di Emilio Del Bel Belluz
Passarono le settimane e la
primavera era arrivata. Il risveglio della natura era un miracolo che
puntualmente si presentava ogni anno, grazie al buon Dio. Mi era accorto che
sui rami degli alberi stavano spuntando le gemme, e l’erba verdeggiante era punteggiata
da timide pratoline. Il viso era accarezzato da un’aria frizzante che mi
invogliava a fare di più. L’acqua era diventata più limpida e trasparente. Da
una settimana non pioveva e non avevo visto i soliti pezzi di tronco che la
corrente trasportava a valle. Questo era un buon segno, infatti, spesso avevo
rovinato la barca con un tronco spezzato. La corrente in certi punti del
Livenza è particolarmente veloce. Quella mattina mi ero alzato fischiettando e
continuai anche dopo essere salito in barca. Avevo in cuore una grande felicità
che non potevo dire ancora ad alcuno. Elena gli aveva detto sorridendo che
stava aspettando una nuova creatura. Dopo questo annuncio e ricolmo di gioia,
l’abbracciai fortemente. Desiderammo entrambi un altro figlio e il buon Dio ci
aveva ascoltato. La famiglia si allargava, e bisognava aggiungere un nuovo
posto a tavola. Elena dal canto suo aveva sperato tanto nel miracolo della nascita
di una nuova creatura. Quando lo aveva confidato al marito, aveva sentito una
gioia grande come la prima volta in cui era nato un figlio. Aveva un grande
istinto materno che la portava ad amare tutti i bambini e si sentiva realizzata
nell’essere madre. Mentre calavo le reti, mi sentivo euforico come se avessi
sorseggiato del vino. Quel giorno decisi che avrei finito prima il lavoro per
tornare a casa, volevo ancora una volta abbracciare mia moglie. Volli andare
alla bottega per comprare qualcosa da donare alla cara Elena. Non disponevo di
molto denaro, ma nel caso avrei chiesto al padrone di accendere un debito, una
pazzia la si poteva fare, si dice, una volta all’anno. Quando entrai nella
bottega c’erano alcune donne che salutarono allegramente, stavamo misurando una
stoffa dal colore cangiante che era appena arrivata dalla città. Aspettai che
le donne se ne andassero e acquistai della stoffa per un vestito. I soldi mi
bastarono anche per bere un goccetto di prugna, con della grappa. La testa poco
dopo mi girava leggermente perché non avevo mangiato nulla da ore. Alla fine
non mi importava nulla, ero solo a poca strada dalla mia casa. Quel giorno la
tavola era tutta apparecchiata, i bambini stavano già mangiando. Il pacchetto
che avevo sottobraccio fu subito notato da Elena che comprese che qualcosa di
bello doveva contenere. Vittorio non riuscì a non dire nulla come aveva
promesso, e quando i bambini seppero dell’arrivo del nuovo fratellino si misero
a battere le mani. La bambina più piccola disse che ormai la cicogna conosceva
la strada e non aveva nessun motivo di sbagliare. Alla sua battuta tutti si
misero a ridere. Ed aggiunse che la cicogna avrebbe potuto portare due bambini
così la famiglia sarebbe arrivata a nove. Risposi che in quel caso il grande
volatile avrebbe fatto del lavoro straordinario. Il pranzo fu allietato da una
decisione, il materiale per il vestito di Elena sarebbe stato utilizzato per
fare due vestitini per i figli, se avessero fatto i bravi nelle prossime
settimane. La più piccola disse che aveva letto una storia che narrava di una
vecchia cicogna che non potendo più portare dei bambini si era fermata in una
casa che conosceva per rimanere fino al momento in cui il cielo l’avrebbe
presa. Nei giorni che seguirono in casa continuava ad esserci un clima natalizio,
perché il presepe non era stato rimosso dalla stanza; si decise che sarebbe
stato in quel cantuccio fino alla nascita del bambino. Questa notizia venne
accolta da tutti con molto entusiasmo, soprattutto dai bambini che lo volevano
tenere a lungo. La Natività era il simbolo della famiglia con la F maiuscola in
cui regnava l’amore reciproco. La bambina più piccola disse che si sarebbe
dovuto acquistare un nuovo Bambinello che doveva rappresentare il fratellino in
arrivo. La mattina dopo tornai al lavoro e mentre stavo liberando la barca
dalla catena, vidi una persona che si stava avvicinando. Costui zoppicava
vistosamente e si sorreggeva su un bastone di legno. Quando mi raggiunse lo
riconobbi, era stato un mio compagno di scuola. Da anni non ci vedevamo e
iniziai a parlare con lui. Ludovico era sempre stato un creativo, allergico
alle costrizioni. Non s’era sposato e visse a lungo con la madre, finché quella
non morì. Ludovico mi chiese se poteva accompagnarmi a pescare qualche volta.
Acconsentii con piacere perché due braccia in più mi potevano tornare utili.
Ludovico ebbe bisogno d’aiuto per salire in barca. Le dolci acque del Livenza
li accompagnarono, e Ludovico si mise a raccontare che era appena tornato dalla
Guerra di Spagna dove aveva combattuto alcuni mesi. Si era deciso di arruolarsi
perché aveva letto che cercavano dei volontari disposti ad andare in Spagna a
combattere il comunismo. Le cose si stavano mettendo male per i seguaci di
Franco. I rossi avevano messo in atto delle cose terribili, avevano ammazzato
migliaia di persone, tra cui molti religiosi e distrutto le loro chiese. In
quel Paese stava accadendo quello che era successo in Russia con la rivoluzione
d’ottobre che portò alla nascita del comunismo. Ludovico disse che aveva
sentito il dovere d’ andare ad aiutare i nazionalisti. Era giunto in Spagna da
solo, in modo rocambolesco e lì chiese di entrare a far parte dell’esercito
Carlista. Non conoscevo cosa fosse il Carlismo e Ludovico mi spiegò che i
Carlisti erano quasi tutti cattolici che combattevano nel nome di Dio e del Re.
Era stata una foto apparsa su un giornale che lo aveva fatto fare questa
scelta: raffigurava un soldato carlista che avanzava davanti alle truppe,
portando un Crocefisso. Per mesi e mesi si prodigò a sconfiggere i rossi e
venne ferito in modo serio ad una gamba. I suoi camerati lo portarono in un
vecchio convento saccheggiato e distrutto prima dai rossi. Vi erano alcune
parti rimaste in piedi in modo miracoloso e lì fu curato da alcune suore. Per
delle settimane rimase in quel luogo, dove un sacerdote veniva ogni sera a
pregare con i soldati feriti. In quel ricovero benedetto da Dio ritrovò la
forza di rimettersi in piedi. La sua vita sarebbe stata insostenibile se non
gli avessero insegnato ad accettare quello che gli era capitato. Le cure
amorevoli che quelle suore gli avevano prestato lo convinsero che doveva
reagire, che la vita valeva la pena d’essere vissuta, anche se doveva convivere
una grande menomazione. Il suo comandante carlista gli volle conferire un’
onorificenza che orgogliosamente mostrò a Vittorio. Mentre la barca solcava il
fiume, il soldato carlista chiese se poteva avere un po’ di pesce da consumare
nei giorni successivi. Molto volentieri divisi parte del pescato con Ludovico,
dato che la pesca di quel giorno era stata molto fortunata. Inoltre, lo invitai
a restare a cena da me. Elena, una persona molto generosa e sensibile, sarebbe
stata contenta di ospitarlo per mangiare in loro compagnia con la speranza di
farlo sentire meno solo.
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