NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 9 gennaio 2022

Capitolo XLII: Carnera catturato dai partigiani.

di Emilio Del Bel Belluz


Una sera i partigiani bussarono alla porta della casa di Primo in modo violento. Costui, che non aveva mai avuto paura nella vita, si era subito recato alla porta per aprire. La moglie allarmata scese dalle scale velocemente. All’uscio si presentarono sei uomini che Primo riconobbe essere dei partigiani del posto che gli intimarono di seguirli in bicicletta. 
Pina non s’era resa conto di quello che stava accadendo. Carnera cercò di rassicurare la moglie, supplicandola di stare con i bambini che presto sarebbe ritornato a casa e di non dire niente alla madre che soffriva di cuore. Primo temette per la sua vita perché era a conoscenza che molto spesso chi veniva preso dai partigiani andava incontro alla fucilazione. 
Carnera ricordò in quel momento la fine che fece un grande pugile come  Michele Bonaglia, e  le parole che disse il vecchio che gli aveva donato l’album di disegni. Michelone era stato freddato, senza un perché, e senza un processo regolare il 3 marzo 1944. Carnera,  mentre pedalava  su una strada sconnessa, rivide nella sua mente tutta la sua vita e si chiedeva di cosa poteva essere accusato, lui che nella sua esistenza aveva sempre amato la sua patria. La strada si faceva sempre più difficile, e lo costrinsero ad abbandonare la bicicletta in un fosso. I partigiani gli puntarono il mitra alle spalle, finché giunsero in un bosco, dove altri uomini aspettavano, e avevano acceso un piccolo fuoco. Nel frattempo gli avevano legato le mani per impedire una sua reazione, data la forza che si poteva sprigionare dai suoi pugni. Uno dei partigiani gli mise davanti una foto, dove lo si vedeva con Mussolini e i suoi figli, e gli dissero che era fascista e che sarebbe stato ucciso. 
Gli accusatori continuarono dicendo che aveva frequentato i fascisti e i tedeschi, ospitandoli nella sua casa e, pertanto, era una spia; come pure era stato a Venezia con il pugile nazista Max Schmeling, durante il periodo della Repubblica Sociale. Carnera non disse nulla, mentre i partigiani gli facevano vedere delle altre foto dove veniva raffigurato sul ring con la camicia nera e che faceva  il saluto romano. Un partigiano lo insultò duramente e venne deciso che Carnera sarebbe stato fucilato. Allora un partigiano, che non aveva mai parlato prima, disse che Carnera non aveva fatto del male ad alcuno, tra l’altro si era distinto salvando la vita a un giovane del paese il cui destino era già segnato: la prigionia in un campo di concentramento in Germania. Inoltre, aveva distribuito del cibo ai suoi paesani che stavano patendo la fame. 
Queste parole furono  come una benedizione dal cielo, e fu liberato. Carnera venne condotto a prendere la sua bicicletta con l’uomo che lo aveva salvato dalla morte. Gli venne in mente la fine di Bonaglia, anche la sua vita si sarebbe potuta concludere tragicamente, ma grazie al buon Dio le cose erano andate in modo diverso. 
Mentre camminava per riprendere la sua bicicletta, volle stringere la mano del suo salvatore, che tra l’altro era sempre stato un suo ammiratore ed aveva gioito dopo la conquista del titolo mondiale. Carnera prese la sua bicicletta e non si sentì sicuro finché non giunse a casa. Non era ancora spuntata l’alba e per lui iniziava una nuova vita. Quando arrivò alla Villa gridò il nome della moglie e dei figli. La donna che stava piangendo ed era disperata, emise un grido di gioia. Nella casa era giunto il parroco, che  avvertito da un passante d’aver visto Carnera assieme ai partigiani, voleva saperne di più. Il vecchio curato  abbracciò il suo figliolo spirituale che tanto amava. Carnera era ancora sconvolto per quello che era successo. Avrebbe raccontato questa storia come se fosse il copione di un film imparato a memoria e che andava subito dopo dimenticato. Primo ringraziò tutti per l’affetto ricevuto, e si ritirò nella sua stanza.  L’indomani la mamma di Primo si recò alla prima messa ed accese con le lacrime agli occhi alcune candele alla Madonna per ringraziarla dell’aiuto ricevuto e perché continuasse a proteggere il figlio e la sua famiglia dalla malvagità  dell’uomo. 
Le settimane che seguirono furono allietate dalla fine della guerra, e dall’arrivo a Sequals del suo amico e salvatore Philip La Barba. Il pugile vestiva la divisa americana e conduceva un camion militare pieno di viveri.  Con tutto quel ben di Dio avrebbe potuto sfamare un esercito di persone, sicuramente  tutto il paese di Sequals e quelli delle zone vicine. L’incontro tra i due amici fu commovente e toccante. 
L’amico di Carnera non lo aveva dimenticato, e ricordò i momenti lieti trascorsi a Sequals, assieme ad altri pugili d’origine italiana.  Carnera lo vide come il sole dopo una giornata di pioggia, come un salvatore .Gli mostrò la palestra che aveva vicino  alla Villa, e quando  La Barba si riconobbe in una delle foto che erano appese alla parete, propose subito a Carnera di fare delle esibizioni con l’esercito americano, nei posti dove si trovava una maggiore presenza di truppe. Questo avrebbe permesso a Carnera di ricominciare a usare i guantoni,  e gli incontri gli  avrebbero fatto guadagnare del denaro. Era fermo da otto anni, eccetto qualche esibizione e rari incontri di lotta libera, di cui l’ultimo a Milano, ove gli rubarono la penna stilografica, acquistata in America, a cui era molto legato perché aveva scritto le lettere d’amore alla sua Pina e firmato gli autografi.  
Gli americani non avevano dimenticato Carnera. Nel loro Paese perdurava ancora una grande popolarità. I giornali americani si erano chiesti più volte se il pugile fosse ancora vivo. Alcuni pensavano che fosse stato ucciso dai partigiani per il suo passato di fascista. La Barba parlò della morte di Mussolini e della sua donna che aveva appreso dai giornali. Una fine orrenda, tremenda, che non meritavano. Se li avessero catturati gli americani il loro destino sarebbe stato diverso. La Barba cercò in tutti i modi di concludere l’accordo con Carnera. 
In quegli incontri lo avrebbe seguito personalmente,  aveva ricevuto l’incarico di far distrarre la truppa. La vita di Carnera dovette mutare. Tornò a sudare in palestra, aveva richiamato a Sequals un allenatore e si consultava spesso con un medico, perché negli ultimi anni s’era ingrassato.  Nelle settimane che seguirono Primo fece una dieta ipocalorica, con grande dispiacere, ora che di cibo ne aveva in abbondanza; pertanto lo distribuì ai suoi compaesani. Gli sembrava d’essere tornato come una volta che aveva del denaro in tasca e poteva aiutare la gente all’occorrenza. Continuò a disputare esibizioni con i soldati che avevano voglia di emergere, ma si rese conto che la sua possanza fisica era diminuita. 
Carnera non saliva sul ring dal 1937, erano passati otto anni, il fisico in qualche modo ne aveva risentito. Il denaro che guadagnava gli permetteva di vivere in modo decoroso. I militari americani gli volevano molto bene, e dopo ogni incontro o esibizione, lo circondavano chiedendogli l’autografo o di fare una foto assieme, e per Carnera era un momento molto bello, di quelli che contavano. Tra i soldati vi era sempre qualcuno d’origine italiana che si intratteneva con lui, facendogli delle domande sulla sua carriera. Le settimane che seguirono Carnera le passò più sul ring che a casa. Spesso si fermava a dormire,  a mangiare con i soldati, e si spostava da una caserma all’altra. 
La stampa americana aveva riportato, in quel periodo, una foto di Carnera mentre si esibiva sul ring. L’articolo era stato letto da molta gente che contava nel mondo della boxe. Gli americani volevano  sapere tutto su di lui,e sui prossimi impegni.  Il campione sentiva la nostalgia della famiglia, temeva per la moglie ed i figli che erano rimasti soli a casa. Lo spavento di quella notte in cui i partigiani lo portarono via non era stato del tutto superato. 
L’Italia non era uscita dalla paura di una guerra civile. Carnera sapeva che ogni sforzo veniva compiuto per la sua famiglia. Il continuo allenamento gli aveva fatto perdere una decina di chili, i suoi muscoli  erano diventati più tonici, nonostante la presenza di varici alle gambe, e tutto ciò aveva aumentato la fiducia di Carnera in sé stesso. Alla fine non era poi così vecchio, di anni ne aveva trentanove.   Aveva ottenuto dalla federazione pugilistica il benestare per tornare sul ring come professionista.   Nel cuore di Carnera c’era la volontà di fare alcuni incontri e tornare a combattere in America. Il 27 luglio 1945 salì sul ring a Udine, prima tappa del suo nuovo cammino, in una giornata di pieno sole. Il suo avversario era il francese Michel Blevens, la sala era gremita, i friulani non s’erano dimenticati di lui. Al polisportivo Moretti non c’era un posto libero, la gente lo acclamava perché il suo ritorno aveva qualcosa di miracoloso. Il suo sfidante non combatté un buon incontro,  scappava di fronte al campione e l’arbitro non  poté che interrompere il match e decretare la vittoria del pugile italiano. Il pubblico rimase scontento della brevità dell’incontro. 
Carnera incassò la sua borsa, e tornò  a Sequals. La sua intenzione restava sempre quella della boxe.  Il suo amico Philip la Barba continuava a farlo esibire tra i militari. Carnera ogni volta tornava a casa con delle vettovaglie e dei soldi, questo faceva felice la bella Pina e la madre che temevano per il loro futuro economico. La vecchia madre che vedeva suo figlio come se fosse ancora piccolo, bisognoso di protezione si recava ancora in chiesa per portare dei fiori davanti alla statua della Madonna, affinché lo guidasse nel suo cammino quotidiano. Carnera spesso veniva chiamato a inaugurare dei locali, la sua presenza era sempre molto richiesta, e la gente lo faceva sentire ancora un campione. Qualcuno aveva scritto che la sua fama non sarebbe venuta  mai meno, come la sua forza. 
In quel periodo si pensò di fargli disputare un incontro a Trieste contro il campione  Luigi Musina. Il pugile di Gorizia era  un grande campione che aveva vinto in America per ben due volte il Guanto d’Oro. La sua storia era conosciuta e la gente non l’aveva dimenticato. Era anche un tifoso di Carnera che stimava molto, e di cui aveva sempre  seguito la sua carriera pugilistica.  L’allenatore di Carnera decise che, prima di incontrare Musina, facesse un incontro di rodaggio a Trieste contro l’inglese Sam Gardner. Il match si svolse allo stadio di San Sabba, e c’erano 12000 spettatori che gremivano gli spalti. Gli organizzatori erano al settimo cielo, la gente dopo la guerra aveva bisogno di divertirsi,  d’ osservare una nuova pagina di vita, questa volta scritta dalla boxe. Il giorno dell’incontro Carnera andò a fare un giro per la città, da tanto tempo non vedeva Trieste, da lui molto amata. 
Voleva fare un regalo a Pina, e entrò in una gioielleria, dove acquistò una collanina con un crocefisso. Parecchie persone, avendolo notato, si accalcarono al di fuori del negozio. Carnera con il suo sorriso salutò tutti, e si intrattenne a parlare con alcuni ragazzi che l’avevano circondato, e raccomandò  loro di non fare la sua vita ma di studiare. Quello di cui si rammaricava era l’assenza dello studio. Quella sera sul ring di San Sabba mise Ko il suo avversario  alla prima ripresa. Il pubblico non si aspettava che l’incontro finisse in pochi minuti, ma Carnera aveva il record personale di match liquidati alla prima ripresa . 
Anche in quell’occasione si parlò di fare incontrare Carnera con Luigi Musina. Era venuto a vederlo un organizzatore di Milano che aveva  in cuore di fare quell’ incontro. La gente voleva vedere un bel match e lo spettacolo con due uomini così importanti non sarebbe mancato  di sicuro. 

Carnera voleva incrementare il suo record di vittorie. Vorrebbe vincere con Musina per tentare di conquistare il titolo italiano dei pesi massimi. Vorrebbe aggiungere il suo nome, anche se nel 1933 fu proclamato campione italiano della categoria, senza combattere un vero match. Una notte sognò che quella fascia tricolore gli avrebbe aperto la strada al titolo europeo dei pesi massimi. Il campione era sulla soglia dei quarant’anni e pochi erano i pugili che avevano combattuto fino a quella tarda età.  Carnera si allenava con entusiasmo, gli sembrava d’essere tornato come un ragazzo di vent’anni.  
A Sequals, nel frattempo, era stato chiamato il pugile Giovanni Martin per allenarlo, e quel gigante della boxe aveva sempre sognato di battersi con Carnera per il titolo italiano, ma non c’era mai riuscito. Giovanni Martin era quello di sempre, aveva voglia di salire sul quadrato. Anche la sua carriera era stata interrotta dalla guerra. Martin combatté nella stessa riunione di Carnera, e precisamente il 21 novembre del 1945. L’incontro si svolse a  Milano.  

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