NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 15 gennaio 2022

La Monarchia dal 1922 a .... domani

Opuscolo del 1946. Ne avevamo promesso la diffusione. Un ripasso veloce, puntuale, agevole.

Lo staff

L’INCARICO A MUSSOLINI

Nella questione istituzionale — Monarchia o Repubblica — che si dibatte in Italia non hanno poca rilevanza, fra gli addebiti che si fanno alla Monarchia, le accuse che si muovono al Re per i suoi comportamenti verso il regime, nonché per la sua acquiescenza alla guerra e il suo dipartirsi da Roma l'8 settembre. Parrebbe pertanto necessario esaminare i fatti e i documenti, di cui si è finora a conoscenza per valutare l'opera del Sovrano; non è che con questa disamina si risolva il dilemma, che evidentemente si deve impostare su altre basi, ma col chiarire questi punti si sarà già fatto un passo per la soluzione.

Le ragioni che indussero il Re a incaricare Mussolini del Governo alla fine dell'ottobre 1922 furono complesse e non solo contingenti.

Pietro Silva nel suo recentissimo « Io difendo la Monarchia » (1) ne fa risalire le primissime origini al decadimento del Parlamento quando nel 1915 « la volontà del Parlamento per la prima guerra mondiale fu forzata da un moto di piazza»: la maggioranza Giolittiana della Camera, favorevole alla neutralità nel 1914, spinta da manifestazioni di partiti favorevoli alla guerra — democrazia massonica, nazionalisti, socialisti riformisti, gioventù universitaria e dal gennaio 1915 «i fasci di azione rivoluzionaria per l’intervento» fondati allora da Mussolini, ed in genere la stampa più autorevole e gli infiammati discorsi di D'Annunzio - aveva finito per accettare unanimemente Salandra. Vinta la guerra queste forze popolari estranee al Parlamento, che si erano imposte nel 1915, ripresero il sopravvento nel 1918, guidate da una parte dai partiti estremi che si erano inanimiti per le vittoriose rivoluzioni russa ed ungherese, e dall'altra dai Fasci che, oltre a vantare l'apporto della loro volontà per l'entrata in guerra, impegnavano una lotta sempre più vigorosa contro gli avversari. Il Paese invece, piegato dall’immane sforzo della guerra combattuta, si manteneva nella grande generalità quasi agnostico.

In armonia a questo ordine di cose le elezioni dell'autunno del 1919 diedero la vittoria ai Partiti cosiddetti di massa; mentre. i popolari portarono i loro deputati a 101; i socialisti ebbero nella Camera 156 deputati che all'entrata del Re a Palazzo Madama per il discorso della Corona intonarono «Bandiera rossa». Cominciarono allora in Paese agitazioni gravi: scioperi industriali, agrari e nei servizi pubblici; nel 1920 occupazione delle fabbriche… e in Parlamento il marasma più completo; sì che fu necessario adottare l'unico espediente che la Costituzione poneva nelle mani del Re: scioglimento della Camera e nuove elezioni nell'aprile 1921. Ma disgraziatamente la legge elettorale politica a scrutinio proporzionale anziché dare rappresentanze forti e capaci di costituire forti governi, favorì lo sminuzzamento in gruppi e gruppetti che collegatisi fra di loro, diedero al Ministero così scarsa maggioranza che Giolitti nel successivo giugno rassegnò le dimissioni.

Fu sostituito da Bonomi; ma l'oscillare dei vari gruppi e la poca adesione da parte anche dei gruppi maggiori, oltre a dare al suo ministero una permanente debolezza, dopo pochi mesi di vita stentata, finì per determinare la sua caduta nel febbraio 1922. Scrive Sforza: «La crisi che ne seguì... fu la più lunga in Italia dal 1848 in poi: il Paese vi sentì una prova che il Parlamento non funzionava più» (2). Furono dal Re, fatti successivi tentativi con De Nicola, con Giolitti, con Orlando, che non ebbero seguito per contrasti fra i vari gruppi dalla Camera, essenzialmente di carattere personale. I Capi dei Partiti restituendo il mandato designavano Facta. Questi formò il suo primo Ministero nel marzo, ma durò poco più di tre mesi, «dando la più clamorosa dimostrazione dell'impotenza della Camera» (3).

Nuovi incarichi da parte del Saviano: De Nicola, poi Giolitti che dovette ritirarsi per il veto di Don Sturzo Capo dei Popolari; poi Bonomi che urtò contro l'opposizione dei socialisti; Meda che ottenne la adesione dei suoi popolari a partecipare al Governo sua non ne vollero assumere la Direzione e poi di nuovo Orlando che tentò un ministero di pacificazione nazionale con approcci ai socialisti e relativa chiamata di Turati al Quirinale; ma la combinazione non riuscì, volendo i Socialisti il Ministero dell'Interno, al che i popolari si opponevano. Successivi incarichi ancora a De Nicola e Tittoni non poterono prendere forma, sì che fu necessario ritornare a Facta e la Camera, che aveva reso impossibile qualunque combinazione vitale, gli accordò nuovamente fiducia il 10 agosto 1922.

Come si è visto in poco più di un anno quattro Ministeri attraverso tentativi di ogni sorta sempre andati a vuoto!

Era la più angosciosa delle crisi parlamentari, mentre i fascisti si facevano sempre più arditi capeggiando nel Paese movimenti di rivolta, occupando case comunali, incendiando sedi di organizzazioni socialiste e comuniste, con spargimento di sangue; sfociando il 25 ottobre al Congresso di Napoli e alla cosiddetta «Marcia su Roma».

Facta comprende che deve agire energicamente: raduna il Consiglio dei Ministri per l'indomani e «in vista delle risoluzioni che sarebbero state prese, telegrafò il 27 al Re per avvertirlo della opportunità di partire per la Capitale» (4).

S. M. arriva alle 19 ed ha, un primo breve colloquio con Facta nella saletta della stazione: secondo colloquio a Villa Savoia alle 21 (5). Disgraziatamente l'autore non dice parola di questi colloqui, come neppure del terzo che ebbe luogo l'indomani mattina quando il Re non credette firmare il decreto per lo stato d'assedio che Facta gli portava in seguito alla decisione del Consiglio dei Ministri tenuto alle 5 del mattino, decreto già affisso dalle 8,30 sui muri di Roma e telegrafato ai Prefetti alle 7 e mezza (6). Così essendo, quale giustificazione può avere l'isolato «mutamento di S. M. che Facta andando a Villa Savoia era ben lontano dal prevedere (7) se di quante avesse significato il Sovrano nei due primi colloqui non è detto nulla?

Quanto ai motivi per i quali il Sovrano non avrebbe firmato il decreto, P. Silva riporta che il Re avrebbe detto a Facta che «lo stato d'assedio opposto ai fascisti sarebbe stata la guerra civile con le sue gravissime conseguenze» , aggiungendo che «non era possibile né augurabile soffocare nel sangue un movimento così forte nel Paese e così sorretto dall'opinione nazionale» (8). E aggiunge ancora altro motivo: «la ragione addotta dal Re collimava con la dichiarazione fatta poco prima al telefono da Federzoni il quale, in comunicazione col «Popolo d’Italia» di Milano alle nove di quel mattino, aveva insistito perché fosse fatto sapere a Mussolini «che perché il Re non prenda delle determinazioni che senza dubbio aggraverebbero la situazione incalcolabilmente, bisognava che potesse agire e subito (incarico a Mussolini) in condizione di visibile libertà, cioè che non esistesse una pressione... insomma  esteriore » (9).

L'opera del Re pertanto non poteva essere più avveduta e più evidente e così fu giudicata allora e di poi universalmente in Italia e all'estero. È appena il caso di aggiungere che fu pura e maligna invenzione quanto fu affermato dai Partiti, avversari alla Monarchia che il Re avesse cambiato avviso, in seguito a interferenze del Duca di Aosta. per il timore di veder sostituita la linea secondogenita: chi più deve aver sofferto di tale insinuazione fu certo il Duca d'Aosta stesso. Il suo testamento spirituale fa ripetuto cenno della sua lealtà: « Innalzo a Dio il mio pensiero riconoscente per avermi concesso nella  vita infinite grazie, ma soprattutto quella di servire la Patria e il mio Re con onore ed umiltà, » e più oltre «...al mio augusto Sovrano che ho servito sempre con lealtà., con ardore e con fede, rivolgo... » (10). Non è in punto di morte che un credente e uomo di onore scrive tali attestazioni se non fossero le più sincere.

Scartata l'idea di fronteggiare e    di sperdere i fascisti, restava di avvisare come provvedere al dimani. Ho già accennato che il Sovrano si era reso conto che il movimento fascista era forte in Paese e sorretto dall'opinione nazionale; e non aveva torto. Scrittori di ogni tendenza l'accertarono allora e di poi: Sforza nella citata sua opera scrive: «Pochi uomini furono accompagnati più di Mussolini da voti di successo così numerosi anche se soltanto rassegnati» (11). E Bonomi: «Corrono a lui reduci di guerra, intellettuali, studenti, professionisti, piccoli borghesi mossi da uno spirito idealista di Patria in apposizione alla prepotenza bruta di folle incolte ed illuse...; finalmente lo ingrossano le folte schiere degli agrari e degli industriali che vedono in lui uno strumento efficace per distruggere la minaccia rossa e ristabilire l'ordine nella produzione e nel lavoro » (12). E ancora ultimamente - 14 ottobre 1945 – nella Gazzetta d'Italia», Labriola ricordava un suo discorso del 2 aprile 1924 in cui non dubitava di affermare che «sarebbe difficile negare che nell'ottobre 1922 il Paese non aveva nessuna voglia di ostacolare la strada al fascismo, come movimento che assumeva di voler ristabilire la pace interna e di combattere socialismo, il Fascismo rispondeva a sentimenti abbastanza diffusi…; il Paese desideroso di pace aiutò il successo del movimento fascista».

Né, possiamo dimenticare che nello stesso esercito, pur nella totalità fedele al Re, si intravvedevano correnti non del tutto contrarie a Mussolini, come scrive Alfredo Misuri (13). «... l'esercito lusingato dalla magnifica rinascita dello spirito guerriero della stirpe, con la massa enorme degli smobilitati in attesa di sistemazione nella vita civile che speravano in una ripresa militare; con la massa minore ma sempre vigile ed attiva degli Ufficiali costretti a vegetare fuori quadri in posizioni ausiliarie, o che so io, che speravano          una ripresa di carriera ed influenzavano i fortunati colleghi rimasti in servizio attivo a non opporsi, anzi a favorire la rinascita di uno spirito avventuroso che avrebbe ridato forza alla Nazione, le avrebbe consentito di conseguire altre vittorie le quali questa volta non sarebbero state mutilate con la sopportazione dì uomini ad arrestare la Marcia su Roma ».

Il Sovrano pertanto, pur essendo a conoscenza chele trattative iniziate da Mussolini con Giolitti dopo il Congresso di Napoli per un Ministero da questi presieduto, ma con otto dicasteri ai fascisti, era stato alla fine silurato dallo stesso Mussolini, il quale aveva cercato solo di guadagnare tempo, non credette poter esimersi da un ultimo analogo tentativo a mezzo di Salandra; ma Mussolini dichiarò « che per arrivare ad una transazione con Salandra non valeva la pena di mobilitare e che il Governo doveva essere nettamente fascista»: telegramma della notte del 29 al giornale « il Mezzogiorno » di Napoli (14)

E poiché ogni tentativo per far andare Mussolini a Roma a conferire col Sovrano e con Salandra urtò nella categorica risposta che non si sarebbe mosso da Milano se  non dopo aver ricevuto l'incarico di comporre il Ministero, il Sovrano, su consiglio dello stesso Salandra, incaricò De Vecchi di mettersi i contatto con Mussolini e dichiarargli che gli affidava l'incarico di comporre il Ministero (15). Del resto fin dal 13 agosto il sen. Albertini non aveva dubitato di affermare in Senato che «era arrivata l'ora di riconoscere che il miglior mezzo di togliere ogni pretesto alla violenza era di chiamare i fascisti a dar prova della loro capacità di dirigere la cosa pubblica e mantenere le loro promesse. E lo stesso aveva il 27 ottobre telegrafato al Gen. Cittadini, Primo Aiutante di campo di S. M. che « era inutile pensare ad una combinazione Salandra essendo ineluttabile l'esperimento Mussolini» (3).

Tutto questo bisogna aver presente per giudicare dell'opera del. Re; da una parte riportarsi alle gravi condizioni di allora e dall'altra ricordare Mussolini dell'ottobre 1922, non quale lo vedremo al 1925 e tanto meno come lo possiamo giudicare ora.

Il procedimento del Sovrano fu allora favorevolmente accolto da tutta la stampa; da tutti si plaudiva al Re per aver evitato il conflitto fra l'esercito, e le squadre fasciste e non fu solo plauso di «allora», ma per molti anni in Italia e all'estero «salì verso il Sovrano per quell'atto tempestivo e coraggioso un coro di elogi » ..

E Mussolini, indubbiamente tempista, come si compiacevano dichiararlo i suoi seguaci, non» solo ordinò subito lo scioglimento delle squadre, ma non mancò di ammonire, — sia pure, si disse, per ispirazione sovrana — gli Ufficiali di astenersi da dimostrazioni e dalle lotte dei partiti, e costituì un ministero da consolidare la fiducia della Nazione, chiamando a farne parte coi tecnici militari Diaz e Thaon di Revel, i rappresentanti di ogni colore politico costituzionale, dai fascisti ai liberali, ai democratici, ai giolittiani, nittiani, popolari — i democristiani di allora, — ciò che col Paese, deve aver rassicurato anche il Re.

 

 

(1)         Pietro Silva - Io difendo la Monarchia, pag. 12 e segg. Ed de Fonseca - Roma 1946.

(2)         Carlo Sforza, l'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi. pag. 136. Ed. Mondadori, 1944.

(3)         lvanoe Bonomi: Edizioni Mondadori. Dal Socialismo al Fascismo.

(4)         Efrem Ferraris: La Marcia su Roma veduta dal Viminale.

(5)         Efrem Ferraris Op. cit

(6)         Efrem Ferraris Op. cit

(7)         Efrem Ferraris Op. cit

(8)         Pietro Silva op.cit pag 62

(9)         E Ferraris op.cit

(10)      Testamento spirituale di S.A.R Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosata

(11)      Carlo Sfrorza op cit pag 148

(12)      Ivanoe Bonomi op cit pag 44

(13)      Alfredo Misuri con la Monarchia o verso la repubblica

(14)      E. Ferraris op cit pag 108,  125, 122

(15)      P. Silva op cit  pag 67

Nessun commento:

Posta un commento