A duecentotrenta anni dalla morte
Gianluigi Chiaserotti
Il 21 gennaio 1793, duecentotrenta anni fa, il Re di Francia, Luigi XVI di Borbone (nato nel 1754) affrontava con dignitosa fermezza l’esecuzione della sua condanna a morte, a mezzo di ghigliottina, in Place de la Concorde a Parigi.
In questo atroce modo terminava la vita di un Re che cercò di venire incontro alle richieste dei suoi concittadini.
La sua semplicità di vita, l’onestà dei costumi suscitarono le migliori speranze, quando, nel 1774, Luigi XVI ascese al trono.
Gli storici riconoscono nel Re una mancanza di energia che emerse già nei primi atti di governo, con l’imprudente restaurazione dei parlamenti ed il debole appoggio che concesse a Anne-Robert Jacques Turgot (1727-1781) ed a Jacques Necker (1732-1804), permettendo in tal modo che costoro fossero rovesciati dalla coalizione degli interessi danneggiati dalle tentate riforme, e sostituiti da uomini che non riuscirono ad avere la fiducia dei c.d. “ceti privilegiati” come Charles-Alexandre de Calonne (1734-1802) (novembre 1783) e Etienne-Charles de Loménie de Brienne (1727-1794) (maggio 1787).
Ed il prestigio della monarchia fu molto scosso (1787) grazie purtroppo al debole atteggiamento del Re durante il conflitto dei parlamenti.
Una nuova ondata di fiducia parve investire la Monarchia con il richiamo di Necker (agosto 1788) e quindi la convocazione degli Stati Generali (maggio 1789). Ma nel conflitto presto delineatosi fra i privilegiati ed il Terzo Stato, Luigi XVI svolse un’azione quanto mai incerta, opponendosi appunto al Terzo Stato stesso che reclamava il voto individuale, e non più per ordine, come conseguenza logica del raddoppio della sua rappresentanza, deciso dal Re pochi mesi prima.
L’allontanamento di Necker (11 luglio) fu una delle cause della presa della Bastiglia; il rifiuto di sanzionare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e l’abolizione del regime feudale provocò una nuova esplosione di rivolta popolare (5/6 ottobre 1789).
Siamo quindi agli inizi di quel periodo che la Storia denomina Rivoluzione Francese ed i numerosi tentativi del Re di cercar di salvare la Monarchia furono vani.
Il 10 agosto 1792, il Re e tutta la sua famiglia fu imprigionata nella prigione del Tempio ed il 21 settembre veniva dichiarata decaduta la Monarchia.
Si arrivò così al processo di Luigi XVI (se, a mio modesto parere, c’era da processare qualcosa), e fu condotto nell’aula della Convenzione con il semplice nome di “Luigi Capeto”.
Il 13 novembre 1792 si aprì la discussione ed il giorno 11 dicembre ebbe luogo interrogatorio del Re, il quale si difese abilmente.
E sappiamo come il dibattimento terminò (387 voti per la morte contro 334 per la detenzione).
Luigi XVI fu ricondotto nella prigione del Tempio, ove il 25 dicembre 1792 scrisse un capolavoro di sentimenti, di religione, di intenti. Il Suo Testamento, che così inizia: «Nel nome della Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo. Oggi 25 Dicembre 1792. Io Luigi XVI di nome, Re di Francia, chiuso da più di quattro mesi colla mia Famiglia nel Tempio a Parigi da coloro ch'eran miei sudditi, privo di ogni comunicazione qualunque, e dagli undici in qua del corrente fino colla mia stessa Famiglia, implicato di più in un processo, di cui è impossibile prevederne l'uscita a motivo delle passioni degli Uomini, e di cui non si trova né pretesto, né mezzi di alcuna legge esistente, non avendo che Dio per testimonio dè miei pensieri, a cui possa rivolgermi: Io dichiaro qui in sua presenza le mie ultime volontà, e sentimenti.
Lascio la mia Anima a Dio mio Creatore, pregandolo ad accoglierla nella sua misericordia, di non giudicarla secondo i suoi meriti, ma da quelli bensì del nostro Signor Gesù Cristo che si è offerto in sacrifizio a Dio suo Padre per noi altri Uomini, benché ne fossimo indegni, ed io più di tutti.
Muojo nell'unione della nostra Santa Madre la Chiesa Cattolica, Apostolica, e Romana, che ha la sua Podestà per una successione non mai interrotta dopo S. Pietro, a cui Gesù Cristo l'ha confidata. […]»
Termina così: «[…] Finisco con dichiarare innanzi a Dio, e pronto a comparire alla sua presenza, ch'io non mi rimprovero alcun dei delitti che mi si sono opposti.»
Anni fa colloquiavo con un monarchico o sedicente tale (puo’ darsi anche massone), il quale disse che “liberté, égalité, fraternité” è il motto proprio della monarchia.
Al che gli risposi, al grido di detto motto il 21 gennaio 1793 cadde la testa di un Re. E conclusi che se un monarchico la pensa così, non lo è tale, ma è un regicida.
Un’ultima considerazione mi viene alla memoria.
Le rivoluzioni sono sicuramente animate da uomini di varii sentimenti, che, per raggiungere un fine sembrano, soprattutto agli inizi, tutti uniti.
Poi interessi di parte, storicamente e naturalmente, sfociano in contrasti e chi ha la meglio esclude anche i suoi primitivi amici.
E puntualmente le rivoluzioni si “rimangiano i loro stessi figli”.
Ed accadde anche in Francia. La Convenzione condannò a morte il Re, ma tra coloro che decisero ciò, ce ne furono molti che fecero la sua stessa atroce fine.
E ciò sono i corsi ed i ricorsi storici che il buon Giambattista Vico (1668-1744) ci ha mirabilmente tramandato.
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