IL senso più commovente di
questo svolgersi della situazione non appariva in superficie ma si nascondeva
nel profondo ed era il lento inesorabile orientarsi dell'Italia sull'ago del
suo destino da sola e contro le forze avverse, di tanto più possenti, tra le
quali con la guida del prudente e coraggioso suo Re, avanzava.
Il ben noto dibattito sulla
preparazione dell'Intervento, sulle giornate di maggio (« il maggio radioso »)
sulle difficoltà insorte per la celebrazione di Quarto e la mancata presenza
del Re, sugli estremi disperati tentativi di Giolitti per trarre il Paese dal
passo in cui s'era avventurato e la profluvie di discorsi, di sospetti, di
dimostrazioni della piazza, descrivono una crisi assai più vasta e solo paragonabile
ripeto, a quella insorta nella vita costituzionale dell'Italia alla fine
dell'ottobre '22. Terminava il lungo «regno» di Giolitti, cioè di una
personalità al di fuori e al di sopra del Governo, dei partiti e persino delle
Istituzioni, dalla quale si facevano dipendere, e dipendevano, come da un
Semidio, e la guerra e la pace.
Cominciava un'altra storia
nella quale il piccolo Re avrebbe campeggiato da solo, sebbene anche sullo
sfondo delle trincee e dei cannoni, delle sanguinose battaglie e delle sudate
vittorie, delle sconfitte e delle rivincite, si volesse minare il posto ch'egli
si acquistava nell'animo degli italiani e s'era in gran parte guadagnato.
Indubbiamente sfuggiva all'attenzione di chi viveva quella storia il legame
profondo tra gli avvenimenti e il loro significato. La guerra contro gli Imperi
centrali fracassava definitivamente l'equilibrio interno e internazionale
dell'Europa, mandava all'aria la politica del «balance of powers» e iniziava il
fatale declino del continente. Sotto questo profilo, se fossero ammissibili
certe deduzioni, sin dal 1911 l'Italia, la piccola esitante Italia alla quale
Giolitti negava ogni possibilità di affrontare l'Austria e di tenersi in piedi
in una tormenta come quella ch'era per scatenarsi, — aveva rotto il ghiaccio e
iniziato quel «lunghissimo periodo di guerre continentali» di cui parla Croce.
Importava però allinearsi con la storia. La retorica dannunziana dell'«atto di
vita», apparve assai meno retorica di quanto fosse. Sorretta dal consiglio e
dall'energia del Re, il Paese andò avanti ed ebbe, dopo Caporetto, nozione
della sua forza. Tutti in quelle circostanze credettero perché il Re credette.
La profezia giolittiana dell'arrivo a Verona e a Milano degli austriaci stava
per avverarsi, ed anche la rivoluzione e il disfacimento dell'Unità. Ma sul
punto di diventare realtà quelle profezie sfumarono.
Anche il 25 luglio e l'8
settembre 1943 siamo passati per simile crocevia, in circostanze per tanti
aspetti uguali e per tantissimi altri più gravi. In questi tre momenti noi troviamo
viva e operante la figura del Re Vittorio. Strumento e insieme movente dei
fatti egli fu correttivo prezioso della varia fortuna e delle forze opposte
prementi implacabili e feroci sul Paese. Questo libro narra appunto, sulla
scorta di nuovi documenti e ricerche, accostandole, l'opera e l'azione di
Vittorio Emanuele III e del generale Armando Diaz la prima volta che l'Italia,
come s'è detto, fu sul punto di diventare una mera espressione geografica e
potette levarsi in piedi, poi, vittoriosa.
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