di Emilio Del Bel Belluz
Nel
1947 Carnera si trovava da un anno in America, la sua vita era sempre più
frenetica, passava da un incontro di lotta libera all’altro. Il grande amico
Aldo Spoldi lo accompagnava come un’ ombra. La gente lo amava, si identificava
in lui, e i suoi tifosi più fedeli erano
gli italo-americani che lo seguivano in ogni occasione. Quando Carnera riusciva
a scappare dalle grinfie di Spoldi, che
non lo mollava mai, gli capitava di
essere ospitato da qualche italiano. Nelle case di costoro ritrovava il sorriso,
e gli pareva d’essere in famiglia. Riusciva a dimenticare la solitudine che lo
assaliva nelle camere d’albergo. Vi trovava esposta la bandiera del Re con lo stemma Sabaudo.
Erano
dispiaciuti che il Re avesse dovuto lasciare il Paese, condividevano il dolore
di essere emigrati in un Paese straniero. Carnera spesso aveva parlato della
sua amicizia che aveva con il sovrano, del loro incontro e della gentilezza che
aveva dimostrato nei suoi confronti.
Primo si sentiva anche lui in esilio, e gli mancava la famiglia. Carnera
scriveva a casa spesso e in ogni posto dove andava a combattere inviava una
cartolina ai familiari: un segno per far capire che li pensava. Aldo Spoldi gli
era sempre vicino, provvedeva a ogni bisogno,
e sapeva ormai tutto del suo amico. Ogni tanto si vedeva con Philip la Barba, che non mancava mai di fargli
visita quando era in quelle zone. L’America lo aveva salvato dalla disperazione
e dalla paura del domani. Carnera accumulava denaro più che poteva. In
quel periodo gli giunse la terribile
notizia della morte della mamma, comunicatagli da Aldo. Quella sera Carnera
doveva combattere in una riunione importante, non poteva mancare, ma disse
subito al suo amico Spoldi che sarebbe ritornato in Italia per assistere ai
funerali della madre. Carnera quella
notte pianse, come non aveva mai fatto in vita sua.
La
madre era stata la persona che gli aveva dato tutto l’amore che una donna possa
dare ad un figlio, e si sacrificò moltissimo per tutta la famiglia. Arrivò a
Sequals giusto in tempo per assistere al
funerale. Si unì al dolore dei suoi cari per la scomparsa della
madre. Il giorno del funerale sembrava
strano vedere un grande uomo, un colosso, con le lacrime agli occhi. Carnera
aveva il cuore affranto, lo consolava l’affetto di coloro che lo conoscevano. Al funerale la gente gli
si strinse attorno per manifestargli la loro vicinanza. Carnera passò solo
pochi giorni in famiglia perché doveva ritornare subito in America. Quei giorni
che trascorse con i suoi furono un balsamo per le sue ferite. Pina era ancora
più bella, e i bambini si stringevano al collo del loro papà per
consolarlo. La sera prima di partire,
parlò con Pina del desiderio che potessero vivere tutti assieme in America e
che avrebbe compiuto tanti sacrifici perché ciò si avverasse.
La
famiglia era la cosa più bella che un
uomo potesse avere. Carnera ritornato in America riprese la via del ring,
combatteva ogni giorno, ogni incontro lo avvicinava alla meta che si era
prefisso: stare assieme ai suoi familiari. Una sera particolarmente triste, fu
invitato a casa d’amici e dopo cena si mise a suonare la fisarmonica, uno
strumento che amava molto e le cui melodie accompagnate dalla sua voce tenorile
e da quella dei presenti riuscivano a rincuorarlo. Alla fine suonò la Marcia reale
per ricordare la sua cara patria. Aldo
Spoldi, nel suo libro - Io e Primo- La vita de il gigante buono- racconta: “ Un altro curioso avvenimento si
verifica nel 1947. Ci trovavamo nel New Jersey e precisamente nella città di
Newark, dove Primo doveva incontrare in serata un ex pugile chiamato “barile di
birra”e precisamente Tony Galento. Stiamo entrando nello stadio. Il solito
gruppo di appassionati attende Carnera per l’autografo. Mentre Primo ne sta
firmando una certa quantità, un signore distinto porge la mano a Primo e gli
rivolge un cordialissimo saluto: “ Rammenti, Primo molti anni fa, qui in
Newark, quando eri campione del mondo?”. - Mah!- Risponde Primo. Poi, per
rimediare, soggiunge : - Altroché, si che mi ricordo … Ti vedo bene, Primo.
Tanti auguri! Come era da aspettarsi, Primo mi chiede: “ Mi potresti dire chi
era quel signore?”. -Io lo conosco - Rispondo- Ma tu lo ricordi? – No! Replica
franco, il sincero Primo. -Quello é il sentore Hartley, rappresentate al Senato
dello Stato del New Jersey. - Davvero ? - Dice Primo. Senza frapporre indugio, prontamente ad alta voce
egli richiama il senatore e, avvicinandosi a lui gli porge le sue scuse per non
averlo ben riconosciuto. Ora , si, gli può anche rammentare che, quando Primo
era campione del mondo, Hartley era presidente della Commissione di Boxe di
quello Stato. - Dovrebbe farmi un grande favore, senatore - continua Carnera,
Lei dovrebbe cortesemente interessarsi per farmi entrare definitivamente negli Stati Uniti, con la possibilità che diventino
cittadini americani anche mia moglie e i
due miei figlioli. – Con ogni gentilezza, il senatore invita Primo ad andarlo a
trovare quando sarà di passaggio nella Capitale, cioè Washington; in attesa di
quella visita si informerà a mezzo del suo segretario per conoscere la
procedura da seguire per venire incontro al desiderio di Carnera. Passano due o
tre settimane, e siamo nel territorio di Washington. Abbiamo si e no avuto il
tempo di depositare le nostre valige
all’Hotel Book-Caddilac, che Primo di corsa m’afferra per il braccio ed
esclama: “ Andiamo alla Casa Bianca a trovare il senatore Hartley e sentire se
ha potuto fare qualcosa per la mia famiglia”.
Andiamo alla White House. Lì c’è il Senato di una nazione democratica,
per cui non è difficile entrare e chiedere del senatore che rappresenta lo Sato
del New Jersey. E’ altrettanto facile trovare il suo ufficio… Cerchiamo
l’insegna del New Jersey, ed entriamo. Uno dei segretari di Mr. Hartley ci prega di attendere perché il
sentore si trova in conferenza col presidente Truman nella piccola Sala del
Consiglio. Passano i minuti. Dopo quasi un’ ora, Primo si spazientisce, anche
perché doveva cenare più presto del solito: alle ore 21 era impegnato a lottare
con Tony Galento, il “ barile pieno di
birra”.
Trascorrono
altri venti minuti e Primo chiede al segretario di chiamare il sentore, oppure
di fargli sapere che è lì ad attenderlo. Il segretario risponde che non può
fare niente. Allora, perduto completamente il controllo, non senza gentilezza,
ma con energia, Primo prende per il braccio il segretario e, conducendolo fuori
dall’ufficio, gli impone di avvicinare il senatore e di informarlo della sua
presenza. Ci troviamo così davanti alla porta della sala dove è in corso il
piccolo Consiglio. L’usciere si fa avanti, mentre il segretario spiega il
desiderio di Primo. Era logico che tutto dovesse essere inutile, giacché il
piccolo Consiglio era radunato con il Presidente e non era possibile
disturbare. Primo, però, sempre gentilmente, ma più che mai deciso, apre la
porta che immette nella sala del Consiglio e vi spinge dentro il segretario.
Carnera resta dietro l’uscio, in attesa del risultato. Quel che è avvenuto
nella sala, si può immaginare.
Il fatto é che pochi minuti dopo, la porta si
riapre ed appare il senatore Hartley. Questi ci accoglie, Primo ed io, con
sincero entusiasmo. In pari tempo, dietro di lui esce il presidente Truman
seguito da altri senatori. A questo punto, Carnera viene presentato al
presidente Truman. Avviene quel che sempre avviene: e cioè che Truman si dice
impressionato dalle mani enormi di Primo. Il nostro gigante, come abitualmente
gli accade quando la persona gli è gradita, chiude la mano del presidente tra
le sue mani, con un gesto largo e rumoroso, ma innocuo, anzi affettuoso. Per il
presidente Truman, è stato come se avesse appreso d’essere rieletto per un
altro quadriennio. Gioiva al solo guardare Primo dal basso in alto, e gioì
quando Primo, sempre con gesti vistosi ma gentilissimi, finse di dare un
manrovescio allo stomaco del Presidente, sfiorando però delicatamente il
bottone della giacca. Non credo che mai Harry Truman sia stato tanto contento,
quando gli è stato presentato un atleta, come lo è stato con Primo Carnera.
Anche per gli altri senatori lì presenti deve essersi trattato di un
momento piacevole e memorabile, perché
Primo fu veramente spassoso ed allegro nella breve conversazione con ciascuno
dei presenti. Fra l’atro dirò che il sentore Hartley riuscì poi ad ottenere che
l’intera famiglia di Primo entrasse
negli Stati Uniti. Lui, la moglie e i figli, divennero cittadini
americani. Nella vita di Primo si verificarono molti altri fatti curiosi ed
umoristici, come quelli ora narrati”. Carnera dovette attendere oltre un anno
per poter ricongiungersi con la famiglia. Quando Primo si ritirava nella triste
stanza d’albergo, il momento più bello era quando scriveva delle lunghe lettere
piene d’amore alla cara Pina e delle cartoline ai suoi figli in cui esprimeva
il grande affetto per loro. Sperava che venissero mostrate ai loro compagni di
classe per portarli a conoscenza delle tante città che il loro padre visitava.
Anche Carnera
riceveva delle lettere da Pina a cui accludeva dei disegni dei figli e
veniva sempre aggiornato sui loro progressi scolastici. Carnera considerava lo studio essenziale per il futuro dei figli,
e lui ne era ben a conoscenza, non avendo potuto studiare. Questo veniva
confermato ogni volta che sentiva parlare una persona istruita, perché usava un
linguaggio forbito. Un esempio era il suo avvocato che sapeva conversare in
modo appropriato di ogni argomento. Costui
lo aveva difeso in modo impeccabile ed era diventato un suo amico. Primo
desiderava che i suoi figli diventassero avvocati o medici: professioni che
erano degne di rispetto e stima. Carnera aveva girato il mondo per lungo e per
largo, aveva acquisito tante esperienze, ma l’istruzione gli mancava. Cercava
di ovviare a questa mancanza, leggendo i quotidiani e dei libri. In quel
periodo voleva molto bene al suo angelo custode: Aldo Spoldi, degno di massima
stima, che lo accompagnava in ogni posto, e lo tranquillizzava. Con lui parlava
dell’Italia, una terra che mancava a tutti e due. Aldo sentiva la sua stessa
nostalgia, anche se da anni si trovava in America dove aveva combattuto a
lungo. Una vita che gli aveva dato delle grosse soddisfazioni, ma che non
poteva colmare la nostalgia per il suo Paese natio. Nei tanti posti in cui
andavano a combattere, Aldo e Primo cercavano sempre di alloggiare dove c’erano
degli italiani.
Quando
si è all’estero la lontananza è davvero un peso, ma stare con qualcuno che
parla la tua stessa lingua è davvero molto importante. La gente italiana che lo
vedeva combattere era fiera di lui e lo voleva conoscere, ma in quel caso era
Aldo Spoldi che cercava di evitare a Carnera che andasse nelle famiglie di
italiani, perché era facile abbuffarsi con ripercussioni negative sul fisico.
Carnera aveva superato i quarant’ anni, che per un atleta incominciavano ad
essere tanti, ma il suo fisico possente lo aiutava a gareggiare ancora. Carnera
aspettava il momento in cui sarebbero arrivati in America i suoi figli e
la moglie, la cui mancanza era davvero insostenibile. Il suo amico Spoldi gli
comunicò la bella notizia che avrebbe svolto dei combattimenti in Italia, e in Spagna che lo fece letteralmente fatto impazzire di gioia perché
finalmente dopo tanto tempo avrebbe
rivisto la sua famiglia e c’era la possibilità di trascorrere un breve periodo
di vacanza a Sequals. Quella stessa sera scrisse alla moglie che sarebbe arrivato in Italia tra qualche
settimana. I suoi impegni si sarebbero
svolti tra Milano, Torino e Udine. Giunto in Italia aveva ritrovato tanti
amici, e nei suoi combattimenti aveva dato spettacolo contro dei forti
avversari che avevano fatto del loro meglio, ma Carnera trionfò su tutti. L’incontro con Pina avvenne a Milano, che rappresentava l’ultima tappa in
Lombardia. Pina era arrivata in treno con suo cognato. Carnera la vide in albergo
e fu un momento che non dimenticherà mai.
L’abbraccio
tra i due commosse tutti, tra cui anche Aldo Spoldi. Anni prima questo abbraccio, sempre a Milano,
Carnera lo aveva dato alla mamma. Carnera era felice, gli tremavano le gambe
davanti alla moglie, e non smetteva più d’essere affettuoso. La felicità ha
breve durata, pertanto va assaporata fino in fondo. Il giorno dopo, avrebbero
fatto rientro in Friuli, dove a Udine si
sarebbe esibito in alcuni incontri e poi sarebbe stato libero da ogni impegno
agonistico per una settimana. Appena
arrivato nella città di Udine volle andare
subito al Collegio femminile Ucellis, dove si trovava sua figlia Maria
Giovanna, e fu per lui molto toccante vedere la bambina che gli buttava le
braccia al collo e piangeva dalla gioia. Carnera sapeva che la commozione lo
avrebbe colto, e per questo cercò di nascondere le lacrime. Era da quando era partito che aveva sognato
di vivere questo momento. I figli gli
mancavano da morire. Carnera aveva dei doni per la piccola, ma non aveva
dimenticato di portare un sacco di caramelle che le suore distribuirono a
tutte. Quel giorno in collegio ci fu una grande festa, e Maria Giovanna si
sentiva orgogliosa e felice di poter stare in compagnia del padre che la teneva
sempre in braccio.
Tra
quelle forti braccia la bambina si
sentiva protetta, e fiera del padre che tutte le bambine acclamavano a gran
voce. Quella stessa sera doveva
combattere e aveva bisogno di riposare, e il suo angelo custode Aldo Spoldi
cercò di fargli capire che era ora d’andare. Alla sua bambina promise che la
mamma l’avrebbe andata a prendere nei prossimi giorni per trascorrere una
settimana assieme. La sala dove si
sarebbe svolto il combattimento era
molto grande, il pubblico numerosissimo,
che questa volta avrebbe visto Carnera combattere contro un lottatore
ungherese, un marcantonio che era più alto di lui. Quando Primo incrociò lo
sguardo severo del suo avversario,
comprese che non si sarebbe trattato di una passeggiata, ma le cose
andarono meglio del previsto. Carnera voleva fare bella figura davanti al suo
pubblico e ci riuscì. La gente, mentre raggiungeva lo spogliatoio, lo coprì con
mille applausi, e il nome di Carnera veniva urlato da molti. La gente del suo Friuli non lo aveva mai
dimenticato, era sempre il suo campione. I giorni trascorsi a Sequals furono
pieni di gioia, poteva finalmente stare in famiglia e condividere del tempo con
i suoi cari amici. In quel periodo si era recato al cimitero per trovare i suoi genitori, e i vecchi amici che
lo avevano preceduto, come non poteva mancare una preghiera sulla tomba della
sua cara maestra. Carnera sentiva un grande affetto verso coloro che gli erano
stati accanto nei momenti difficili e non avevano mai smesso di credere in lui.
I giorni passarono velocemente. Pina era sempre più bella e Carnera si
accorgeva che lo amava sempre di più.
Gli
sarebbe piaciuto rimanere con la famiglia in Italia, ma la lotta libera era più
diffusa e remunerativa in America. Nei mesi che seguirono combatté in tanti
stati americani, sempre in presenza e in compagnia del suo allenatore e caro
amico Aldo Spoldi. La sera prima di
addormentarsi osservava le foto della sua famiglia, e pregava. Finalmente
arrivò la notizia che la sua famiglia avrebbe potuto raggiungerlo. Avevano
ottenuto i documenti necessari. Con somma gioia comunicò la notizia alla
moglie e le disse di partire al più
presto. Nel frattempo fece costruire una
villetta per la famiglia, a Los Angeles, non lontano da Hollywood. Carnera non
badò a spese, la casa era bella e accogliente,
e sua moglie avrebbe avuto una vita meno difficile. Il suo sogno s’era
realizzato: la famiglia riunita, anche se sapeva che molto spesso si sarebbe
dovuto assentare per i suoi combattimenti.
I figli, ormai, dovevano frequentare la scuola americana, e con molta
premura trovò un professore che insegnasse loro l’inglese.
Come
si sa, i bambini hanno una capacità diversa dagli adulti nell’apprendere una
lingua straniera, e dopo qualche tempo la parlavano correttamente. La vita del campione era condotta in modo
frenetico, si doveva spostare da uno stato all’altro, i combattimenti erano
molto ravvicinati; ma tutto ciò gli permetteva di accantonare delle grandi
somme per il mantenimento della famiglia. Trovava, comunque, del tempo da
dedicare ai figli, era un padre esemplare. Li leggeva delle fiabe, giocava con
loro, li trasmetteva i valori importanti della vita, come non mancava mai di
parlare del paese natio, della propria patria affinché anche loro se ne
innamorassero. Voleva insegnarli anche le tradizioni culinarie, tra cui la
preparazione della polenta su una stufa a legna che in casa Carnera non doveva
mai mancare. La gente di Sequals spesso gli mandava delle cartoline dal paese,
a cui rispondeva sempre, non voleva che le amicizie si rompessero. Aldo Spoldi
spesso era ospite nella sua casa, e si sentiva
uno di famiglia. Anche lui aveva nostalgia dell’Italia e avrebbe voluto
tornare a vivere la vecchiaia nel suo paese natio.
Le sue parole arrivavano dritte al cuore
di Primo. Con il passare del tempo i figli si erano inseriti bene nel nuovo
mondo, studiavano con profitto e con
ottimi risultati. A Sequals avevano
ancora la loro casa, e ogni tanto vi tornavano. Primo sognava anche di notte di
poter far rientro in Italia. Carnera aveva cominciato a fare dei combattimenti
in Europa, dove era famoso per la sfide pugilistiche con Paulino Uzcudum. In Spagna si rivide con Uzcudum, erano
invecchiati tutti e due, ma l’amicizia che li legava era rimasta quella di un
tempo. La vita di Uzcudum dopo aver lasciato la boxe, era più tranquilla. Parlarono
dei vecchi tempi, e di quanta storia erano riusciti a scrivere nelle pagine
della boxe. Primo gli confidò che la vita che faceva non era facile e che
incominciava a sentire il peso degli anni e degli acciacchi fisici. Ogni
incontro era sempre più duro, e si affidava alla Madonna perché l’aiutasse. La
vita del lottatore ricordava quella del
circo, in cui non ci si poteva fermare mai e c’era il dispiacere di dover
perdere delle amicizie che si erano create negli anni. Carnera confidò a Paulino che spesso pensava
al momento in cui si sarebbe ritirato dall’agonismo ed era preoccupato che il
patrimonio accumulato non bastasse per vivere e per far studiare i suoi figli
che amava tanto. Carnera continuava a parlare con Paulino che lo ascoltava come
fa un caro amico. La Spagna era lontana dal tempo della guerra
civile, ma la lotta per andare avanti non era meno dura e dolorosa. Carnera
salutò il suo amico con un abbraccio e sperava di rivederlo ancora, ma
comprendeva bene che quella poteva essere l’ultima volta.
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