In questo stato di cose si arrivò alla guerra; 1933: Patto a quattro — 1934: Mobilitazione al Brennero per difendere l'indipendenza austriaca — 1935: Conferenza di Stresa — 1935-36: Guerra etiopica - Gentlemen's agreement tra Londra e Roma, seguito nel '38 da un Patto di più ampia portata.
Nello stesso anno guerra, in Spagna che determinò l'inizio dell'antagonismo russo-francese, superato dal successo personale di Mussolini a Monaco nel settembre. Ma d'allora cominciano i guai: alle esuberanze della Camera nel novembre per le naturali aspirazioni del popolo italiano, seguono a marzo le dolorose iniziative tedesche per la guerra. All'occupazione di Praga — marzo 1939 — tien dietro quella di Memel e comincia l'agitazione per Danzica e il corridoio polacco. Mussolini non vuol essere da meno e compie l'aggressione del I' Albania. I due rivali si scrutano e, temendosi nonché ingannandosi a vicenda, firmano il 27 maggio il cosiddetto patto d'acciaio.
Perché il Re non vi si è opposto? Perché a parte, come ebbe a dire Ci ano alla Camera il 16-12-'39 che «la politica dell'Asse già si era profilata durante la guerra etiopica», il Patto avrebbe dovuto evitare le complicazioni belliche, non accelerarle: precise le condizioni, fra cui «che le potenze avevano bisogno di almeno tre anni per i loro armamenti e che in tale periodo non si dovevano sollevare questioni atte a provocare la guerra». Hitler invece voleva la guerra. Ciano va a Salisburgo a mezzo agosto per dimostrare ai tedeschi che la guerra sarebbe disastrosa per tutti» (1). E il 24 riferisce al Re sui quattro punti concordati... Scrive: «Egli approva soprattutto il terzo, quello cioè della neutralità».
In quel tempo Mussolini era effettivamente contrario alla guerra e alla fine del mese tenterà di riavere altro successo a Monaco, senza riuscirvi. Cerca tuttavia il 3 settembre di tranquillizzare il popolo italiano con l'ammonirlo. che l'Italia non prenderà l'iniziativa di operazioni belliche: era la non belligeranza, quella tal non belligeranza che Hitler ci rimprovererà facendone carico al Re.
Disgraziatamente non dura che nove mesi, durante i quali, come dal Memoriale Ciano, «egli (Mussolini) appariva volta a volta deciso e dubbioso di fare la guerra, alle volte certo della vittoria dell'asse e alle volte dubbioso». Ciano dichiara nel suo memoriale di essere sempre stato contrario, ma non ebbe mai il coraggio di ribellarsi al suocero suo Capo; e dovendone pur riferire alla Camera. il 13 dicembre '39, sfugge a dichiarazioni compromettenti con un pistolotto al Duce e «al buon popolo italiano che... ha un cuore solo una fede sola, una volontà sola, quella del Duce e che ha sostato perché lui ha comandato di sostare e avrebbe marciato e marcerà se lui lo vorrà, quando lui vorrà e come lui vorrà!!». E lo ripeterà in piazza del Duomo a Milano il 13 maggio 1940: «quando egli lo avrà deciso, la parola d'ordine verrà a noi tutti dal Duce, da colui che è il nostro unico capo in pace e in guerra!».
Era il primo squillo verso la prevista ineluttabilità della guerra; e difatti appena un mese dopo scoppia anche da noi.
Che sia stato Mussolini a volerla non vi può essere il minimo dubbio: ma quale parte vi ebbe il Re? Purtroppo nessun dato è venuto fuori finora che risponda all'interrogativo in modo preciso: reticenze nei Memoriali, reticenze in chi potrebbe portare qualche lume; accontentiamoci pertanto di cercar dì vedere il più chiaro possibile in base ai documenti che si posseggono.
Di Grandi abbiamo: il suo «Memoriale» e dalla «Gazzetta
d'Italia» di Torino del Gennaio 1946 una intervista col giornalista N. A. Mac
Oysch a Lisbona; concordi talvolta financo nelle espressioni identiche. Sul
punto in questione scrive Grandi nel Memoriale: «...pensavamo (i Capi fascisti)
tuttavia che non vi fosse pericolo fino a quando non si fosse riunito il
Consiglio dei ministri Del resto non
era stato riunito il Gran Consiglio il quale avrebbe dovuto essere avvertito di
ogni questione che avesse potuto compromettere il destino della Nazione: ma il
Dittatore si era collocato al di sopra della legge, tanto che il 10 giugno alle
6 del pomeriggio apparve sullo storico balcone per dire al popolo e a, noi, che
eravamo raccolti tra la folla, che il dado era tratto.
La guerra era stata dichiarata da Mussolini, da Mussolini, da un uomo solo...»: nessun accenno al Re. Nell'intervista «Si attendeva una nuova convocazione del Gran Consiglio; questa non venne mai.
Mussolini, dopo essere stato solo tutto il pomeriggio del
dieci giugno; alle sei di sera dichiarò la guerra. Egli solo dichiarò la guerra
senza il consenso dei Ministri e del Re».
Vediamo ora il Memoriale Ciano, cui abbiamo già fuggevolmente accennato. L'originale consiste in appunti scritti giornalmente in sette di quelle agende a foglietti che distribuiva la Croce Rossa. La prima edizione fu fatta da un giornale americano con la soppressione della parte anteriore al 1938 e di altre giudicate poco importanti senza però alternarne la sostanza, «sì che non sia da dubitare delle sue autenticità»: così Mario Donosti in «Mussolini e l'Europa» prefazione pag. VII. La pubblicazione fatta nella «Nuova, Stampa» è ancora una riduzione dell'edizione americana, essendosi intercalati agli appunti di mano di Ciano dei riassunti della edizione americana, ciò che determinò delle manchevolezze, quanto meno di particolari in certi punti.
Riattaccandoci a quel mese di maggio in cui Ciano a Milano
aveva accennato alla guerra, purtroppo poco troviamo nel Memoriale circa la
nostra entrata in guerra; non appunti diretti sul «Precipitare degli eventi »,
come si intitola lo squarcio in esame, ma solo uno dei riassunti sopra
indicati: «Hitler nella notte dal 9 al 10 maggio faceva comunicare
improvvisamente a Mussolini, che, convinto che Francia ed Inghilterra si
preparavano ad attaccare la Germania attraverso il Belgio e l'Olanda, aveva
deciso di prevenirle. Mussolini dichiarava a Von Mackensen essere questa anche
la sua convinzione. Manifestò quindi a Ciano il parere che fosse venuto per
l'Italia il momento di stringere i tempi...».
Poi sotto la data 11 maggio ricominciano gli appunti diretti di Ciano: «...Mussolini oggi è meno bellicista di ieri e più disposto ad attendere; sembra che da parte dello Stato Maggiore sia avvenuta una opportuna doccia fredda sulla nostra odierna possibilità militare…»
Indi sotto la data del 16 maggio — cioè appena 25. giorni prima della dichiarazione di guerra —. «...anche il colloquio (di Mussolini) avuto col Re lo ha contrariato: S. M. continua a tenere un atteggiamento ostruzionistico per l'intervento». E sotto la data 31 dello stesso maggio: «Sottopongo al Duce lo schema di comunicato per la dichiarazione di guerra: lo approva ma consiglia di parlarne al Re che è molto suscettibile in materia, poiché a termini statutari spetta a lui dichiarare la guerra». Poi sotto la data 1° giugno: «Udienza del Re; approva, la formula che io gli sottopongo: ormai è rassegnato, niente più che rassegnato all'idea della guerra». Dopo questa data del 1° giugno, a parte altra del 6 giugno sul Comando Supremo, di cui più oltre, sul fatale 10 giugno si ritorna ai riassunti editoriali.
E veniamo a quanto Mussolini ci lasciò con la sua «Storia di un anno». Egli scrive: «Durante la guerra il re fu sempre un esitante ed un rimorchiato, meno per quella del 1940 quando non solo non sollevò obiezioni di sorta, ma considerò la guerra contro la Francia e l'Inghilterra come una decisione necessaria». La espressione usata è tutt'altro che precisa in quanto si parla bensì di guerra del 1940 ma solo come indicazione generica della guerra in questione di fronte a quelle di Africa e Spagna, ben lungi dal riferirsi alla data del 10 giugno, mentre se avesse potuto riferirsi a tale data, certo non avrebbe mancato di precisarlo per scagionarsene.
E possiamo anche dire che appare la meno sincera in quanto
nel memoriale Ciano sono continue le affermazioni contrarie: «13 dicembre 1939»
ma (il Re) si conferma neutralista ad oltranza e ad oltranza antitedesco; però
non ama neppure i francesi e ne svaluta l'efficienza militare.
E il 5 marzo successivo alla dichiarazione di Ciano che «l'egemonia, germanica avrebbe compromesso l'Italia per secoli», aggiunge: «il Re era d'accordo». E ancora il 2 maggio «...per questo il Re raccomanda di rimanere nell'attuale posizione di attesa e di preparazione il più a lungo possibile». Con questi dati, come anche solo affacciate che il Re fosse volontariamente consenziente alla dichiarazione di guerra? E allora, come si spiega Che il Re vi abbia assentito — rassegnato? — Malacoda (3) scrive: «...perché le divisioni corazzate germaniche si sarebbero facilmente rovesciate dalle Alpi sulla Penisola... e l'Italia avrebbe sofferto cinque anni di occupazione tedesca... e tutto sarebbe caduto di un colpo sotto la sanguinosa tirannia del fascismo, e sarebbe stata costretta dai due dittatori a, continuare disperatamente la guerra fino al crollo finale». E rincalza P. Silva (4) «Ma come il Re poteva impedire la guerra con il Parlamento Mussoliniano? Bisognava accettare l'ipotesi della guerra civile e dell'Occupazione punitiva tedesca».
E aggiungo ancor io: le vittorie fulminee della Germania in Polonia, Norvegia, Danimarca, Olanda. Belgio e Francia avevano fortemente impressionato l'opinone pubblica, alla quale l'impreparazione militare di allora dell'Inghilterra in un colla dichiarazione dell'America contraria all'intervento, nonché l'assenza della Russia facevano ritenere possibile la fine della guerra in breve tempo. Per questa ragione Mussolini, su cui pesava la paura della punizione tedesca per il «tradimento» dell'Italia che non era entrata in guerra a fianco suo nel settembre 1939 —memoriale Grandi — volle la guerra e queste considerazioni, insieme coll'impressione di cui sopra nella popolazione, non deve aver mancato di far presente al Re.
E forse anche il Re sperò che dichiarare la guerra non fosse ancora iniziarla effettivamente. Per dieci giorni non furono che azioni di aeronautica contro basi nemiche di Malta, Biserta...; di qualche sommergibile nel Mediterraneo e di qualche movimento in Africa; mentre sul fronte alpino si provvedeva solo a schieramenti di truppe.
Ma purtroppo le nostre truppe il 19 passavano il confine. Chi diede l'ordine? Anzitutto vediamo chi poteva darlo: sulla questione del Comando Supremo delle Forze Armate vi fu contrasto. Mussolini nel citato suo libro afferma di non avere minimamente sollecitato la delega del Comando delle Forze Armate operanti sui fronti, rilasciatogli dal Re; ciò che è nel modo più assoluto contradetto dal Memoriale Ciano, nel quale sotto la data 6 giugno è scritto: «trovato il Duce risentito col Re per la questione del Comando Supremo. Sperava che il Re lo avrebbe senz'altro ceduto, invece Sua Maestà -ha scritto una lettera colla quale ribadisce che assume il Comando mentre affida - a Mussolini la condotta politica e militare della guerra. Mussolini trova questa una formula ambiguo colla quale gli vien dato ciò che praticamente ha da diciotto anni; grande disappunto del Duce che si propone di scrivere al Re che è meglio lasciare le cose come stanno!»... Si dovrebbe ritenere che dopo matura riflessione che la lettera non sia stata scritta, o che il Re non ne abbia tenuto conto, almeno a giudicare dal seguito, in quanto nel proclama del Re dell'11 giugno, il Re dichiara precisamente di assumere in qualità di Capo Supremo di tutte le Forze, di terra, di mare, dell'aria..., e affida al Capo del Governo... il comando delle truppe operanti su tutte le fronti.
Aggiunge ancora Mussolini nel citato suo libro: «l'iniziativa di ciò (la delega del comando) appartiene al Maresciallo Badoglio». E qui cerca di far cadere il lettore nell'equivoco. Dai documenti riportati nel libro appare in modo indubbio che l'intervento di Badoglio è stato semplicemente per determinare la subordinazione dei vari comandi e più specialmente la sua posizione come Capo di S.M.G. di fronte al Capo Supremo delle FF. AA. e al Comandante delle truppe operanti sulle fronti (essendo sia la, carica sua sia quella di Mussolini di nuova istituzione), nonché nei rapporti suoi coi Capi di S. M. particolari dell'Esercito, Marina ed Aria.
(1) Ciano:
Memoriale: sotto la data 9 agosto 1939.
(2) Dino Grandi:
Memoriale pubblicato in inglese in «Life» poi in italiano a Napoli nel
settembre 1945.
(3) S. Malacoda
: op. cit. pag. 87.
(4) P. Silva :
op. cit. pag. 144.
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