrificò per il bene della medesima. Ma, pur protestando, sciolse dal giuramento di fedeltà quanti lo avevano prestato ma “non da quello verso la Patria”.

Ed eccoci all’esilio, allora (ed ora non più, come vedremo tra poco) sancito dalla XIII Disposizione Transitoria e Finale della Costituzione della Repubblica italiana, la quale condannava lui ed i nascituri a questa inumana e mediovale pena. In questo doloroso periodo della sua vita il Re, dalla villa portoghese, ha voluto essere sempre presente nelle vicissitudini, liete e tristi, dell’amata e lontana Patria, rimanendo fedele, naturalmente, alle scelte di principio. Presente nei suoi tradizionali messaggi di fine d’anno, nei quali ha sempre messo in risalto l’importanza della pace, della giustizia sociale e dell’unità.

E’ bello e doveroso qui ricordare che, nell’occasione del Centenario dell’Unità d’Italia  - il 17 marzo 1961 - Re Umberto sia stato più presente di chiunque altro. Infatti alla solenne assise della Consulta dei Senatori del Regno convocata, per l’occasione, in Torino fu letto il suo messaggio, che tra l’altro recita:

(…) L’epica impresa poté grado a grado raggiungere l’altissimo fine,

 perché il Re Vittorio Emanuele II, con a fianco Camillo di Cavour,

 aveva assunto con mano ferma la direzione

 e la responsabilità del moto nazionale,

coraggiosamente superando difficoltà di ogni genere.

Attorno ad essi sorsero da ogni parte d’Italia

 – magnifico prodigio –

 falangi di patrioti, sempre tutti presenti nei nostri grati cuori.

L’apostolato di Mazzini e l’eroismo di Garibaldi integrarono l’opera meravigliosa, risultato di forze confluenti e contrastanti, fuse nella sintesi della Monarchia nazionale. Discordie e rancori di partiti furono arsi dal sentimento religioso della Patria: così sorse il Regno d’Italia. (…).

Il Re concesse poi onorificenze sabaude ad illustri personalità e si fece rappresentare dal Duca di Bergamo, Adalberto di Savoia-Genova (1898-1982)  in Teano, per lo storico incontro tra il Re Vittorio Emanuele II (1820-1878) ed il generale Giuseppe Garibaldi (1807-1882).

Ma oltre a queste presenze storiche, Egli fu presente, e con aiuti cospicui, in occasione di tutte le tragiche calamità naturali che hanno colpito la nostra Terra: la sciagura del Vajont del 1963; i numerosi terremoti (Valle del Belice del 1968; Friuli del 1976; Irpinia del 1980; frana di Ancona del 1982). Fu presente anche con le famiglie di attentati terroristici, mafiosi e con le vittime di rapimenti. La Sua costante presenza fu anche graditissima fra i campioni dello sport italiani, succedutisi ed affermatisi nei lunghi anni di esilio. Ma riteniamo che la presenza più bella, più significativa era quella per gli italiani che si recavano a trovarLo in Cascais, e che  riceveva con nessuna formalità od etichetta.

Memorabile fu l’incontro con il Sovrano a Beaulieu sur Mer del 4 giugno 1978, occasione nella quale chi scrive, neanche diciottenne, ebbe l’onore di conoscere e salutare il Re d’Italia, Umberto II di Savoia.

La proposta di legge costituzionale per l’abrogazione dell’esilio portava la data del 10 marzo 1981. Proposta che si è iniziata a discutere in aula – dopo che era stata ferma 140 giorni in commissione, solo il giorno 8 marzo 1983, e ciò quando il Re era grave nell’Ospedale Cantonale di Ginevra, e, purtroppo, si aspettava il peggio. Durante questa, oseremmo dire, “presa in giro”, ci fu la gara tra i nostri politici, tranne isolati casi, riguardo alla faziosità ed al riportare notizie false e tendenziose sulla vita del Re e su Casa Savoia.

Chi lo avrebbe detto che avremmo dovuto attendere ancora diciannove anni, e ciò fino al 10 novembre 2002, per assistere – finalmente – all’”esaurimento”, come recita letteralmente la legge costituzionale 23 ottobre 2002, N. 1, degli effetti dei commi primo e secondo della XIII Disposizione Transitoria e Finale della Costituzione.

Quindi, il 18 marzo 1983, il Re Umberto ci ha lasciati, e ci ha lasciati lucido, con – sulle labbra - la parola che più amava, che più sentiva, che è stata la ragione di tutta una vita: “Italia”.

 I solenni funerali si celebrarono, alla impressionante presenza di tantissimi italiani, nell’Abbazia di Hautecombe, ove il Re, secondo le Sue ultime volontà,  volle esservi sepolto provvisoriamente, se fosse deceduto lontano da Cascais, in attesa, naturalmente, della sepoltura nel Pantheon di Roma.

Nell’epilogo desidero riportare tre significativi pensieri del Re: 

“Chi affronta la responsabilità, le preoccupazioni, gli oneri, i disagi e talora i rischi della democratica lotta per il ritorno della Monarchia, dà esempio della dote più bella e più alta dell’Uomo: la fede che vuol dire certezza”;

“La repubblica è un regime estraneo alle tradizioni nazionali, imposto”

badate bene dice “imposto

in un momento di generale turbamento”.

Il terzo, scoperto solo il 22 marzo 1983 – a quattro giorni dalla scomparsa – nel Suo scrittoio di Cascais:

“(…) poco importa a  me d’esser giudicato da un tribunale di uomini… nè mi giudico da me stesso poiché non ho coscienza di aver commesso alcunché; ma non per questo sono giustificato: mio Giudice è il Signore”.

“Io mi avanzo pieno di speranza alle Tue soglie del Tuo divino Santuario la cui fulgida luce ravvisai sul sentiero misurato dai miei passi mortali.

Alla Tua chiamata, o Signore, io vengo tranquillo”.

Ecco quella fede, quella speranza, nonché quella religiosità che hanno caratterizzato tutta la Sua vita  e che Gli hanno dato la forza di sperare nel futuro.

Quindi quei politici che negarono al Re (nel 1983), dopo 37 anni di esilio - anche con un permesso straordinario - il sacrosanto rientro ed il Suo desiderio di morire in Italia, credevano di aver vinto.

Umberto di Savoia, riposando nella quiete e nella religiosità della Abbazia di Hautecombe, in quella Savoia, ove mille anni fa Umberto Biancamano fu il Capostipite della Dinastia - in attesa della giusta sepoltura nel Pantheon di Roma – è, e di gran lunga, il vincitore in Signorilità, in Fede ed in Amor di Patria.

Così è, così Lo ricordiamo e così Lo benediremo.

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