di Emilio Del Bel Belluz
Nei giorni che seguirono Ludovico era più taciturno,
non aveva più parlato di quella ragazza che aveva conosciuto quella sera della
cena e che lo aveva fatto dormire vicino al fiume, sotto le stelle. Nel lavoro,
invece, dimostrava più impegno e la voglia di approfondire il mestiere di
pescatore. Notai anche che gli bastava un niente per sorridere. Questo
particolare non era sfuggito alla cara Elena che conosceva il segreto di questo
cambiamento: Ludovico si era innamorato, come gli aveva riferito Serena. Erano
bastati alcuni incontri per accendere in loro la passione. Nella vita ci sono
delle persone che vengono trasformate grazie all’amore. Ludovico mi chiedeva,
inoltre, dei consigli su come restaurare la propria casa; forse voleva andarci
a vivere con Serena. Una sera, mentre era a cena da noi, si confidò con tutti,
complice un bicchiere di vino di troppo. Ludovico appariva preoccupato, il
padre di Serena voleva conoscerlo al più presto, come si usava fare in quei
tempi. Il padre era una persona che era stata forgiata dalla vita con
rettitudine ed esigeva che gli fosse chiesto il permesso di poter frequentare
sua figlia. Ludovico temeva che la sua menomazione alla gamba facesse esprimere
un rifiuto da parte del padre. D’altro canto, giocava, a suo favore, il fatto
che il padre aveva molta simpatia per quelli che avevano combattuto per il
Paese. Genoveffa, mentre gli serviva una fetta di torta alle mele, gli batté
una pacca sulla spalla dicendogli di stare tranquillo. Conosceva molto bene il
padre di Serena, e gli disse che nel loro incontro non dimenticasse di
parlargli della guerra di Spagna, della sua partecipazione ad alcune battaglie,
e che gli raccontasse in modo struggente come era stato ferito alla gamba.
Inoltre, doveva elogiare la figura del Duce che era molto amato e stimato dal
padre di Serena. Genoveffa, che dimostrò d’essere ben informata sulla figura
del padre, disse che se avesse seguito i suoi consigli, il vecchio fascista non
gli avrebbe negato l’assenso. Ludovico si rincuorò, acquistò fiducia in sé
stesso e fu allora che raccontò d’amare Serena e che il suo amore fu un colpo
di fulmine. L’incontro con il padre si era svolto come previsto da Genoveffa e
non mancò il suo consenso. Le loro frequentazioni divennero più assidue;
s’incontravano ormai ogni giorno, anche se per poco tempo. Una sera che la luna
splendeva, e si specchiava sulle acque tranquille della Livenza, le aveva
raccontato di quella notte che trascorse vicino al fiume, senza dormire per la
felicità del loro primo incontro. Serena lo abbracciò, commossa. Ludovico
immaginava di costruire al più presto una bella famiglia con lei, anche se
talvolta affiorava la paura di perderla. La serata volgeva al termine e così si
salutarono. Girovagò ancora per un’ora e prima di rientrare a casa, volle
passare davanti alla casa di Serena. Osservò che c’era la luce della sua camera
accesa. Gli sarebbe piaciuto chiamarla, ma non osava disturbarla. Gli aveva
raccontato che le piaceva leggere la sera: aveva una grande passione per la
scrittrice Liala. I racconti erano intessuti d’amore e le erano di grande
compagnia. Una sera gli aveva parlato di questa donna straordinaria capace di
far innamorare molte persone. Le sarebbe piaciuto conoscerla, ma doveva
accontentarsi di leggere i suoi libri che le venivano prestati dalla moglie
dell’oste del paese. Ludovico dopo aver osservato ancora una volta quella
finestra illuminata si allontanò. La strada che aveva fatto mille volte nella
sua vita, gli sembrava quasi nuova, perché lui si sentiva una nuova persona.
Mentre giungeva a casa, incontrò un vecchio che usciva dall’osteria e si notava
che si era innamorato della bottiglia. Ludovico fece un tratto di strada
assieme, era un vecchio che viveva solo, da quando gli era morta la moglie. Da
anni si era abituato alla vita solitaria, ma ogni tanto si concedeva una bevuta
in compagnia. Non la riteneva una cosa così grave, il voler naufragare la sua
tristezza nella bottiglia. Costui disse che aspettava con impazienza di
raggiungere in cielo l’amata moglie. Ludovico ebbe pietà per lui, e fece ancora
un pezzetto di strada assieme. Finalmente arrivò a casa, ma non riusciva a
prendere sonno per cui si mise a leggere una vecchia antologia del 1911 che da
sempre aveva visto nella sua cucina. Davanti al lume a petrolio la sua
attenzione si soffermò su un racconto intitolato:” Sulla riva di un fiume“.
“Ieri sono rimasto a meditare sulla riva di un fiume, che scorreva lento lento
fra meandri ornati di piante verdeggianti. Era un pomeriggio tranquillo
d’ottobre. Il sole era un po’ velato, ed ora appariva più intenso, ed ora era
completamente coperto da grandi nuvoloni, che passavano e si rincorrevano nel
cielo. Che quiete intorno a me! Le acque scorrevano con un mormorio continuo e
monotono, scorrevano senza posa, e scuotevano le foglie delle piante
selvatiche, germoglianti sulle rive, le grandi foglie, che si chinavano per
immergersi nelle acque trasparenti. Io rimasi così a lungo, adagiato sull’erba,
e con gli occhi fissi guardavo le acque che passavano sempre, e una atonia
soave, un bisogno di bontà e di pace mi vinceva, in quella solitudine delle
cose. Ed io pensavo che la vita nostra è come le acque di quel fiume, che
scorrono sempre, e non sanno quale virtù le spinga e quale forza le trascini
verso il mare. Così la vita dell’uomo scorre tra le piante verdeggianti, che
sono le speranze lusinghiere, e non si ferma un attimo solo, né potrebbe per un
solo istante fermarsi nel suo cammino fatale. Quanti ostacoli incontra
quell’acqua lungo il suo corso! Ora sono macigni alti, ora piccoli sassi; ma
quell’acqua non si ferma per questo, ma li sorpassa, e se non può, si piega in
modo da lasciarseli indietro. E quanti inciampi non trova l’uomo
nell’esistenza! Ma se vuole giungere alla meta deve attingere la forza di dominarli
o deve disporre gli eventi in modo da non tener conto di quegli inciampi e
passare innanzi vittoriosamente. Le acque del fiume vanno, vanno, né sanno dove
andranno, né sanno se la loro forza le spinga verso la morte. Eppure esse non
si stancano di cantare, non perdono la loro gaiezza, e vanno sempre. Così
l’uomo deve sempre, anche andando verso una meta oscura, disporre di una grande
tranquillità d’ animo, di una serenità a tutta prova. E la sua vita, in tal
modo, non sarà afflitta da ombre del suo pensiero, né da immaginarie
malinconie. Il sole a poco a poco si chinava verso l’orizzonte. Una velatura
d’ombra si diffondeva nel cielo; le acque del fiume parevano si avvolgessero in
un mistero di pace. Il tramonto a poco a poco scendeva. Ed io, mentre mi
preparavo per il ritorno, sentivo sempre il mormorio delle acque che scorrevano
tra meandri di verde” Alberto Cioci Ordinario di Italiano delle R. Scuole
Tecniche di Roma- Editore Longo e Zoppelli (TV) 1911 La lettura di quel
raccontò l’acquietò ed il sonno ebbe il sopravvento.
Nessun commento:
Posta un commento