di Emilio Del Bel Belluz Carnera, dopo la vittoria di Milano, fece una serie di match che superò con una certa disinvoltura, acquistando sempre più forza, più coraggio e migliorando la sua tecnica. Quelli che non credevano sulla sua bravura, incominciarono a ravvedersi. Non era più un fenomeno che si sarebbe esaurito tanto facilmente, la gente voleva che combattesse per il titolo mondiale. Allora il campione del mondo era Jack Sharkey , un boxeur che aveva strappato il titolo mondiale dei pesi massimi al teutonico Max Schmeling.
Sharkey propose che si facesse un incontro tra Carnera e il suo pupillo, di cui era molto amico, Ernie Schaaf e il vincitore di questa semifinale mondiale lo avrebbe incontrato. Ernie che doveva affrontare Carnera era inserito nelle classifiche mondiali al terzo posto. I giornali parlavano del futuro incontro con Sharkey e il nome di Carnera suscitava molto interesse, non sarebbe stato facile per lui, abituato a sbarazzarsi degli avversari in poche riprese, di vincere l’ex marine. Carnera ne aveva parlato con il suo allenatore e sperava che i contratti si potessero perfezionare. Questa era l’ultima possibilità per avere una chance mondiale. Aveva già fallito contro Sharkey una volta e non poteva sbagliare ancora. La vita di Carnera in quel periodo non concedeva nessuna distrazione. Perse il 30 maggio 1932, davanti al pubblico inglese, contro l’ avversario canadese Larry Gaains, e il 16 agosto a Newark subì la seconda sconfitta dell’anno contro Stanley Poreda. Il 1932 si concluse con 24 vittorie. Nessun pugile era mai salito sul ring tante volte con risultati così soddisfacenti, e con la stampa che gli tributava grandi onori. Quell’anno Carnera aveva un nuovo manager, si trattava di Billy Duffy, ora sarebbe stato lui a decidere sulla sua vita pugilistica. L’uomo era molto conosciuto nel mondo della boxe, era astuto e aveva capito bene che Primo era pronto per il titolo mondiale.
Nel 1932 Primo non scrisse molto a sua madre, era molto impegnato a fare degli incontri in giro per il mondo. Alla sera era sempre stanco, e non aveva voglia di scrivere a nessuno. Ogni tanto dall’ albergo mandava qualche cartolina che trovava in camera, sempre diretta a sua madre, non le nascondeva la nostalgia di tornare a casa, ma ciò era davvero difficile che si realizzasse in quell’anno. Furono mesi molto difficili, non bisognava che Carnera si distraesse, abbandonava il ring solo per dormire, ma anche di notte sognava pugili che doveva affrontare e vincere. Tutto si svolgeva con una velocità davvero sorprendente, era un fare e disfare le valigie in continuazione per spostarsi da un paese all’altro e combattere.
Tantissima gente assisteva ai suoi match, lo applaudiva e voleva conoscerlo. Solo nella sua camera d’albergo ritrovava un momento di quiete e i pensieri andavano verso la famiglia lontana, agli amici che aveva lasciato a Sequals, al vecchio sacerdote che lo conosceva bene, e alla maestra che dal cielo di sicuro lo proteggeva. Primo, prima di addormentarsi, pregava per le persone che aveva conosciuto e che erano morte. La prima ad essere ricordata era la sua maestra, che gli aveva fatto conoscere tante cose, e che gli aveva voluto molto bene. Le persone care sono quelle che ti aiutano a vivere seguendo i valori importanti della vita, che loro per prima hanno fatto propri. Tante volte chiudendo gli occhi pensava alla sua maestra che gli aveva fatto conoscere il libro più importante della sua vita, Cuore, del grande scrittore De Amicis. Quella pagine Carnera le aveva divorate e le ricordava molto bene. Si raffigurava spesso nel gigante Garrone che proteggeva le persone povere, quelle che nessuno aiutava. Quella maestra gli voleva bene, forse perché sapeva che il cuore di Primo non l’avrebbe mai tradita.
Tante volte aveva fatto compagnia alla sua insegnante e in molte occasioni l’aveva aiutata a compiere delle commissioni. Il 1932 si stava spegnendo, e Primo in quell’anno non sarebbe più ritornato in Italia. Il suo allenatore e il suo manager avevano organizzato alcuni combattimenti anche nel mese di dicembre, proprio in quel periodo doveva salire sul ring sette volte. Il Santo Natale per lui era una festa speciale e chiese al suo allenatore di poter stare da solo; voleva girare per la città, osservare le vetrine, e naturalmente andare alla messa. Primo sentiva dentro di sé come una voce che gli diceva di rallentare la vita agonistica, e di pensare un po’ di più a se stesso. Il vortice in cui si trovava rischiava di travolgerlo, non gli dispiaceva di trovarsi al centro dell’ attenzione, ma quello che non riusciva a fare erano proprio le piccole cose che davano sapore alla vita. Un giorno entrò in un negozio, perché aveva visto una bella penna stilografica esposta in vetrina. Osservava compiaciuto il pennino che era grande, e gli piacque perfino la boccetta d’inchiostro che si trovava vicino. Vi avevano esposto accanto alla stilografica della carta da lettera, con delle buste molto eleganti e anche un quaderno di color nero. Carnera entrando nella bottega venne subito riconosciuto da una giovane che serviva i clienti. La ragazza rimase ammutolita, conosceva quel pugile dai giornali, e subito mandò a chiamare il principale che accorse e che si mise a sua disposizione.
Carnera gli indicò la penna stilografica che intendeva acquistare. Intanto fuori del negozio si era radunata un po’ di gente. C’era anche un poliziotto che pensava fosse accaduta una rapina e, pertanto, entrò nel negozio per accertarsi che non fosse successo qualcosa. Carnera con la sua voce da baritono, lo salutò; l’uomo in divisa era un italo-americano di Bari, Il suo volto fu illuminato da un sorriso e si diresse verso Carnera per salutarlo, il campione gli strinse la mano e gli disse qualche parola di rito. Il poliziotto non volle disturbarlo, ma si intrattenne in silenzio, offrendo al compaesano la possibilità di scortarlo fino alla porta dell’albergo, se avesse voluto.
Carnera ringraziò e sorrise. Nel frattempo aveva preso tra le mani quella stilografica, bella nera, con la marca incisa in oro. In quel momento si sentiva come un bambino che aveva tra le mani un giocattolo desiderato da tanto tempo. La signorina gli caricò la penna con l’inchiostro nero che profumò tutto l’ambiente. La giovane fu conquistata dall’animo semplice del campione. Primo acquistò alche delle buste e delle cartoline. Trasse dalla tasca il suo enorme portafoglio e pagò. Il poliziotto a fatica riuscì ad accompagnarlo all’albergo dove lo attendeva il suo allenatore che era contrario che Carnera uscisse da solo, temeva sempre che potesse accadergli qualche imprevisto. Carnera era felice, cenò con il solito appetito, che non lo abbandonava mai. Dopo la cena si sedette a guardare un libro che gli avevano recapitato in albergo. Conteneva una lettera in cui c’era scritto: “Caro Carnera, sono un ragazzo italiano, ho lo stesso sangue che scorre nelle vene, e sono felice che tu possa diventare campione del mondo. Questo traguardo non è lontano, mi è capitato più di qualche volta di sognarlo. La vita non è facile per noi italiani che abbiamo dovuto lasciare la nostra terra, il nostro mondo per venire in America; ma lo abbiamo dovuto fare spinti dalla fame e dalla disperazione. Ho quindici anni, lavoro in una bottiglieria dalla mattina alla sera per pochi soldi, ma sono indispensabili per la mia famiglia. Ho dei fratelli più piccoli, e viviamo in una casa poco accogliente. La sera studio al lume di una candela perché nella mia stanza non c’è la luce. Sogno di poter ottenere un diploma che mi permetta di cambiare vita. Sono fiero di essere un italiano. Al lavoro mi trattano male, non perché non sappia svolgerlo bene, ma perché il nostro principale ci tratta da straccioni. Vorrei potergli urlare che sono italiano e che un grande pugile come Primo Carnera diventerà campione del mondo e salirà sul gradino più alto.
Ti imploro a vincere il titolo e quel giorno con la mia voce urlerò, a tutti
quelli che ci guardano dall’alto in basso, che noi italiani siamo i più forti.
Caro Primo, nella mia stanza ho le immagini del Re Vittorio Emanuele III, della
Regina Elena, sua consorte e di Benito Mussolini. Le ho collocate vicino al
crocefisso, assieme alla bandiera Sabauda: sono il mio mondo, il pezzetto
d’Italia che ho dentro, sono la mia forza, e il mio orgoglio. Il mio sogno è
quello di poter un giorno rientrare nella mia città natale: Roma. Ti chiedo una
tua foto con dedica, se puoi lasciala in albergo, mi chiamo Emilio Dal Bianco.
Domani, finito il turno di lavoro, passerò a ritirarla. Ti ringrazio perché mi
farai una persona felice”. Carnera lesse e rilesse quella lettera, spesso la
gente gli scriveva o gli domandava una foto, ma quel ragazzo lo aveva
emozionato più di tutti. Alzandosi dalla poltrona, chiamò il suo allenatore e
con orgoglio gli mostrò la lettera, e subito volle esaudire il desiderio del
giovane. Impugnò la sua nuova stilografica e scrisse la dedica su una sua foto
che imbustò e la lasciò alla reception. Carnera ricominciò ad allenarsi, c’era
la possibilità di combattere contro Ernie Schaaf all’inizio del 1933 e,
pertanto, non poteva rientrare in Italia, per trascorrervi il S. Natale.
Per Primo era la festa che sapeva riscaldare i cuori spesso aridi delle persone, soprattutto, di quelle che si sentivano emarginate ed infelici, perché vivevano momenti difficili ed instabili. Trovandosi in una grande città americana seppe che vi era una famiglia di italiani che aveva delle difficoltà economiche e che avrebbe passato un Santo Natale in sofferenza. Il campione sentiva che in quella notte di Natale fredda e difficile avrebbe potuto fare qualcosa per gli altri. Il pugile non aveva mai dimenticato i suoi connazionali, quegli italiani che non avevano avuto la fortuna di trovare quella tranquillità di cui avevano bisogno e che la patria li aveva negato. Primo sapeva che molti di loro umilmente vivevano momenti di grande tristezza. Venuto a conoscenza delle condizioni di indigenza di una famiglia italiana si recò presso la sua abitazione e vide dalla finestra dei bambini riuniti attorno alla tavola che giocavano e notò il presepe allestito in un angolo della stanza. Si commosse e con quel cuore grande come quello del bue del presepe si allontanò e si recò al primo grande magazzino che trovò aperto. Mancavano poche ore alla mezzanotte della vigilia e Primo riuscì a comprare alcuni giocattoli, dei dolci e delle vivande che avrebbero arricchito la tavola di quei connazionali così sfortunati.
La gente nel frattempo lo aveva riconosciuto e gli chiese degli autografi. Primo che era un grande uomo molto gentile e dotato di una grande pazienza rimase con quella gente , finché tutti quelli che avevano bisogno di un autografo e di stingergli la mano fossero finiti. Carnera sapeva bene che la gloria può finire ma l’educazione mai, essere umile era sempre stata una sua caratteristica e fino in fondo voleva rimanere fedele a questi principi di vita. Uscendo dall’ emporio si fece accompagnare fino al taxi da un giovane che lavorava dentro, uno di quelli che lo aveva riconosciuto per primo. Il ragazzo era un italiano che aveva lasciato l’Italia alcuni anni prima con il padre e la madre.
Aveva avuto la fortuna di capitare in una città in cui trovò subito lavoro ed era felice. Strinse a sé Carnera e gli parve di abbracciare un armadio a tante ante. In futuro avrebbe potuto dire a tutti che aveva conosciuto il campione , che gli aveva stretto la mano e lo aveva abbracciato. Carnera salì in auto e si fece portare dal tassista fino alla fermata che distava pochi passi dalla casa di quella povera gente. La montagna che cammina, come lo definivano gli americani, cercò il campanello della casa, ma non lo trovò, per questo bussò alla porta e si vide aprire da un bambino che chiamò suo padre. Primo era talmente grande che dovette inchinarsi quando entrò. Posti i pacchi in terra, il padre lo riconobbe subito ed esclamò: “C’è Carnera alla porta, è il miracolo di Natale”. Il bambino più piccolo disse:”E’ arrivato Babbo Natale, ha letto la mia lettera che gli avevo spedito”. Primo si sedette dopo aver messo tutti i doni vicino al presepe. I genitori dei ragazzi erano increduli, pieni di parole e di ringraziamenti per l’inaspettata visita e per quel sogno d’aver nella propria casa un grande della boxe. Il campione era contento perché aveva fatto felici molte persone. Di questo andava fiero e si sentiva davvero molto grato alla vita .
Non aveva dimenticato gli italiani che tanto lo amavano, e che nella lontananza dalla propria terra non avevano scordato il calore della loro patria. Il campione, lasciando la casa di questa povera gente, promise che sarebbe andato a trovarli al più presto.
La tragica fine di Ernie Schaaf
Il 10
febbraio del 1933 è una di quelle date che il pugilato italiano e mondiale non
dovrebbe mai dimenticare e di sicuro questa data non fu mai scordata da
Carnera. Si svolse al Madison Square Garden l’incontro per la semifinale del
titolo mondiale dei pesi massimi tra il pugile Ernie Schaaf e il nostro
campione friulano Primo Carnera. Un match voluto dal campione del mondo in
carica, Sharkey che sperava di incontrare Ernie, suo compagno di scuderia,
convinto che questi avrebbe sconfitto con facilità Primo. Ernie Schaaf era
stato sconfitto, un anno prima, per KO da Max Baer e la commissione medica
aveva, dopo quell’incontro, dato la liberatoria per un nuovo combattimento, sebbene
il pugile d’origine tedesca fosse uscito piuttosto malconcio. L’incontro, anzi
quel tragico match del 10 febbraio si svolse davanti a migliaia di persone, tra
di esse molti italiani che erano andati ad assistere e a sostenere il loro
connazionale Primo Carnera. Il nostro pugile aveva inanellato molti
combattimenti da quando era salito per la prima volta sul ring nel 1928, almeno
due volte al mese. Quella sera la gente aveva incitato i pugili a combattere
più tenacemente, magari pensando che i due si fossero messi d’accordo e che
l’incontro fosse stato combinato: il giro di scommesse nel pugilato era molto
diffuso. Carnera diventò via, via, più incalzante fino ad arrivare al tragico
epilogo. Stanley Weston scrisse: “ La testa di Ernie venne sbattuta all’indietro
almeno duecento volte dai sinistri nei primi dieci round, ma nulla faceva
presagire la fine imminente. Schaaf aveva provato in più occasioni a mettere a
segno il suo sinistro, ma Carnera era sempre e con facilità riuscito a deviare.
All’inizio del tredicesimo round Primo guidava la contesa con largo margine di
punti: Schaaf era pressoché inattivo dal nono. La folla cominciò a gridare
chiedendo ai due una maggiore attività. Carnera partì all’attacco deciso;
qualche istante dopo, il suo sinistro apparentemente innocuo colpiva Schaaf
alla bocca. Schaaf cadde. Carnera descrisse quel momento in queste parole : “
Ho continuato a far uso di un solo colpo: il “ jab ” , che ho ripetuto
all’infinito. Sempre Schaaf era rimasto in posizione . Anche l’ultimo pugno è
stato un diretto : o forse era un “ hook ” : ho infatti l’impressione di aver
girato di poco la mia mano. Guardavo i suoi occhi in quel momento. Non mostrò
sofferenza alcuna, cadendo. Mi ricordo di un altro combattimento che ho
disputato in Florida: atterrai sei volte il mio avversario con lo stesso tipo
di colpo. Non riesco a capire perché Schaaf sia morto”. Dopo che il pugile andò
al tappeto, la gente cominciò a inveire urlando parole durissime come: “ Alzati
buffone – andatevene tutti e due! ” . Ed intanto il pugile a terra non dava
segni di vita, aveva la morte che si impossessava di lui ed il dramma si stava
consumando. Carnera venne trascinato nello spogliatoio dal suo manager Léon
Sée. Credo si fosse accorto della tragedia solo in quel momento. La gioia della
vittoria sfumò molto presto e fu avvolto dalla disperazione. Eppure lo
sconfitto nel 1931 aveva affrontato pugili di grande valore come : Tommy
Loughran, Jonny Risko. Max Baer, Tony Galento. Nel mondo della boxe Ernie
Schaaf era considerato un pugile coraggioso dal pugno potente e il suo volto
sembrava quello di un bambino, così lo giudicò quando gli capitò tra le mani
una sua foto. Il valore considerevole del pugile era dato anche dalle sue
quotazioni economiche, il campione del mondo Sharkey possedeva una parte della
procura del suo amico. Il campione era sicuro che nel confronto tra Ernie e
Carnera il vincitore sarebbe stato il suo compagno di scuderia. Jack Sharkey aveva
incontrato Carnera nel 1931 e lo aveva battuto. La disperazione che affliggeva
Primo Carnera era davvero travolgente e devastante, le lacrime gli solcarono il
viso, chiamò anche sua madre per sentire una parola di conforto e per vincere
il senso di colpa . La madre al telefono da Sequals lo incoraggiò e gli disse
che lei era vicina alla madre di Ernie e al suo dolore. Primo in quei momenti tornava
ad essere bambino, un bambino che cercava la mamma che lo consolasse. In quella
tragica circostanza, la sua forza fisica, il potere atletico erano svaniti, erano
ritornati i sentimenti. Un uomo, quando la disgrazia gli cade addosso, riesce
ad annullare le sue mille gioie. I giornali non furono molto teneri con il
campione; arrivarono a scrivere che fosse tutta una montatura il fatto che
Ernie era stato ricoverato all’ospedale e che il tutto facesse parte di un
copione da recitare. Invece, davvero in quelle ore il dramma di Ernie si stava
consumando in una stanza di ospedale. In quei tragici momenti Carnera di sicuro
avrà maledetto il giorno in cui aveva indossato i guantoni per la prima volta.
Certamente nei combattimenti non aveva mai usato la cattiveria e la voglia di
distruggere qualcuno. Il pugilato era un mezzo che aveva utilizzato per
emergere da una vita di insoddisfazioni dovute alla difficile condizione di
emigrante in terra francese. Carnera in quei momenti avrebbe voluto essere a
Sequals nella sua terra friulana che gli avrebbe dato riparo, circondato da
gente che gli voleva bene e che lo amava in modo genuino. Molti emigranti per
vincere la nostalgia amavano telefonare a casa e attraverso l’apparecchio udire
il suono delle campane e la voce della terra natale, come un richiamo alla
felicità che nel paese straniero pareva annullata. Venne pure interrogato dal
procuratore per farsi raccontare le fasi dell’incontro. Alfredo Pigna nel libro
I re del Ring , uscito molti anni fa scrive: “ Ernie Schaaf stava morendo a
pochi metri da lui e la gente pensava che fosse tutta una finzione. Ad un
tratto la porta della sala si aprì e apparve il medico. Chiuse la porta dietro
di sé, si avvicinò a Carnera e gli mise una mano sulla spalla. - E’ morto !-
disse . Carnera fissò il medico con uno sguardo allucinato. – Sono un assassino
! – disse piano, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Il medico
scosse la testa . – Non tu , – disse lentamente. – Io spero che venga concessa
l’autopsia. In questo caso tutto il mondo avrà la prova che non sei stato tu
l’assassino di Ernie Schaaf, ma coloro che hanno permesso che il combattimento
si effettuasse ”. Dopo la morte di Ernie dissero ogni tipo di nefandezza contro
il genuino Carnera. Gli venne impedito di combattere, ipotizzando di creare una
categoria di super massimi e questo gli avrebbe negato la possibilità di
incontrare il campione del mondo, Sharkey. Ma per comprendere ancora a fondo il
dramma di Carnera e per delinearne il suo nobile animo basta leggere la lettera
che il campione scrisse alla madre di Ernie per esprimerle il profondo dolore
che lo attanagliava. La signora Schaaf gli rispose con delle parole che
conquistarono il pugile e che lo consolarono: “ Al campione Primo Carnera, sono
certa di parlare a chi soffre di eguale dolore. Per stima alla sua lealtà e
alla sua anima sincera, le comunico che non esiste in me alcun rancore per lei,
per la dura sorte che ha colpito mio figlio Ernie. Abbia la mia stima per
sempre”. Ai funerali del pugile, Primo inviò una corona di fiori molto grande
in sincero omaggio al suo avversario. I risultati dell’autopsia non lasciarono
dubbi, non andava attribuita la colpa della morte a Carnera. I colpi del
friulano avevano aggravato uno stato morboso preesistente. Carnera non scordò
mai la madre di Ernie ed insieme onorarono la tomba dell’amico pugile.
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