Si credette
(citiamo il fatto perché riflette quanta legittima e fondata convinzione di
«non far nulla per nulla» dominasse la democrazia italiana di allora) a grandi
compensi ottenuti da Tittoni. Per la stipula della Triplice, nel 1882, ci s'era
promesso la restituzione di Trento; si pensò, dunque, a quella promessa
mancata. Si trattava invece di ben poco: rinunzia alla guarnigione austriaca a
Novi Bazar e annessione al Montenegro del Porto di Antivari e del litorale, con
limitazioni strategiche. Fu l'opposizione repubblicana a brillare in quell'occasione
e sarebbe ancora oggi istruttivo, specie per i repubblicani, rileggere i
discorsi di Barzilai e di Fortis. È vero che Barzilai e Fortis giuravano al Re
che, probabilmente, taluni dei loro discorsi dovette ispirare. Del resto il 23
marzo 1911 Bissolati andò al Quirinale, lui che dieci anni prima aveva gridato
«Abbasso il Re». La Monarchia, scrisse la «Propaganda», credette di aver
«aggiogate le tigri», ma non era poi la Monarchia ad averlo fatto, era
l'Italia. Il fenomeno si ripeterà dopo Caporetto nel gran moto di energia
nazionale opposto, da ogni settore dell'opinione, compresa quella dei
socialisti, all'accettazione del disastro.
* * *
Il cinquantenario del Regno,
lo scoprimento della Mole sacconiana a Piazza Venezia, l'inaugurazione
dell'Istituto internazionale di Agricoltura, il Congresso dell'Emigrazione
presieduto da Marconi (siamo nel 1911) concludevano nella floridità delle
finanze e nelle speranze e impulsi del nazionalismo nascente la bella stagione
del regno di Vittorio Emanuele III. La politica estera ch'egli o ispirava o
attuava la riassunse Giolitti alla Camera riconfermando la «fedeltà nelle
alleanze e nelle amicizie», una politica del piede di casa, se si vuole, poiché
in casa si trattava di fare ordine, pacificare le masse proletarie, comporre
gli interessi della mano d'opera con quelli del capitale terriero e
industriale, incrementare i grandi servizi pubblici, guidare la finanza dello
stato. Né era tenero quel Governo Giolitti con gli imprudenti: si mise
fulmineamente a riposo il generale Asinari di Bernezzo, un combattente di
Custoza che l'Il novembre del 1909 consegnando una bandiera al reggimento di
cavalleria di Brescia additò le « colline bagnate di sangue di tanti martiri e
di là, non troppo lontano, le terre irredenti le quali attendono l'opera vostra».
Per quanto i nazionalisti e i
futuristi e i dannunziani tempestassero e vedessero l'Italia « ridotta ad
affittacamere dell'Europa spendereccia » l'unica politica estera possibile e di maggior frutto era quella
seguita fino allora.
Corradini aveva formulato le
fondamentali proposizioni nazionalistiche, una delle quali affermava che se
l'Italia era una nazione proletaria rispetto alle altre in Europa, il suo socialismo
doveva essere il nazionalismo. L'« Idea Nazionale » uscì il giorno anniversario
della battaglia di Adua e cominciò subito la campagna per la spedizione di
Tripoli. Tuttavia né gli articoli di giornali, né i drammi di Corradini (in
generale i nazionalisti ebbero fama di mediocri letterati passati alla
politica, in busca di miglior fortuna),
né i disegni di Fortunino Matania (uno, col marinaio che rileva l'antica daga
romana dalla salma rivestita di armatura d'un legionario, fu celebre) bastavano
a convincere contadini e operai. Mussolini incitava le donne a stendersi attraverso
i binari dei treni militari.
Circa la sponda africana, poi,
i pareri e le notizie contrastavano quasi si trattasse d'una ultima
irraggiungibile Thule. Corradini andava esaltandone clima e fertilità sulla
scorta di Erodoto; Frassati mandò Bevione sul posto a scrivere articoli
entusiastici, poiché l'impresa stava molto a cuore all'industria piemontese;
Nitti, al solito, mostri parere contrario. Già nel 1907 aveva scritto: «Non vi
è nessun impero da conquistare, non vi è che l'avvenire da compromettere». Poi
troverà la famosa definizione della Libia: «lo scatolone di sabbia » mentre
Turati disse l'altra:«l'inutile oceano di mortifere arene».
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