NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 27 aprile 2021

L’editto del 10 febbraio 1836 di Re Carlo Alberto

Contributo al blog dell'Avv. Augusto Genovese




Uno sconosciuto primato piemontese nel campo sindacale e sociale

Premetto che cinque o sei anni fa, rovistando alla Biblioteca Reale di Torino fra la parte rimasta del « Fondo di Torino » che in forza del trattato di pace con la Francia si dovette consegnare all'Archivio di Chambery, rovistando, dicevo, fra quelle buste ingiallite e polverose mi imbattei in un documento veramente singolare e di importanza ch'io ritengo eccezionale. Non certo da poter capovolgere il corso della storia, ma tale da influire e correggere talune errate interpretazioni - errate, faziose ed ingiuste -, circa uomini e avvenimenti a noi piemontesi particolarmente cari.

Il documento è un Editto, come si diceva allora, o meglio una Regia Patente; porta la firma di Re Carlo Alberto con la data del 10 febbraio 1836. Si tenga presente la data: 1836, 12 anni prima della emanazione dello Statuto.

È un lungo e particolareggiato appello al fine di provvedere al sostentamento dei poveri attraverso le Opere Pie ch'egli faceva riordinare e potenziare onde far fronte a sollevare le miserie dei diseredati. Un Editto, insomma, che esprime tutto l'anelito del disgraziato e tanto ingiustamente diffamato Re a creare una legislazione che considerasse l'assistenza come una funzione pubblica. Ma egli va più avanti ancora: in questo stesso Editto del 10 febbraio 1836 tenta il primo esperimento legislativo a protezione del lavoro, e cioè la costituzione in Genova di una Commissione «dalla cui autorità dipenderanno in avvenire tutti coloro che in detta città sono in qualità di facchini (camali), impiegati in. trasporti di generi e merci di qualunque natura». Scopo primo della Commissione era quello di «assicurare perennemente la giornaliera sussistenza dei facchini qualora venisse a stagnare il commercio» emanando «regolamenti e tariffe per ogni classe di facchini, della cui condotta morale sorveglierà un giudice legale

Iscrizione obbligatoria che riassume:

        ufficio di collocamento;

        sussidi ai disoccupati;

        tariffe e salari in contesa col datore di lavoro.

Carlo Alberto precursore del sindacalismo operaio e, in embrione, anche della Magistratura del lavoro.

Altri atteggiamenti non meno importanti ebbe Carlo Alberto in favore degli umili, atteggiamenti intesi a sollevarli dalle brutture dell'ignoranza. Valga ad esempio il caso dell'abate Ferrante Aporti: era questi un sacerdote mantovano che si era prodigato nella propagazione dei Giardini di infanzia, diventati in seguito gli attuali Asili infantili. La predicazione, la propaganda dell'Aporti suscitarono l'ostilità di Mons. Fransoni, Arcivescovo di Torino, ligio alle massime della Curia romana. Vietò ai sacerdoti di partecipare alle riunioni di apostolato dell'Aporti, fino al punto di togliergli la facoltà di celebrare la Messa. La più grave delle umiliazioni che si possa infliggere ad un sacerdote.

Ma questo rientrava nelle massime allora in vigore per cui più il popolo è ignorante e più facilmente lo si governa.

Di parere contrario era invece Carlo Alberto, il quale di fronte alle persecuzioni di Monsignor Fransoni, nominava l'Aporti professore all'Università di Torino, poi Rettore Magnifico e lo includeva in una delle prime infornate di Senatori del Regno. L'aveva in pectore per la nomina a Collare dell'Annunziata - che faceva dell'Aporti cugino del Re - ma l'esilio dopo Novara gli impediva di mettere in atto tale suo proposito.

Carlo Alberto fu sempre inesorabile nel tenere separati i due poteri, il religioso dal civile, ossia il Pastorale dalla Spada, secondo la grande concezione dantesca contro la confusione dei due poteri, concezione della quale è pervasa la Divina Commedia. Egli faceva la comunione tutte. le mattine, ma quando Mons. Fransoni tentava di intromettersi nelle questioni, negli affari di Stato lo affrontava sino a minacciarlo di arresto. Arresto che avverrà più tardi sotto Vittorio Emanuele II il quale dopo averlo ammonito e fatto rinchiudere nella fortezza della Cittadella di Torino, lo spediva in esilio a Lione.

Non si può comprendere la complessa figura di Carlo Alberto il " re per tant'anni bestemmiato e pianto», che ispirò il lirismo carducciano, se non si tiene presente ch'egli aveva sulle spalle una pesante eredità: otto secoli di malgoverno degli Stati italiani e le spogliazioni delle occupazioni francesi, durante e dopo Napoleone, spogliazioni che devastarono il piccolo Piemonte. Tutto era da rifare. Lungimirante egli aveva visto nell'iniziativa dell'Aporti uno strumento nuovo per la sua opera - lenta ma tenace - di redenzione del vecchio Piemonte: educare l'infanzia al nuovo sentimento di italianità. D'altronde non era possibile costruire uno Stato con le sole due classi, dei nobili e dei diseredati, mentre la classe sacerdotale glí era dichiaratamente ostile. Occorreva formare una nuova classe di cittadini, il ceto medio, donde uscirà la borghesia. Infatti, diventati adulti i bambini dei giardini d'infanzia, si venne a poco a poco diffondendo una concezione politica che servì potenzialmente a trarli nell'orbita dello Stato.

Intanto con lo Statuto Albertino si accentua sempre più la necessità della organizzazione del lavoro ed ha inizio lo sviluppo in Piemonte delle Società operaie di mutuo soccorso che danno l'ultimo colpo di piccone all'autorità feudale. Ho detto l'ultimo perché la lotta contro il prepotere dei feudatari ebbe inizio già coi primi conti e poi duchi e poi re di Casa Savoia coi loro memorabili Statuti: da Pietro II detto il Piccolo Carlo Magno fino a giungere a Carlo Alberto. Una lotta tenace, costante, metodica che durò ben 500 anni. Fu con i suoi Statuti che Casa Savoia usciva dal Medio Evo ed entrava nel mondo moderno. Il feudalesimo traeva la sua dal «diritto del più forte». Con gli Statuti Sabaudi sorgeva un'era nuova: «il diritto egualitario», cioè la legge uguale per tutti.

Lo Statuto Albertino, emanato malgrado l'opposizione dei potentati stranieri, apriva, con la libertà di riunione e di associazione, la via a nuove organizzazioni economiche in favore delle classi operaie che allora erano per la maggior parte a carattere artigiano. Fu così che sorsero le prime Società di Mutuo Soccorso, tanto maschili che femminili, e mentre i. provvedimenti di ordine sociale si andavano sviluppando attraverso queste nuove organizzazioni, nasceva quello che sarà la base dello Stato moderno.

 

(Simbolo delle Società Operaie di Mutuo Soccorso)

Ma vi ha di più: con lo Statuto Albertino si accentua sempre più la trasformazione del concetto di beneficai; za: essa si basa non più sul cristianesimo elargitore ed elemosiniero, ma diventa un diritto. Questo diritto viene sostenuto dalle nuove società- operaie di mutuo soccorso che a poco a poco vanno assumendo un grande impulso: nel 1851 sono già in grado di riunirsi a Congresso a Torino dove viene fondata la Confederazione Generale delle Società Operaie dello Stato sardo-piemontese.

I congressi si susseguono ogni anno e dopo il 1860 assumono carattere nazionale poiché vi partecipano Milano e Bologna dove le società operaie, iniziano la loro conquista. In questi congressi venivano emesse deliberazioni della più alta importanza, nelle quali predominava il tema della regolamentazione del contratto salariale, avente lo scopo di ottenere l'applicazione di una tariffa normale dei prezzi della mano d'opera e la nomina di comitati per il collocamento degli operai disoccupati. Si doveva altresì provvedere a speciali sussidi alle operaie prima e durante la maternità. Provvedere alle sovvenzioni in caso di malattia dei soci, agli inabili al lavoro, alle cure mediche gratuite, alla pensione all'età di 70 anni.     

Queste società operaie purtroppo ancora ignorate oggi dai più, erano tutte pervase da spirito patriottico. Tipico il Congresso nazionale di Firenze del 1861 al quale parteciparono Guerrazzi, Montanelli e Mazzini che proposero di ammettere la politica nelle discussioni il che avrebbe voluto dire la fine di quei sodalizi nati soprattutto per la difesa dei problemi del lavoro.

Le opposizioni si fecero vivissime e la maggioranza delle società, quasi tutte piemontesi, uscirono protestando dall'aula, anche in considerazione della condotta di Mazzini che si era schierato - con l'invito ai soldati: alla diserzione -contro la spedizione di Crimea la quale segnava l'inizio della guerra di liberazione intrapresa dalla Monarchia con ripreso del Piemonte nel concerto europeo. In conseguenza del tentativo del Guerrazzi, di Montanelli e di Mazzini, venne indetto nell'ottobre dello stesso anno 1861 un nuovo congresso ad Asti che fu detto «riparatore» al quale intervennero le società operaie piemontesi a ristabilire all'unanimità l'intransigenza del loro patriottismo.

E così fallirono anche i tentativi per la creazione di associazioni operaie a carattere repubblicano data la nebulosità della concezione economica mazziniana dell'«associazionismo». Sorte, le nostre mutue, con la divisa dell'amore fraterno, della materna assistenza, della tutela degli interessi del lavoro, della previdenza operaia ed a quelli più alti del patrio risorgimento, non potevano essere insensibili ai richiami del governo invocante la solidarietà fra i cittadini. E due anni dopo - 1866 - per le stesse ragioni dichiaravano la loro solidarietà per la guerra contro l'Austria.

Intanto l'organizzazione operaia avanzava.

Nel 1885 si contano 800 mila iscritti in 5000 società operaie tutte a carattere monarchico. I loro soci intervengono alle pubbliche manifestazioni con la bandiera tricolore in testa portante nel centro lo scudo crociato di Savoia. Degna di rilievo la famosa Federazione del libro della quale fanno sovente cenno le cronache del Lavoro, a carattere nazionale, e che non è altro che la figlia adulta dei primi nuclei nati e cresciuti dopo lo Statuto Albertino.

Forti dello spirito libertario dello Statuto e l'ansia per la soluzione dei problemi del lavoro, le nostre società operaie di mutuo soccorso a poco a poco trasformano il contenuto del loro programma che impostano su nuove formule e nascono così le Camere del lavoro, emanazioni dirette delle Confederazioni operaie monarchiche, e si propongono di rendere più agevoli i rapporti tra capitale e lavoro. Hanno all'inizio un carattere apolitico e tendono soprattutto all'opera di collocamento ed alla difesa dell'orario e del salario, nonché a rendere più agevoli i rapporti fra le parti contraenti. Ne fu primo organizzatore e segretario Angiolo Cabrini che qualcuno di noi ha conosciuto qui a Roma quale rappresentante del Bureau International du Travail. All'inizio avevano una impronta di collaborazione di classe, come si legge in una sua relazione del 1890: «si ritiene che le associazioni miste di padroni e operai, laddove ciò sia opportuno, possono insediarsi nei locali della Camera....».

Più tardi assunsero il carattere di rivendicazioni operaie, profilandosi così la lotta di classe vera e propria, cioè la contesa della ripartizione della ricchezza prodotta nelle fabbriche e nei campi in collaborazione con la classe padronale. Nasceva così un diritto nuovo, il diritto del lavoro. Ma, corrotte da una propaganda demagogica da parte dei politicanti, vennero in seguito sopraffatte dall'odio di classe.

All'alba dell'unità la Monarchia apriva la valvola di sicurezza che avvierà alla soluzione della questione sociale ed hanno inizio le agitazioni operaie. Il problema del lavoro preme alle porte degli opifici e delle conduzioni terriere per la ripartizione della ricchezza prodotta in comune. Ma la situazione economica in tutto il paese è grave. L'eredità dei sette stati è spaventosa. L'unità aveva messo a nudo le condizioni miserande del Mezzogiorno e del territorio pontificio, eredità che pesò per oltre mezzo secolo sul Regno d'Italia. Specialmente le condizioni politiche, economiche, sociali e amministrative della Sicilia erano disastrose. Raccapriccianti le condizioni e gli orrori del lavoro nelle solfatare, che con sforzo tenace la Monarchia cercò di eliminare, avendo come oppositori i feudatari latifondisti, mentre la plebe angariata manifestava i suoi aneliti di libertà e di progresso componendo cortei é avendo alla testa i ritratti del Re e della Regina. Altrettanto grave era la decadenza nel napoletano dove non era ancora spento il sistema feudale.

La situazione si presenta grave ovunque, i mezzi per combattere la miseria sono pochi ed i governi si succedono alla ricerca di soluzioni efficienti, e pertanto la Monarchia si dibatte fra nuvole e baleni.

Nullameno frammezzo a tante difficoltà qualche iniziativa senza dubbio anticipatrice per la soluzione della questione sociale, apparve come emanazione di vecchi organismi di vita collettiva, nati e cresciuti per influsso dello Statuto Albertino e sotto l'egida della monarchia. L'utilità di queste iniziative già si rivelava durante la costruzione del traforo del Cenisio (Fréius) inaugurato nel 1871; opera grandiosa nella quale si dovettero superare difficoltà, che erano sembrate insormontabili, col contributo di una stretta collaborazione fra le maestranze operaie e le imprese costruttrici nonché coi tre promotori ed esecutori di così meravigliosa opera, Sommeiller, Grattoni e Grandis, usciti dal seno della schiera operaia che si prodigò in sacrifici, affrontando disagi e pericoli superiori al comune, ed ottenendo con l'emulazione la perfezione di un'opera d'arte. E la pratica del lavoro fu così maestra da mettere in evidenza gravi difetti nella legislazione allora vigente, rivelando nella loro crudezza le condizioni della classe operaia ancora immersa in una lunga odissea di dolori. Furono così le società operaie che, ispirate, guidate dall'Associazione Generale di Torino, suonarono le loro campane a stormo al fine di ottenere una legge protettrice.

Nel maggio del 1891 Leone XIII lanciava al mondo attonito la famosa enciclica Rerum Novarum nella quale, dopo aver deprecato l'assenteismo dello Stato liberale e basandosi sopra rievocazioni evangeliche, a queste si appella per reclamare la libertà di organizzazione, ma non vuole constatare che di queste libertà già ne fruivano gli organismi associativi compresi quelli cattolici e questo in forza dello Statuto Albertino.

Ma l'Enciclica, se pure ispirata da Leone XIII, non fu opera sua. Leone XIII fu uomo di grande talento, scienziato e latinista di fama mondiale, ma non ebbe alcuna cognizione delle dottrine economiche e sociali. L'enciclica venne compilata da un gruppo di studiosi: il gesuita padre Liberatore, il card. Zigliara, i monsignori Volpini, Mazzella e Boccati. Forse con l'intervento del Toniolo. Croce la definì «la famigerata enciclica vacua di pensiero politico, la quale adulatamente fu chiamata la carta cristiana dei lavoratori». Vuota dí contenuto proprio no: la verità è che in essa non vi ha nulla di nuovo, nulla di originale. I compilatori di essa volendo dare al loro documento una parvenza di originalità rivendicavano il diritto e la libertà di associazione (negato in Francia dalla legge Le Chapellier con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo) ed accennando con duro linguaggio le tristi condizioni dei lavoratori ne davano la colpa al sistema economico instaurato dai regimi liberali. E' vero invece proprio il contrario. Non si può nemmeno discutere il fatto che nulla avrebbe potuto fare la Chiesa senza la carta albertina - pure tanto combattuta e criticata dalla Curia romana - poiché da questa traeva la forza della libertà di organizzazione, mentre dalle società operaie tutte a carattere monarchico apprendeva i concetti della mutualità e della cooperazione sempre ostacolati dal Vaticano in modo particolare durante i pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX. Fu proprio con l'economia liberale che il territorio dello Stato Pontificio uscì dall'arretratezza e dalle tristi condizioni dì estrema miseria nella quale era caduto dopo i secoli di potere temporale. Nel Lazio, martoriato dalla malaria, vigeva il regime del latifondo, terra incolta, perché protetto dalla Curia e imperavano salari di fame. Esempio: le trecciaiole pagate 20 centesimi al giorno per 12 ore di lavoro.

 

Ad onor del vero - e qui vi è un'altra contraddizione

nella quale sono caduti i compilatori dell'Enciclica - in essa è ammessa l'esistenza delle « Società di mutuo soccorso, le

molteplici assicurazioni private, destinate a provvedere all'o¬peraio, alla vedova, ai figli orfani nei casi d'improvvisi in¬fortuni, d'infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d'ambo i sessi, per la gioventù e per gli adul¬ti ». I compilatori dell'Enciclica della quale ho riportato il breve periodo, non vollero però dichiarare chiaramente che queste provvidenze da loro riconosciute, nacquero sotto l'e¬gida della monarchia.

Caratteristica principale, (della quale è pervaso tutto il documento leoniano), è l'avversione ad ogni soluzione socia¬lista perché dannosa agli operai. Fautrice della proprietà pri¬vata, l'Enciclica cade in contraddizione nel marcato accenno in favore dell'intervenzionismo statale (nazionalizzazione), che è la caratteristica delle comunità socialiste e comuniste, intervenzionismo pericoloso per l'integrità della proprietà che pertanto l'Enciclica afferma di voler favorire e proteggere.

All'attento studioso dei fenomeni sociali non sfugge il merito grande di queste società operaie derivate dallo Sta¬tuto Albertino, le quali hanno preparato non solo l'atmosfera per la soluzione di più. vasti problemi, ma hanno per prime saputo vincere la riluttanza dell'operaio ad assoggettarsi alla disciplina, chiamiamola così, societaria.

* * *

Nel 1890 molte di esse sono già raggruppate in Confedera¬zioni ed è proprio da queste che emanano le Camere del la¬voro. Ma soprattutto esse furono le avanguardie di quelle provvidenze che assumeranno nel futuro una gigantesca im¬portanza.

Vediamo come.

Nel maggio 1891, come abbiamo visto, esce l'Enciclica Rerum Novarum.

 

Ebbene, tutti i postulati sui quali si basano i programmi delle due parti politiche, già erano in atto in Italia per merito delle società operaie a carattere monarchico da almeno 10-20 anni ed alcune da trent'anni. Inutile dunque l'invocazione contenuta nell'Enciclica tendente a reclamare, com'è detto in essa, con intonazione di protesta, «il riconoscimento del diritto dei lavoratori ad associarsi per la difesa dei diritti e la protezione degli interessi minacciati dai ceti economici più potenti»; inutile poiché questo diritto dei lavoratori ad associarsi in difesa dei propri interessi, è implicito nello Statuto Albertino.

Infatti.

Ho qui le Memorie dell'Associazione Generale degli operai di Torino, dal 1850 a tutto il 1882. La pubblicazione segna la data del 1884. Essa riporta i bilanci delle varie organizzazioni operaie, di quasi un decennio prima dell'Enciclica Rerum Novarum e del Congresso socialista di Genova.

Da queste pubblicazioni possiamo rilevare i bilanci delle seguenti iniziative già operanti:

        Cassa di riserva per le pensioni agli inabili al lavoro per vecchiezza o malattie croniche;

        Cassa Particolare Mutua per le pensioni dí vecchiaia;

        Monte sepolture per accompagnare i soci all'ultima dimora;

        Cassa particolare mutua per le pensioni ai vecchi ed agli inabili al lavoro;

        Cassa delle vedove e degli orfani;

        Oneri funerari;

        Biblioteca;

        Compagnia tiratori al bersaglio;

        Sezione Previdenza: Magazzini alimentari, i quali erano autorizzati a battere moneta propria;

        Banca Cooperativa operaia approvata con decreto 5 . maggio 1883;

        Cassa di risparmio.

Va rilevata l'assidua campagna spiegata dalle società di mutuo soccorso, al fine di ottenere una legislazione in difesa del lavoro delle donne e dei fanciulli, propaganda che ebbe lieto risultato con la legge che enumeriamo fra le altre seguenti:

Nel 1891-92 al comparire della Rerum Novarum ed al Congresso socialista di Genova, per. l'opera tenace e lungimirante delle società operaie monarchiche erano già state approvate le seguenti leggi:

. Nel 1851 - legge n. 1192: Abolizione delle prestazioni feudali e decime.

Nel 1859 - legge n. 3595: Cassa di rendite vitalizie per la vecchiaia.

Nel 1859 - legge n. 3725: Legge Casati sull'istruzione pubblica.

Nel 1859 - legge n. 3755: Sicurezza dei lavoratori nelle miniere.

Nel 1873 - legge n. 1733: Divieto dell'impiego di fanciulli in professioni girovaghe.

Nel 1877 - legge n. 3961: legge Coppino sull'istruzione elementare obbligatoria.

Nel 1881 - legge n. 134: Casse pensioni per impiegati statali.

Nel 1882 - legge n. 593: Riforma elettorale che estende il suffragio.

Nel 1886 - legge n. 3657: Divieto del lavoro dei fanciulli negli opifici e nelle miniere.

* * *

 

Ho voluto enumerare le leggi a protezione del lavoro e dell'istruzione pubblica emanate prima della Rerum Novarum e della fondazione del Partito Socialista, perché nei proclami e nei loro programmi, pare che l'impulso alla civiltà ed al progresso derivante dalla soluzione dei problemi del lavoro organizzato e dalle provvidenze sociali abbia avuto inizio con la loro apparizione nella vita pubblica italiana. Credo di aver dimostrato che le tante decantate richieste, sia da parte cattolica che da parte socialista, erano già in atto per iniziativa delle nostre società operaie, alcune da almeno 30-40 anni.

Non voglio chiudere queste mie rievocazioni, senza rilevare che le iniziative delle mutue monarchiche servirono ancora di guida a leggi successive:

- L'Assicurazione infortuni sul lavoro, assurta oggi a grande importanza, annunciata da Re Umberto I nel discorso della Corona del 1898 e concretata in una legge l'anno seguente.

La legge sulla Cassa Nazionale di Previdenza per la invalidità e vecchiaia, ora in clamoroso se pure discusso sviluppo, porta la data del 17 luglio 1898 e la firma di Re Umberto I.

Si susseguono ancora all'inizio del secolo altre riforme di grande importanza sociale. Artefice di tanta sollecitudine, la Monarchia, il governo dei poveri.

Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III, tutti oramai avvolti nella tristezza di una tragedia che ogni giorno sempre più si innalza e si affina, e che il destino ha collocato nel cielo conteso della Gloria sempiterna.

 

MARIO VIANA

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