di Emilio Del Bel Belluz
Il 28 gennaio 2022 sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di uno dei più grandi scrittori del Novecento: Dino Buzzati Traverso. Quando penso a lui, nato nel 1906 a S.Pellegrino, presso Belluno, mi viene in mente un suo coetaneo che di sicuro aveva conosciuto: Primo Carnera, che nacque anche lui vicino alle montagne, nella terra friulana. Primo, che fu un grande campione di boxe, morì qualche anno prima di lui nel 1967, ed aveva appena compiuto sessanta anni. Entrambi assistettero allo scoppio della Grande Guerra che coinvolse anche l’Italia. Avevano nove anni, l’età dell’infanzia in cui i ricordi non si dimenticano ed hanno un’importanza fondamentale. La vita di Buzzati fu molto diversa da quella di Carnera, ma ambedue amavano la quiete della montagna e ne ammiravano i suoi colori. Successivamente si trasferì a Milano con la famiglia. Il padre era professore di Diritto internazionale all’Università di Pavia, dove in seguito divenne insegnante il figlio: Adriano Buzzati. La strada che scelse Dino fu quella del mondo letterario, anche se il primo amore fu quello per il violino che il padre gli aveva regalato per il suo nono compleanno. La passione per la musica lasciò il posto all’amore per la letteratura, per il giornalismo e per la pittura. La sua prima opera letteraria uscì nel 1933, con il titolo: “ Barnabo delle montagne”. Anche Primo Carnera visse uno splendido 1933, conquistando il titolo mondiale dei pesi massimi, il primo che l’Italia vinse. Dino Buzzati non dovette attendere molto per essere conosciuto. Lavorò al Corriere della Sera nella cui redazione vi entrò nel 1928: un posto davvero prestigioso per un giovane di appena 22 anni, se consideriamo che nella stessa redazione lavoravano i più grandi intellettuali di quel periodo. Nella antologia per le scuole medie redatta da Vigorelli- Romani nel 1942 troviamo alcune sue pagine che scrisse come inviato negli incrociatori “Fiume” e “Trieste” per il Corriere della Sera. Nella stesso libro è riportato uno scritto su di lui. “ Dino Buzzati è un nostro giovane narratore. Il suo terzo romanzo “Il Deserto Dei Tartari” Rizzoli Milano 1940, è stato riconosciuto per uno dei migliori di questi ultimi anni. Qui leggerai, invece un suo servizio di guerra – una” umile cronaca” (come a lui è piaciuto definirla) d’una sortita navale. Pochi articoli di guerra sono stati scritti con la sincerità e l’onestà di questo. Ogni tanto infatti il Buzzati sospende la narrazione come a chiedersi con scrupolo se tutto quel che ha detto è vero; poi riprende, e va a scoprire schiettamente i giusti timori e i generosi ardimenti del soldato. Ancora una volta il soldato è salutato nella sua qualità più alta: la civile umanità italiana”. Nel libro che molti ragazzi di allora avevano in dotazione appariva una cronaca molto dettagliata sulla guerra, scritta in modo schietto come era il suo stile. A distanza di cinquant’ anni Dino Buzzati non è uno scrittore studiato a scuola o letto dai giovani perché non sono inclini alla riflessione e alla solitudine che possono dare le sue pagine. Quelli della mia generazione lo lessero e lo amarono, considerandolo una persona che aveva saputo ricostruire un mondo che sarebbe andato perduto per sempre. L’incanto dello scrittore può essere rispecchiato anche da poche righe che ho trovato in un suo racconto, tratto dal libro Sessanta racconti una favola che fa riflettere specialmente in questi tempi difficili. “ I Santi hanno ciascuno una casetta lungo la riva con un balcone che guarda l’oceano e quell’oceano è Dio. D’estate, quando fa caldo, per refrigerio essi si tuffano nelle fresche acque e quelle acque sono Dio”. Fu uno scrittore cattolico che cercava sempre Dio, quel legame forte che fa bene allo spirito e alla vita. Ecco che allora tornano i segni dell’uomo del tempo, contraddistinti dall’amore per Dio, per la Patria e per la famiglia. Questi valori che adesso mancano in questa Italia che si è impoverita. Qualche volta ci si chiede come mai non si ascoltino gli anziani, quelli che avendo vissuto già gran parte della loro vita sono ricchi d’esperienza. La stessa cosa la si poterebbe dire per gli scrittori, non ci sono molti scrittori che hanno la stessa tempra che aveva avuto negli anni, Dino Buzzati. Seppe scrivere della bellezza della natura, del suo legame con la montagna e il deserto che hanno in comune le stesse caratteristiche, cioè il silenzio, la solitudine ed il mistero. Nel libro Incontri in libreria di Francesco Grisi si racconta del libro di Buzzati: Il deserto dei Tartari. “L’uomo è solo, ma non è in solitudine, perché vive, palpita e muore nel suo destino, e la solitudine di Kafka è vinta da questo senso arcano dell’attesa. Il tempo accarezzando, e ingigantendo l’attesa accompagna il cammino: fluisce silenzioso e solenne nelle profondità segrete dell’universo e nelle nostalgiche rive che avvolgono, nella luce dolcissima dell’alba, l’umanità. Ne “Il Deserto dei Tartari”, ad esempio, il tempo pur schematizzandosi in anni e stagioni, è un respiro eterno e l’eroe, il tenente Drogo, più che subirlo lo filtra nelle sue speranze e lo gusta nelle sue illusioni. Ugualmente il simbolo con i suoi derivati si illumina di valore emblematico nell’attesa. L’uomo, in Buzzati, è il simbolo perché non recita una sequela unicamente legata al suo individuale destino, ma é impegnato in passioni…” Il tenente Drogo non poté assistere all’assalto della fortezza che tanto aveva sognato, perché essendo stata declassata a caserma di confine, ne fu allontanato. Anziché morire combattendo, finì gli ultimi giorni della sua vita consumato dalla malattia e dagli anni. Il tema della morte si pone come determinante alla fine del romanzo, come riscatto ad una vita vuota e vanagloriosa. Quello che mette in evidenza Dino Buzzati nell’opera Il deserto dei Tartari è lo stesso che sostenne un soldato alla fine della Grande Guerra : la cosa più importante che riportai dalla mia esperienza militare era il forte legame cameratesco che c’era tra di noi, lo spirito di corpo che ci univa. Il libro Il Deserto dei Tartari, in origine sarebbe dovuto intitolarsi “La Fortezza”, ma Leo Longanesi lo sconsigliò di mettervi questo titolo. Visto che era scoppiata la seconda guerra mondiale, eravamo nel 1940, e l’Italia presto sarebbe entrata nel conflitto, quel titolo poteva indicare che il libro avesse come tema la guerra. Nella rivista “ Fantastico quotidiano” n. 13 del 2018 , Enrico Rulli scrisse: “Lo scrittore risultava essere stato iscritto al Partito Fascista, come molti intellettuali della sua generazione, ma a differenza di altri non aveva mai fatto pubblica abiura di quella sua appartenenza. Inoltre, era indubbio il fascino che provava per il mito, declinato in diverse forme: la guerra (specialmente quella navale), la montagna, il soprannaturale, le grandi personalità del suo tempo”. Poche ore prima che lo scrittore entrasse in coma, ricevette la visita, richiesta d’urgenza, del cardinale Giovanni Colombo che s’intrattenne nella stanza d’ospedale per cinque minuti. La moglie quando rientrò, lo ritrovò sereno. Non si può parlare di conversione all’ultimo momento, perché Buzzati era stato cristiano durante tutta la sua esistenza, se si considera fede la sua incessante ricerca di senso nelle sue opere e nella sua vita, e l’ ansia per la ricerca dell’assoluto. La moglie asseriva che Buzzati credeva in Dio e di questo era certo anche Paolo VI, con cui aveva instaurato una grande amicizia e lo aveva convinto a sposarla. Prima della morte, che avvenne il 28 gennaio 1972, a Milano chiese di baciare un crocefisso.
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