Contemporaneamente il Re si preparava a ricevere Guglielmo II nel Golfo di Napoli e trattare con lui gli accordi negoziati da Tittoni e da Goluchowsky, sulla nostra influenza nei Balcani e vi si concertò una «soddisfazione» all'Italia concedendo ad un generale italiano (fu il de Georgis) il comando della polizia dei distretti e l'attribuzione a noi di Monastir, che avevamo chiesta preventivamente. Insomma la politica estera del Re era riuscita a mantenere viva e operante la Triplice e vivi e operanti i rapporti, così difficili, per boria o per riserve mentali, con la Francia e l'Inghilterra.
Le grandiose accoglienze (24 aprile 1904) a Loubet, di cui Guglielmo II pomposo e festaiolo mostrò una vera e reale gelosia, dopo la visita del Re e della Regina a Parigi (ottobre 1903) ponevano l'accento acuto sulla gioia di Camillo Barrère.
Tornavano di moda i versi di Vittor Hugo: «Nous chercherons quel est le nom de nostre ésperance — nous dirons: Italie! Et tu répondras: France!» e i giornali spendevano colonne di piombo per descrivere l'abbraccio e il bacio tra il Re e il Presidente. I «grandi ricordi comuni» di cui si parlò nei brindisi furono attualizzati in un album che i triestini dedicarono a Loubet ricordando il sole vittorioso dei campi lombardi. Né la Germania ottenne di far introdurre nel brindisi di Re Vittorio un accenno alla Triplice né il principe di Bulow di limitare il tono delle feste a quello che s'era tenuto per rendere omaggio all'Imperatore. Almeno in materia di ghirlande e luminarie l'Italia voleva serbare piena e intera indipendenza. Fu ansi il Re stesso a dire a Barrère che per Loubet si sarebbero fatte cose mai viste. La promessa fu mantenuta.
Tuttavia i rinnovi dell'Alleanza si succedevano senza troppe difficoltà; il 21 giugno s'era firmato sino a scadenza dei sei anni il testo identico a quello del 1891 con l’aggiunta di una clausola di non intralcio in caso di azione italiana in Tripolitania e Cirenaica. Il 5 dicembre 1912 si rinnovò anticipatamente il trattato che sarebbe scaduto l'8 luglio 1914. Il Cancelliere austriaco Aerenthal era sinceramente convinto che la Triplice sarebbe durata sino al 1920, così tanto da provocare la dimissione del nostro maggior nemico, ch'era il Conrad; accanito come Catone, nel proclamare la necessità di distruggere Cartagine anche cogliendola (povera Italia!) in momenti di particolare emergenza come avvenne per i due grandi terremoti del '05 e '06 in Calabria e in Sicilia, poiché l'Italia ad altro non mirava che a spossessare l'Austria dei territori irredenti, a dominare l'Adriatico, a impedire la marcia austroungarica del Balcani, sostituendovi la sua influenza, a crearsi sulla sponda africana una situazione identica a quella della Francia in Algeria e Tunisia.
L'Italia, effettivamente, questo voleva ottenere e ottenne, con l'efficace sua politica estera, con la sua I guerra mondiale e sino ad un certo limite, col fascismo.
Dal suo punto di vista il maresciallo austriaco non sbagliava e, tutto sommato, riebbe giustizia quando morto Aerenthal e venuto al potere il Berchtold venne ripristinato nel comando fino a che nelle peripezie della lunga battaglia non dovette vedere le sue profezie avverate e la guerra da lui tanto sognata, persa.
Il 5
dicembre 1912 la nuova Triplice era firmata con l'aggiornamento della
sistemazione libica, il rinnovamento degli impegni relativi all'Albania e al
Sangiaccato di Novi Bazar nonché l'impegno di provocare l'adesione britannica
agli accordi riguardanti le regioni litoranee del nord Africa, del Mediterraneo
centrale e occidentale, compreso il Marocco.
* * *
Ma
l'Austria Ungheria non credeva più alla sua alleata-nemica e con la firma della
rinnovata alleanza Conrad riebbe il suo comando attivo. La guerra di Tripoli
aveva squagliata lentamente quella solidarietà di cera, ponendo a nudo la
natura vera delle «amicizie» fatte di parole, di pranzi diplomatici e di
brindisi. Edoardo Scarfoglio lo notava controbattendo la campagna antitaliana
scatenata in Germania e in Austria, eco di quella vastamente diffusa in
Inghilterra dove, per la prima volta a proposito dell'azione italiana contro la
Turchia sultaniale, venne adoperata l'espressione «pugnalata nella schiena».
Anche in Francia e a Parigi, malgrado le sovvenzioni giornalistiche di Tittoni
si parlò di marinai italiani come di «banditi in uniforme». I sequestri dei due
piroscafi mercantili «Carthage» e «Manouba» risvegliarono la gallofobia dei
tempi di Crisfri; Barrère non esitò a declamare: «Hanno rovinato quindici
lunghi anni del mio lavoro». Tutti contro l'Italia sino al limite del possibile
appena l'Italia mosse verso la Quarta Sponda: qualcosa di simile alle sanzioni
di Ginevra, sebbene — a parte il gran chiasso, le si lasciasse fare «sulle
uova» la sua conquista. La preparazione diplomatica datava dal 1902 (accordi
Visconti Venosta-Barrère). Il 13 dicembre 1906 con l'Inghilterra e la Francia
s'era firmato a Londra l'accordo per l'Abissinia, allo scopo di lasciare quel
paese allo statu quo, osservando neutralità in caso di conflitti interni e
salvando alcuni principali interessi: r) Le acque del Nilo azzurro emissario
del Lago Tana, per l'Inghilterra e la sua industria cotoniera; 2) i confini
dell'Eritrea, della Somalia e del Benadir e gli hin-telrands di questi
territori a occidente di Addis Abeba, per l'Italia; 3) i territori di
costruzione della ferrovia da Gibuti a Addis Abeba, per la Francia. E tutto ciò
a parte la Triplice e gli accordi commerciali e politici con la Francia. Era
qualche cosa, dopo la politica « delle mani nette » e la sconfitta di Adua.
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