Contributo al blog dell'Avv. Augusto Genovese
Uno sconosciuto primato piemontese nel campo sindacale e sociale
Premetto
che cinque o sei anni fa, rovistando alla Biblioteca Reale di Torino fra la
parte rimasta del « Fondo di Torino » che in forza del trattato di pace con la
Francia si dovette consegnare all'Archivio di Chambery, rovistando, dicevo, fra
quelle buste ingiallite e polverose mi imbattei in un documento veramente
singolare e di importanza ch'io ritengo eccezionale. Non certo da poter
capovolgere il corso della storia, ma tale da influire e correggere talune
errate interpretazioni - errate, faziose ed ingiuste -, circa uomini e
avvenimenti a noi piemontesi particolarmente cari.
Il
documento è un Editto, come si diceva allora, o meglio una Regia Patente; porta
la firma di Re Carlo Alberto con la data del 10 febbraio 1836. Si tenga
presente la data: 1836, 12 anni prima della emanazione dello Statuto.
È un
lungo e particolareggiato appello al fine di provvedere al sostentamento dei
poveri attraverso le Opere Pie ch'egli faceva riordinare e potenziare onde far
fronte a sollevare le miserie dei diseredati. Un Editto, insomma, che esprime
tutto l'anelito del disgraziato e tanto ingiustamente diffamato Re a creare una
legislazione che considerasse l'assistenza come una funzione pubblica. Ma egli
va più avanti ancora: in questo stesso Editto del 10 febbraio 1836 tenta il
primo esperimento legislativo a protezione del lavoro, e cioè la costituzione
in Genova di una Commissione «dalla cui autorità dipenderanno in avvenire tutti
coloro che in detta città sono in qualità di facchini (camali), impiegati in.
trasporti di generi e merci di qualunque natura». Scopo primo della Commissione
era quello di «assicurare perennemente la giornaliera sussistenza dei facchini
qualora venisse a stagnare il commercio» emanando «regolamenti e tariffe per
ogni classe di facchini, della cui condotta morale sorveglierà un giudice
legale
Iscrizione
obbligatoria che riassume:
• ufficio di collocamento;
• sussidi ai disoccupati;
• tariffe e salari in contesa col datore
di lavoro.
Carlo
Alberto precursore del sindacalismo operaio e, in embrione, anche della
Magistratura del lavoro.
Altri
atteggiamenti non meno importanti ebbe Carlo Alberto in favore degli umili,
atteggiamenti intesi a sollevarli dalle brutture dell'ignoranza. Valga ad
esempio il caso dell'abate Ferrante Aporti: era questi un sacerdote mantovano
che si era prodigato nella propagazione dei Giardini di infanzia, diventati in
seguito gli attuali Asili infantili. La predicazione, la propaganda dell'Aporti
suscitarono l'ostilità di Mons. Fransoni, Arcivescovo di Torino, ligio alle
massime della Curia romana. Vietò ai sacerdoti di partecipare alle riunioni di
apostolato dell'Aporti, fino al punto di togliergli la facoltà di celebrare la
Messa. La più grave delle umiliazioni che si possa infliggere ad un sacerdote.
Ma
questo rientrava nelle massime allora in vigore per cui più il popolo è
ignorante e più facilmente lo si governa.
Di
parere contrario era invece Carlo Alberto, il quale di fronte alle persecuzioni
di Monsignor Fransoni, nominava l'Aporti professore all'Università di Torino,
poi Rettore Magnifico e lo includeva in una delle prime infornate di Senatori
del Regno. L'aveva in pectore per la nomina a Collare dell'Annunziata - che
faceva dell'Aporti cugino del Re - ma l'esilio dopo Novara gli impediva di
mettere in atto tale suo proposito.
Carlo
Alberto fu sempre inesorabile nel tenere separati i due poteri, il religioso
dal civile, ossia il Pastorale dalla Spada, secondo la grande concezione
dantesca contro la confusione dei due poteri, concezione della quale è pervasa
la Divina Commedia. Egli faceva la comunione tutte. le mattine, ma quando Mons.
Fransoni tentava di intromettersi nelle questioni, negli affari di Stato lo
affrontava sino a minacciarlo di arresto. Arresto che avverrà più tardi sotto
Vittorio Emanuele II il quale dopo averlo ammonito e fatto rinchiudere nella
fortezza della Cittadella di Torino, lo spediva in esilio a Lione.
Non si
può comprendere la complessa figura di Carlo Alberto il " re per tant'anni
bestemmiato e pianto», che ispirò il lirismo carducciano, se non si tiene
presente ch'egli aveva sulle spalle una pesante eredità: otto secoli di
malgoverno degli Stati italiani e le spogliazioni delle occupazioni francesi,
durante e dopo Napoleone, spogliazioni che devastarono il piccolo Piemonte.
Tutto era da rifare. Lungimirante egli aveva visto nell'iniziativa dell'Aporti
uno strumento nuovo per la sua opera - lenta ma tenace - di redenzione del
vecchio Piemonte: educare l'infanzia al nuovo sentimento di italianità.
D'altronde non era possibile costruire uno Stato con le sole due classi, dei
nobili e dei diseredati, mentre la classe sacerdotale glí era dichiaratamente
ostile. Occorreva formare una nuova classe di cittadini, il ceto medio, donde
uscirà la borghesia. Infatti, diventati adulti i bambini dei giardini
d'infanzia, si venne a poco a poco diffondendo una concezione politica che
servì potenzialmente a trarli nell'orbita dello Stato.
Intanto
con lo Statuto Albertino si accentua sempre più la necessità della
organizzazione del lavoro ed ha inizio lo sviluppo in Piemonte delle Società
operaie di mutuo soccorso che danno l'ultimo colpo di piccone all'autorità
feudale. Ho detto l'ultimo perché la lotta contro il prepotere dei feudatari
ebbe inizio già coi primi conti e poi duchi e poi re di Casa Savoia coi loro
memorabili Statuti: da Pietro II detto il Piccolo Carlo Magno fino a giungere a
Carlo Alberto. Una lotta tenace, costante, metodica che durò ben 500 anni. Fu
con i suoi Statuti che Casa Savoia usciva dal Medio Evo ed entrava nel mondo
moderno. Il feudalesimo traeva la sua dal «diritto del più forte». Con gli
Statuti Sabaudi sorgeva un'era nuova: «il diritto egualitario», cioè la legge
uguale per tutti.
Lo
Statuto Albertino, emanato malgrado l'opposizione dei potentati stranieri,
apriva, con la libertà di riunione e di associazione, la via a nuove
organizzazioni economiche in favore delle classi operaie che allora erano per
la maggior parte a carattere artigiano. Fu così che sorsero le prime Società di
Mutuo Soccorso, tanto maschili che femminili, e mentre i. provvedimenti di
ordine sociale si andavano sviluppando attraverso queste nuove organizzazioni,
nasceva quello che sarà la base dello Stato moderno.
(Simbolo
delle Società Operaie di Mutuo Soccorso)
Ma vi
ha di più: con lo Statuto Albertino si accentua sempre più la trasformazione
del concetto di beneficai; za: essa si basa non più sul cristianesimo
elargitore ed elemosiniero, ma diventa un diritto. Questo diritto viene
sostenuto dalle nuove società- operaie di mutuo soccorso che a poco a poco
vanno assumendo un grande impulso: nel 1851 sono già in grado di riunirsi a
Congresso a Torino dove viene fondata la Confederazione Generale delle Società
Operaie dello Stato sardo-piemontese.
I
congressi si susseguono ogni anno e dopo il 1860 assumono carattere nazionale
poiché vi partecipano Milano e Bologna dove le società operaie, iniziano la
loro conquista. In questi congressi venivano emesse deliberazioni della più
alta importanza, nelle quali predominava il tema della regolamentazione del
contratto salariale, avente lo scopo di ottenere l'applicazione di una tariffa
normale dei prezzi della mano d'opera e la nomina di comitati per il
collocamento degli operai disoccupati. Si doveva altresì provvedere a speciali
sussidi alle operaie prima e durante la maternità. Provvedere alle sovvenzioni
in caso di malattia dei soci, agli inabili al lavoro, alle cure mediche
gratuite, alla pensione all'età di 70 anni.
Queste
società operaie purtroppo ancora ignorate oggi dai più, erano tutte pervase da
spirito patriottico. Tipico il Congresso nazionale di Firenze del 1861 al quale
parteciparono Guerrazzi, Montanelli e Mazzini che proposero di ammettere la
politica nelle discussioni il che avrebbe voluto dire la fine di quei sodalizi
nati soprattutto per la difesa dei problemi del lavoro.
Le
opposizioni si fecero vivissime e la maggioranza delle società, quasi tutte
piemontesi, uscirono protestando dall'aula, anche in considerazione della
condotta di Mazzini che si era schierato - con l'invito ai soldati: alla
diserzione -contro la spedizione di Crimea la quale segnava l'inizio della
guerra di liberazione intrapresa dalla Monarchia con ripreso del Piemonte nel
concerto europeo. In conseguenza del tentativo del Guerrazzi, di Montanelli e
di Mazzini, venne indetto nell'ottobre dello stesso anno 1861 un nuovo
congresso ad Asti che fu detto «riparatore» al quale intervennero le società
operaie piemontesi a ristabilire all'unanimità l'intransigenza del loro
patriottismo.
E così
fallirono anche i tentativi per la creazione di associazioni operaie a
carattere repubblicano data la nebulosità della concezione economica mazziniana
dell'«associazionismo». Sorte, le nostre mutue, con la divisa dell'amore
fraterno, della materna assistenza, della tutela degli interessi del lavoro,
della previdenza operaia ed a quelli più alti del patrio risorgimento, non
potevano essere insensibili ai richiami del governo invocante la solidarietà
fra i cittadini. E due anni dopo - 1866 - per le stesse ragioni dichiaravano la
loro solidarietà per la guerra contro l'Austria.
Intanto
l'organizzazione operaia avanzava.
Nel
1885 si contano 800 mila iscritti in 5000 società operaie tutte a carattere
monarchico. I loro soci intervengono alle pubbliche manifestazioni con la
bandiera tricolore in testa portante nel centro lo scudo crociato di Savoia.
Degna di rilievo la famosa Federazione del libro della quale fanno sovente
cenno le cronache del Lavoro, a carattere nazionale, e che non è altro che la
figlia adulta dei primi nuclei nati e cresciuti dopo lo Statuto Albertino.
Forti
dello spirito libertario dello Statuto e l'ansia per la soluzione dei problemi
del lavoro, le nostre società operaie di mutuo soccorso a poco a poco
trasformano il contenuto del loro programma che impostano su nuove formule e
nascono così le Camere del lavoro, emanazioni dirette delle Confederazioni operaie
monarchiche, e si propongono di rendere più agevoli i rapporti tra capitale e
lavoro. Hanno all'inizio un carattere apolitico e tendono soprattutto all'opera
di collocamento ed alla difesa dell'orario e del salario, nonché a rendere più
agevoli i rapporti fra le parti contraenti. Ne fu primo organizzatore e
segretario Angiolo Cabrini che qualcuno di noi ha conosciuto qui a Roma quale
rappresentante del Bureau International du Travail. All'inizio avevano una
impronta di collaborazione di classe, come si legge in una sua relazione del
1890: «si ritiene che le associazioni miste di padroni e operai, laddove ciò
sia opportuno, possono insediarsi nei locali della Camera....».
Più
tardi assunsero il carattere di rivendicazioni operaie, profilandosi così la lotta
di classe vera e propria, cioè la contesa della ripartizione della ricchezza
prodotta nelle fabbriche e nei campi in collaborazione con la classe padronale.
Nasceva così un diritto nuovo, il diritto del lavoro. Ma, corrotte da una
propaganda demagogica da parte dei politicanti, vennero in seguito sopraffatte
dall'odio di classe.
All'alba
dell'unità la Monarchia apriva la valvola di sicurezza che avvierà alla
soluzione della questione sociale ed hanno inizio le agitazioni operaie. Il
problema del lavoro preme alle porte degli opifici e delle conduzioni terriere
per la ripartizione della ricchezza prodotta in comune. Ma la situazione
economica in tutto il paese è grave. L'eredità dei sette stati è spaventosa.
L'unità aveva messo a nudo le condizioni miserande del Mezzogiorno e del
territorio pontificio, eredità che pesò per oltre mezzo secolo sul Regno
d'Italia. Specialmente le condizioni politiche, economiche, sociali e
amministrative della Sicilia erano disastrose. Raccapriccianti le condizioni e
gli orrori del lavoro nelle solfatare, che con sforzo tenace la Monarchia cercò
di eliminare, avendo come oppositori i feudatari latifondisti, mentre la plebe
angariata manifestava i suoi aneliti di libertà e di progresso componendo
cortei é avendo alla testa i ritratti del Re e della Regina. Altrettanto grave
era la decadenza nel napoletano dove non era ancora spento il sistema feudale.
La
situazione si presenta grave ovunque, i mezzi per combattere la miseria sono
pochi ed i governi si succedono alla ricerca di soluzioni efficienti, e
pertanto la Monarchia si dibatte fra nuvole e baleni.
Nullameno
frammezzo a tante difficoltà qualche iniziativa senza dubbio anticipatrice per
la soluzione della questione sociale, apparve come emanazione di vecchi
organismi di vita collettiva, nati e cresciuti per influsso dello Statuto
Albertino e sotto l'egida della monarchia. L'utilità di queste iniziative già
si rivelava durante la costruzione del traforo del Cenisio (Fréius) inaugurato
nel 1871; opera grandiosa nella quale si dovettero superare difficoltà, che
erano sembrate insormontabili, col contributo di una stretta collaborazione fra
le maestranze operaie e le imprese costruttrici nonché coi tre promotori ed
esecutori di così meravigliosa opera, Sommeiller, Grattoni e Grandis, usciti
dal seno della schiera operaia che si prodigò in sacrifici, affrontando disagi
e pericoli superiori al comune, ed ottenendo con l'emulazione la perfezione di
un'opera d'arte. E la pratica del lavoro fu così maestra da mettere in evidenza
gravi difetti nella legislazione allora vigente, rivelando nella loro crudezza
le condizioni della classe operaia ancora immersa in una lunga odissea di
dolori. Furono così le società operaie che, ispirate, guidate dall'Associazione
Generale di Torino, suonarono le loro campane a stormo al fine di ottenere una
legge protettrice.
Nel
maggio del 1891 Leone XIII lanciava al mondo attonito la famosa enciclica Rerum
Novarum nella quale, dopo aver deprecato l'assenteismo dello Stato liberale e
basandosi sopra rievocazioni evangeliche, a queste si appella per reclamare la
libertà di organizzazione, ma non vuole constatare che di queste libertà già ne
fruivano gli organismi associativi compresi quelli cattolici e questo in forza
dello Statuto Albertino.
Ma
l'Enciclica, se pure ispirata da Leone XIII, non fu opera sua. Leone XIII fu
uomo di grande talento, scienziato e latinista di fama mondiale, ma non ebbe
alcuna cognizione delle dottrine economiche e sociali. L'enciclica venne
compilata da un gruppo di studiosi: il gesuita padre Liberatore, il card.
Zigliara, i monsignori Volpini, Mazzella e Boccati. Forse con l'intervento del
Toniolo. Croce la definì «la famigerata enciclica vacua di pensiero politico,
la quale adulatamente fu chiamata la carta cristiana dei lavoratori». Vuota dí
contenuto proprio no: la verità è che in essa non vi ha nulla di nuovo, nulla
di originale. I compilatori di essa volendo dare al loro documento una parvenza
di originalità rivendicavano il diritto e la libertà di associazione (negato in
Francia dalla legge Le Chapellier con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo)
ed accennando con duro linguaggio le tristi condizioni dei lavoratori ne davano
la colpa al sistema economico instaurato dai regimi liberali. E' vero invece
proprio il contrario. Non si può nemmeno discutere il fatto che nulla avrebbe
potuto fare la Chiesa senza la carta albertina - pure tanto combattuta e
criticata dalla Curia romana - poiché da questa traeva la forza della libertà
di organizzazione, mentre dalle società operaie tutte a carattere monarchico
apprendeva i concetti della mutualità e della cooperazione sempre ostacolati
dal Vaticano in modo particolare durante i pontificati di Gregorio XVI e di Pio
IX. Fu proprio con l'economia liberale che il territorio dello Stato Pontificio
uscì dall'arretratezza e dalle tristi condizioni dì estrema miseria nella quale
era caduto dopo i secoli di potere temporale. Nel Lazio, martoriato dalla
malaria, vigeva il regime del latifondo, terra incolta, perché protetto dalla
Curia e imperavano salari di fame. Esempio: le trecciaiole pagate 20 centesimi
al giorno per 12 ore di lavoro.
Ad
onor del vero - e qui vi è un'altra contraddizione
nella
quale sono caduti i compilatori dell'Enciclica - in essa è ammessa l'esistenza
delle « Società di mutuo soccorso, le
molteplici
assicurazioni private, destinate a provvedere all'o¬peraio, alla vedova, ai
figli orfani nei casi d'improvvisi in¬fortuni, d'infermità, o di altro umano
accidente; i patronati per i fanciulli d'ambo i sessi, per la gioventù e per
gli adul¬ti ». I compilatori dell'Enciclica della quale ho riportato il breve
periodo, non vollero però dichiarare chiaramente che queste provvidenze da loro
riconosciute, nacquero sotto l'e¬gida della monarchia.
Caratteristica
principale, (della quale è pervaso tutto il documento leoniano), è l'avversione
ad ogni soluzione socia¬lista perché dannosa agli operai. Fautrice della
proprietà pri¬vata, l'Enciclica cade in contraddizione nel marcato accenno in
favore dell'intervenzionismo statale (nazionalizzazione), che è la
caratteristica delle comunità socialiste e comuniste, intervenzionismo
pericoloso per l'integrità della proprietà che pertanto l'Enciclica afferma di
voler favorire e proteggere.
All'attento
studioso dei fenomeni sociali non sfugge il merito grande di queste società
operaie derivate dallo Sta¬tuto Albertino, le quali hanno preparato non solo
l'atmosfera per la soluzione di più. vasti problemi, ma hanno per prime saputo
vincere la riluttanza dell'operaio ad assoggettarsi alla disciplina, chiamiamola
così, societaria.
* * *
Nel
1890 molte di esse sono già raggruppate in Confedera¬zioni ed è proprio da
queste che emanano le Camere del la¬voro. Ma soprattutto esse furono le
avanguardie di quelle provvidenze che assumeranno nel futuro una gigantesca
im¬portanza.
Vediamo
come.
Nel
maggio 1891, come abbiamo visto, esce l'Enciclica Rerum Novarum.
Ebbene,
tutti i postulati sui quali si basano i programmi delle due parti politiche,
già erano in atto in Italia per merito delle società operaie a carattere monarchico
da almeno 10-20 anni ed alcune da trent'anni. Inutile dunque l'invocazione
contenuta nell'Enciclica tendente a reclamare, com'è detto in essa, con
intonazione di protesta, «il riconoscimento del diritto dei lavoratori ad
associarsi per la difesa dei diritti e la protezione degli interessi minacciati
dai ceti economici più potenti»; inutile poiché questo diritto dei lavoratori
ad associarsi in difesa dei propri interessi, è implicito nello Statuto
Albertino.
Infatti.
Ho qui
le Memorie dell'Associazione Generale degli operai di Torino, dal 1850 a tutto
il 1882. La pubblicazione segna la data del 1884. Essa riporta i bilanci delle
varie organizzazioni operaie, di quasi un decennio prima dell'Enciclica Rerum
Novarum e del Congresso socialista di Genova.
Da
queste pubblicazioni possiamo rilevare i bilanci delle seguenti iniziative già
operanti:
• Cassa di riserva per le pensioni agli
inabili al lavoro per vecchiezza o malattie croniche;
• Cassa Particolare Mutua per le pensioni
dí vecchiaia;
• Monte sepolture per accompagnare i soci
all'ultima dimora;
• Cassa particolare mutua per le pensioni
ai vecchi ed agli inabili al lavoro;
• Cassa delle vedove e degli orfani;
• Oneri funerari;
• Biblioteca;
• Compagnia tiratori al bersaglio;
• Sezione Previdenza: Magazzini
alimentari, i quali erano autorizzati a battere moneta propria;
• Banca Cooperativa operaia approvata con
decreto 5 . maggio 1883;
• Cassa di risparmio.
Va
rilevata l'assidua campagna spiegata dalle società di mutuo soccorso, al fine
di ottenere una legislazione in difesa del lavoro delle donne e dei fanciulli,
propaganda che ebbe lieto risultato con la legge che enumeriamo fra le altre
seguenti:
Nel
1891-92 al comparire della Rerum Novarum ed al Congresso socialista di Genova,
per. l'opera tenace e lungimirante delle società operaie monarchiche erano già
state approvate le seguenti leggi:
. Nel
1851 - legge n. 1192: Abolizione delle prestazioni feudali e decime.
Nel
1859 - legge n. 3595: Cassa di rendite vitalizie per la vecchiaia.
Nel
1859 - legge n. 3725: Legge Casati sull'istruzione pubblica.
Nel
1859 - legge n. 3755: Sicurezza dei lavoratori nelle miniere.
Nel
1873 - legge n. 1733: Divieto dell'impiego di fanciulli in professioni girovaghe.
Nel
1877 - legge n. 3961: legge Coppino sull'istruzione elementare obbligatoria.
Nel
1881 - legge n. 134: Casse pensioni per impiegati statali.
Nel
1882 - legge n. 593: Riforma elettorale che estende il suffragio.
Nel
1886 - legge n. 3657: Divieto del lavoro dei fanciulli negli opifici e nelle
miniere.
* * *
Ho
voluto enumerare le leggi a protezione del lavoro e dell'istruzione pubblica
emanate prima della Rerum Novarum e della fondazione del Partito Socialista,
perché nei proclami e nei loro programmi, pare che l'impulso alla civiltà ed al
progresso derivante dalla soluzione dei problemi del lavoro organizzato e dalle
provvidenze sociali abbia avuto inizio con la loro apparizione nella vita
pubblica italiana. Credo di aver dimostrato che le tante decantate richieste,
sia da parte cattolica che da parte socialista, erano già in atto per
iniziativa delle nostre società operaie, alcune da almeno 30-40 anni.
Non
voglio chiudere queste mie rievocazioni, senza rilevare che le iniziative delle
mutue monarchiche servirono ancora di guida a leggi successive:
-
L'Assicurazione infortuni sul lavoro, assurta oggi a grande importanza,
annunciata da Re Umberto I nel discorso della Corona del 1898 e concretata in
una legge l'anno seguente.
La
legge sulla Cassa Nazionale di Previdenza per la invalidità e vecchiaia, ora in
clamoroso se pure discusso sviluppo, porta la data del 17 luglio 1898 e la
firma di Re Umberto I.
Si
susseguono ancora all'inizio del secolo altre riforme di grande importanza
sociale. Artefice di tanta sollecitudine, la Monarchia, il governo dei poveri.
Carlo
Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I, Vittorio Emanuele III, tutti oramai
avvolti nella tristezza di una tragedia che ogni giorno sempre più si innalza e
si affina, e che il destino ha collocato nel cielo conteso della Gloria
sempiterna.
MARIO
VIANA
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