di
Emilio Del Bel Belluz
Carnera
lascia l’America, ha il morale a terra, si sente colpevole e non riesce a
dimenticare gli occhi del suo avversario. Nella nave che lo riporta in patria
ci sono tante persone che gli domandano di quel match e per lui è come se
riaprissero la ferita. La gente non ha la sensibilità sufficiente per capire il
tormento interiore del campione e la sua difficoltà a parlare di
quell’incontro. Carnera ha il volto triste e corrucciato, sembra perfino
invecchiato e non dorme molto bene. Alla sera gli ritornano alla mente le fasi
del match, il pubblico che urla la parola che più di tutto odia; quella che
nessun pugile vorrebbe mai sentire: “Buffone“, rivolta al suo avversario che
stava morendo sul ring. Nel tremendo match, dopo averlo spedito al tappeto,
aveva alzato le mani in alto in segno di vittoria; era felice, ma quella
felicità durò solo un attimo. La notte sognava il suo avversario a terra e lui
che aveva cercato di rialzarlo, ma il suo allenatore e manager Jack Sharkey lo
aveva allontanato e solo in quel momento aveva capito che il match era finito
in tragedia. Nel frattempo il pubblico non aveva smesso di urlare e Carnera si
domandava il perché non capissero che il suo avversario stava male. Nella vita
della boxe Primo aveva messo a terra molti pugili, già nelle prime riprese, e
quando questo accadeva si sentiva felice solo se il suo avversario si rialzava.
Solo così lui si sentiva un vero vincitore, sua mamma gli aveva sempre
raccomandato di non picchiare con cattiveria, di essere onesto sul ring come
nella vita. Quando l’avversario venne portato fuori dal ring, a Primo sarebbe
piaciuto sparire, andarsene in disparte. Schaaf venne portato negli spogliatoi e
Carnera aveva chiesto subito notizie al medico, ma dal suo volto aveva appreso
che c’erano poche speranze. Costui gli batté una pacca sulla spalla per fargli
coraggio. Il suo allenatore non capiva cosa poteva essere capitato, lo sfidante
di Carnera era al terzo posto in classifica mondiale nella categoria dei pesi
massimi. Primo quella sera non volle abbandonare l’ospedale in cui era
ricoverato Ernie. Carnera allo stesso tempo non si poteva sottrarre alle
domande dei giornalisti, che non erano indulgenti. La stampa aveva dato la
notizia del match, in prima pagina, e ci si chiedeva se Carnera non fosse stato
troppo forte per la categoria dei pesi massimi. Addirittura qualcuno diceva che
bisognava creare una nuova categoria dove combattevano i super massimi. Il
giorno dopo al match Carnera aveva abbracciato la mamma di Ernie Shaaf, e la
donna lo aveva consolato, ma non era sufficiente. Quando al terzo giorno di ricovero
in ospedale Carnera apprese della morte del suo avversario il mondo gli crollò
addosso, era il 13 febbraio del 1933, una data che non avrebbe mai dimenticato
per tutta la sua vita. Quando Primo seppe della morte del suo avversario, era
in compagnia della mamma di lui. La donna era rassegnata alla tragedia, se l’
era sentita addosso quando l’avvertirono che il suo ragazzo era stato
ricoverato in ospedale. Il tassista che l’aveva portata sapeva che cosa era
successo, ma non parlò, lei in quel tragitto, aveva già le lacrime che le
scendevano, erano lacrime di mamma. Pensava a quando suo figlio l’aveva
salutata e le aveva detto di stare tranquilla, sarebbe tornato a casa vincitore
con la qualifica di sfidante ufficiale al titolo mondiale dei pesi massimi.
Carnera dal canto suo mai avrebbe voluto che questo accadesse, mille volte si
era guardato le mani. Nel volto di Primo non traspariva aria di felicità e non
gli interessava neanche più la boxe. Voleva giungere al suo paese per stare con
la sua famiglia. Quante volte avrebbe voluto essere stato lui al posto del suo
avversario, preferiva morire che essere la causa della morte di qualcun altro.
Nella nave si intrattenne con un frate, questi era di ritorno dall’America,
dove aveva fatto visita a un suo fratello molto ammalato, che qualche giorno
dopo morì. Il frate si era avvicinato a Carnera, dopo che aveva saputo quello
che gli era accaduto, lo aveva incoraggiato, gli aveva parlato che il buon Dio
non lo avrebbe punito e che questa sofferenza non doveva impedirgli di
continuare la sua vita. Il frate era di Genova e se ne tornava al convento.
Costui era piuttosto vecchio, basso di statura e con una fluente barba bianca.
Gli volle donare un’immagine della Madonna, dicendogli di invocarla perché
potesse ritrovare la pace e che pure lui avrebbe pregato per Ernie e per Primo.
Carnera aveva gradito la compagnia di questo ministro di Dio, che lo aveva in
parte rasserenato. Quando arrivarono a Genova, dopo un viaggio lungo e
difficile, Carnera gli promise che sarebbe andato a trovarlo, e si raccomandava
che pregasse per lui. Primo arrivò a Sequals verso sera del giorno dopo essere
sbarcato a Genova, era venuto a prenderlo un suo fratello che gli voleva bene.
Quando giunse a Sequals, Carnera si sentì finalmente a casa, anche se aveva
sempre quel grande peso dentro al cuore. Quando vide la sua mamma le mise le
braccia al collo e pianse, quell’abbraccio gli fece bene. Lo consolò, come si
fa con un bambino che ha paura. Carnera pianse e si disperò, le mostrò le mani che
avevano causato la morte di un uomo. Gli ricordò che la madre di Ernie gli
aveva detto di non sentirsi in colpa per la morte del figlio e ciò gli procurò
una sensazione di sollievo. La casa di Carnera era nuova, da poco tempo la
famiglia era andata ad abitarci. Primo non era felice, si sarebbe aspettato di
festeggiare in modo diverso la villa che aveva tanto sognato. In quei giorni
aveva manifestato chiaramente ai suoi famigliari che non avrebbe più voluto
saperne della boxe; anche se dopo aver fatto questo match, che era valevole
come semifinale al titolo mondiale dei pesi massimi, avrebbe potuto coronare il
sogno della sua vita: quello di battersi per il titolo mondiale contro Jack
Sharkey. Quei giorni a Sequals gli furono di sollievo per Carnera, la vicinanza
della famiglia e le parole di conforto della mamma, gli erano arrivate al cuore.
La donna soffriva nel vedere il suo amato figlio così oscurato dalla
malinconia, pertanto, si era data da fare in cucina per preparagli degli ottimi
pranzetti, e qualche volta era riuscita a farlo sorridere. Il papà di Primo,
non era un uomo di molte parole, ma lo stesso aveva cercato di far capire al
figlio che non aveva nulla da temere, il suo match era stato pulito, nulla era
stato fatto con odio. La vita molte volte ci mette alla prova e ci fa stare
male, ma qualcuno scrisse: “Male non fare, paura non avere. Qualche settimana
dopo che era arrivato a Sequals, si era deciso di tornare a giocare al Bottegon
con gli amici. Il gioco delle carte lo aveva in qualche modo distratto. Quando
gli domandavano del povero Ernie, gli occhi di Carnera diventavano improvvisamente
molto tristi. All’osteria qualcuno gli toccava le mani, e a Primo gli sembrava
che lo facesse per vedere da vicino quelle mani che avevano fatto del male ad
Ernie. Carnera in cuor suo soffriva, e anche qualche bicchiere in più che si
era permesso, non lo aiutava a pensare diversamente. Al paese le cose
proseguivano come sempre, spesso veniva qualche giornalista a cercarlo, e Primo
lo accoglieva con benevolenza. Un giorno venne a trovarlo uno scrittore di
Roma, e chiese a Carnera il permesso di scrivere un libro sulla sua vita, che
sarebbe stato pubblicato a puntate sul suo giornale. Si trattava di una rivista
sportiva, e il direttore gli aveva affidato questo incarico perché molti
lettori volevano conoscere la vera storia di Carnera. Il campione si sentì per
un attimo davvero felice. Avrebbe potuto dettare la sua biografia con molta
tranquillità, perché il giornalista era disposto a fermarsi tutto il tempo
necessario. Questo scrittore incontrò Carnera per dodici giorni, ed ogni giorno
veniva scritta una puntata della biografia. La più difficile da scrivere fu
quella che raccontava il suo combattimento con Ernie. Il primo capitolo venne
pubblicato già la settimana seguente, e al paese il postino gli portò il
giornale, direttamente da Pordenone. Carnera ne fu felice, lo mostrò alla
mamma, che lo volle guardare mille volte. Il giornalista chiese a Carnera
perché non lo seguisse a Roma, avrebbe potuto vedere il papa, durante l’udienza
settimanale che concedeva ai pellegrini. Il giornalista stesso lo avrebbe
accompagnato fino a Roma ed anche all’udienza del papa. Il 15 aprile del 1933,
Primo Carnera assieme al suo amico scrittore, era tra i pellegrini che festanti
lo onoravano. In quell’occasione Primo ebbe modo di poterlo incontrare. Il Santo
Padre Pio XI, nella vigilia di Pasqua lo salutò. Si avvicinò a Carnera,
qualcuno dei suoi vescovi lo aveva avvertito che all’udienza, tra i tanti
pellegrini, ci sarebbe stato anche lui. Il papa sapeva quello che era accaduto
a Primo, e di quanto soffrisse. Avvicinandosi al campione gli fece una carezza,
e gli disse qualche parola di consolazione. Carnera baciò la mano del
pontefice, e visibilmente commosso, si fece il segno della croce. Le parole
dette dal pontefice gli avevano tolto il peso di quanto era successo:” Il buon
Dio ti ha capito, non hai colpa, prega per Ernie e aiuta la sua famiglia”. Il
ricordo di quella giornata fu uno dei più belli della sua vita. Nel frattempo,
Carnera fu avvicinato dalle persone che gli stavano attorno e questo gli fece capire
che la gente gli voleva bene. Quella stessa sera, Primo nella sua camera
d’albergo, scriveva alla mamma come aveva vissuto quel giorno, della carezza
dal papa e delle sue frasi consolatorie. Scrisse, pure, una lettera alla mamma
di Ernie, dicendole che l’avrebbe aiutata, e che questo glielo aveva chiesto
anche il papa. Le scriveva, inoltre, che pensava ogni giorno a suo figlio con
affetto e che pregava per lui. Le raccontò delle belle parole del papa e le
disse che le voleva bene, che si sentiva vicino a lei e che mai l’avrebbe
dimenticata. Nella lettera le accludeva una foto del Santo Padre, e questo
pensiero lo considerava il più bello che potesse fare per lei. Avrebbe voluto
scriverle che spesso qualche lacrima scendeva e bagnava il suo cuore. Carnera
rientrò a Sequals con uno spirito diverso, si sentiva più sereno, grazie
all’incontro con il Papa. La sua vita non poteva riservargli altre tristezze
più intense di quelle che aveva provato. Della sua visita al papa era comparsa
una foto sui giornali e di ciò si compiacque. L’indomani partì per Sequals, la
città era in festa per la Santa Pasqua e lui voleva a tutti i costi arrivare in
paese al più presto. per ritrovare la famiglia. Il viaggio in treno fu faticoso
e scomodo, ma nella vita non si può avere tutto, bisogna rassegnarsi; se si è
alti e grossi non esistono sedili comodi. Carnera giunse a casa, la mamma lo
attendeva trepidante e voleva abbracciare il suo figliolo. Primo le diede il
rosario benedetto dal Papa. La donna, facile alle commozioni, si mise a
piangere, baciò mille volte quella corona, e non vedeva l’ora di recitare il
rosario in chiesa e di mostrarlo alle sue amiche. In quei giorni era giunto a
Sequals, direttamente dagli Stati Uniti, il suo manager assieme a Paul Journée
, con lo scopo di convincerlo a salire sul ring: ci sarebbe stata la corona
mondiale in palio. La stampa americana aveva già annunciato l’evento che si
sarebbe svolto a giugno, ed ora si trattava di convincere Carnera a combattere.
Accettò di incontrare il manager e l’allenatore, non li aveva più visti da quei
giorni in cui aveva sfidato il povero Ernie. Da allora erano passati quasi due
mesi e gli sembravano un’eternità. Carnera non era più lo stesso, non sentiva
più la voglia di risalire sul ring, anche se per tanto tempo aveva inseguito la
possibilità di diventare campione del mondo. Furono giorni intensi, ma alla
fine convinsero Carnera ad accettare la sfida. Non c’era molto tempo, al
combattimento mancavano solo due mesi e bisognava tornare in America. Il campione
aveva cambiato idea dopo la visita al santo Padre che era riuscito a
rasserenarlo e a rimuovere quel senso di colpa che l’aveva tormentato per
settimane. Ricordò che aveva promesso al Papa di aiutare la mamma di Ernie, di
starle vicino, e questa promessa l’avrebbe mantenuta. In attesa dell’imbarco,
Carnera incominciò gli allenamenti nella palestra che si era fatto costruire
vicino alla villa, e per aiutarlo a boxare era arrivato a Sequals il peso
massimo Giovanni Martin di Oderzo, che fu molto entusiasta di allenare, come
disse lui, il futuro campione del mondo. Dopo due settimane di intensi
allenamenti Carnera e il suo allenatore partirono per l’America. Anche durante
il viaggio gli fu possibile allenarsi, infatti, nella nave erano stati
installati degli attrezzi per la boxe. Durante il lungo viaggio non era
preoccupato, anche se era cosciente che quella sarebbe stata l’ultima
possibilità per diventare campione del mondo. Alla sera dopo i duri allenamenti
si intratteneva con la gente che voleva salutarlo, tanti italiani che come lui
pensavano di trovare fortuna in America. Spesso gli capitava di mangiare con il
capitano della nave e con alcuni suoi ospiti. Gli sarebbe piaciuto che con lui
ci fosse quella ragazza francese che aveva cercato di dimenticare. Il suo
pensiero spesso andava anche ai suoi amici del circo, chissà se li avrebbe più
rivisti, e gli sarebbe piaciuto contraccambiare l’aiuto che aveva ricevuto da
loro. Il periodo del circo gli era servito per diventare uomo.
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