NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 25 aprile 2021

Capitolo XXIII: Carnera e la rivincita contro Maloney.

 


 di Emilio Del Bel Belluz

 

Primo s’imbarcò nuovamente per raggiungere l’America. Il viaggio in mare era durato molto più del previsto. A New York era aspettato per degli incontri che erano stati pianificati dagli organizzatori americani che avevano firmato dei contratti con Léon Sée. Al molo lo accolsero in molti, i giornali avevano dato la notizia del ritorno di primo Carnera, il gigante italiano. Alla banchina lo presero subito in ostaggio dei giornalisti sportivi, che lo tempestarono di domande. L’argomento principale era quello relativo al suo prossimo incontro con l’uomo che lo aveva sconfitto: Maloney. Gli porsero alcune domande piuttosto impertinenti. Gli domandarono, perfino, se non fosse stato meglio che rimanesse a combattere in Europa, dove gli sarebbe stata più facile la vita pugilistica. A queste domande aveva risposto con un sorriso, non voleva dare alcuna spiegazione, il futuro passava attraverso questo suo match con Maloney e sapeva che non avrebbe perso. Aveva scommesso anche con sua mamma che avrebbe dato filo da torcere al suo avversario e voleva la rivincita al più presto. Nei primi giorni di permanenza in America, riprese la via della palestra, e nelle pause pranzo andava a mangiare nella trattoria del suo amico napoletano, e si sentiva come a casa sua. Quando era ritornato lo avevano festeggiato, e si accorse che nel ristorante avevano appeso delle nuove foto che lo ritraevano durante il combattimento con Paulino Uzcudum, e ne fu felice. La figlia del padrone gli fece avere degli articoli di giornale che erano usciti in quei mesi che parlavano di lui, li aveva ritagliati come faceva sempre. Le piaceva essere utile al campione. In quei mesi al ristorante erano venute alcune persone, che volevano sapere le abitudini di Primo, e chiedevano spesso di mangiare allo stesso tavolo. Il ristoratore era felice, e sentiva nelle sue vene scorrere il sangue italiano. Si era convinto che avrebbe lavorato ancora qualche anno e poi sarebbe ritornato in Italia, perché la nostalgia per il suo paese era come un vulcano che eruttava sempre, e non la si poteva controllare. Parlò di questo anche con Carnera, che poté solo approvare. I giorni che seguirono furono duri, intensi, e non c’era tempo per pensare che all’allenamento. Carnera non mancava mai alla messa della domenica, e gli sembrava di essere al suo paese. Sua mamma sarebbe stata felice se lo avesse visto mentre pregava davanti alla Madonna. Ogni persona nella vita cerca qualcosa di trascendente in cui credere e Carnera l’aveva trovata nella fede in Dio. Nei giorni successivi incorse in un brutto infortunio, riportando una costola lussata e la guarigione sarebbe stata lunga. Ma lui, dopo una settimana, il 5 marzo 1931 avrebbe dovuto disputare il match di rivincita contro Maloney. La preparazione era stata molto accurata, ma i dolori per la costola lussata si facevano sentire. Fu interpellato un medico che disse che era meglio rinviare il match, la costola aveva bisogno di riposo assoluto, altrimenti le cose sarebbero peggiorate. Il suo manager e l’allenatore Paul Journée chiesero un rinvio agli organizzatori, ma questo risultò impossibile ottenerlo. La macchina organizzativa si era messa in moto, e si erano investiti molti soldi, il rinvio era impossibile. Carnera come sempre non si disperò, la sua rabbia aumentava sempre più e il suo coraggio non venne meno. Il combattimento si svolse il 5 marzo 1931 all’arena Southern Madison Square Garden di Boston. Quella sera erano presenti almeno ventimila persone, ma gli organizzatori ne aspettavano molte di più. I giornalisti presenti a bordo ring erano decine, il fumo nella sala sembrava una nebbia; nelle prime poltrone c’erano degli esperti della box e uomini facoltosi che avevano pagato molti soldi. Carnera al suo ingresso fu accolto da tanti applausi e dalle grida del pubblico. Aveva con sé la sua bandiera sabauda che faceva sventolare, molti italo-americani gridarono il suo nome, e alzarono i vessilli con lo stemma sabaudo. Carnera si spogliò e si vide una grande fasciatura, ma il suo volto era sorridente come sempre. Il suo avversario non fu salutato con lo stesso affetto, questa volta non era a casa sua. Alle operazioni di peso che si erano effettuate a mezzogiorno Primo Carnera pesava 274 libbre e Maloney 199. Durante il match le sue fasciature attorno al torace si allentarono come era prevedibile, l’avversario sapeva quale fosse il suo punto debole e ogni tanto, quando gli riusciva, colpiva in modo scorretto. “Le prime riprese dell’accanito combattimento furono in vantaggio dell’americano che danzando intorno al suo grosso avversario riuscì replicatamente a toccare con secchi “jabs” evitando la reazione di Carnera. Il gigante non si scoraggiò e continuò a perseguire l’agilissimo avversario tentando di chiudere la distanza e poter piazzare i suoi potenti colpi. Durante il secondo round Maloney andò al tappeto essendo scivolato ed altrettanto capitò a Carnera nella quarta ripresa; ma gli incidenti non ebbero conseguenza alcuna, come fu senza conseguenza un colpo che arrivò sotto la cintura di Carnera durante l’ottavo tempo. “Primo”, che sostenne senza dar segni di stanchezza le dieci movimentate riprese, piazzò il suo sforzo massimo negli ultimi tre tempi e cercò con accanimento di abbattere l’avversario, ma per quanto riuscisse ad aggiudicarsi queste tre riprese convincendo così i giudici che gli assegnarono la vittoria, non pervenne mai a scuotere seriamente il bostoniano. Un momento che sembrò decisivo si ebbe nell’ottavo round quando il gigante riuscì a chiudere alle corde l’agile avversario ed a colpirlo con una serie di colpi, ma nessuno di essi arrivò con quella precisione necessaria per troncare le gambe all’abile Maloney. Forse se Carnera avesse attaccato a fondo quando ancora era fresco, avrebbe potuto conquistare una vittoria prima del limite, ma la mobilità e la scaltra tattica del “vecchio fanciullo di Boston”, gli impedirono di sviluppare la potenza delle lunghe leve prima dell’ottava ripresa” (La Gazzetta dello Sport). Carnera era felice, aveva avuto la sua rivincita contro l’avversario che gli aveva rovinato la sua ascesa al titolo dei massimi. Il campione fu festeggiato dagli italiani che erano venuti a vederlo e che avevano scommesso su di lui. Gli sarebbe piaciuto festeggiare questa vittoria con una presenza femminile, quella sera durante il combattimento ne aveva viste di belle ragazze e si era accorto di come lo guardavano. Ma si accontentò di bere qualche bicchiere di vino al ristorante, assieme ai suoi tifosi e al suo manager che pensava già di prendere accordi per il prossimo match. Quella sera Carnera fece la conoscenza di un pugile che aveva visto sulla copertina del giornale di boxe “The Ring “: si trattava di Jonny Grosso. Costui aveva radici italiane, combatteva in America con alterna fortuna, ma era considerato un ottimo peso massimo. Grosso era fiducioso che Carnera presto sarebbe stato il campione del mondo, talmente certo che gli chiese se poteva incontrarlo nella sua prima difesa del titolo, magari in Italia. Carnera con il suo volto sorridente annuì. Quella sera, parlando con Grosso gli chiese cosa ne pensasse di Sharkey, un pugile che avrebbe di sicuro incontrato nei prossimi mesi, almeno così si diceva. Grosso si era allenato con lui e dandogli una pacca sulla spalla di Primo gli disse che lui non avrebbe avuto seri problemi e che lo avrebbe battuto. Grosso confidò che aveva molta nostalgia dell’Italia, la patria che aveva nel cuore e che seguiva quello che stava facendo Mussolini in quel periodo, e gli sarebbe piaciuto vederlo. La famiglia di Mussolini era molto legata a Carnera e amava il pugilato. Grosso non aveva avuto molta fortuna nella vita, si arrangiava con piccoli lavori per vivere, ma sperava che il futuro gli serbasse ancora dei giorni fortunati. Quell’anno aveva combattuto una sola volta e aveva perduto il match. Ora confidava di rifarsi, gli avevano proposto un secondo combattimento che sperava di vincere. Boxava per guadagnare la sua borsa, con quei soldi manteneva la famiglia. Carnera lo confortò, dicendogli che si sarebbero di sicuro rivisti, magari al combattimento più importante. Grosso lo salutò con una pacca sulla spalla. Primo quella sera mangiò di buon gusto una grande bistecca al sangue, la costola gli faceva male, perché durante il match era stata duramente colpita. Il 15 giugno 1931 otteneva una facile vittoria contro Pat Redmond alla prima ripresa e il suo periodo positivo continuava. Nello stesso tempo scrisse alcune lettere alla mamma, sapeva che non stava tanto bene ed era preoccupato, il suo cuore era con lei. Spesso in quei momenti di apprensione andava al porto, per vedere la navi che salpavano e avrebbe voluto partire anche lui per l’Italia. Al porto era molto conosciuto. Talvolta si recava a trovare un suo amico pugile che aveva conosciuto in America. Si era ritirato da qualche anno e conduceva una vita tranquilla. Aveva sposato una donna americana che gli aveva dato tre tigrotti, come li chiamava lui. I piccoli erano sempre con il padre che giocavano e Carnera amava questa famiglia, gli faceva ricordare la propria. Ogni tanto mangiava da loro e non gli facevano mancare la polenta e qualche bicchiere di vino buono. Con il vecchio pugile, a volte, andavano al porto per osservare il mare e l’andirivieni della gente. Carnera non passava inosservato, con quei muscoli possenti che avrebbero sollevato il mondo. La vita di Primo in quei mesi era contraddistinta dai duri allenamenti, sotto la guida di Paul Journée che non lo lasciava mai. La boxe alla fine era il suo lavoro. Nei mesi che seguirono sostenne alcuni incontri. “Prima tappa a Buffalo dove Torriani, un pugile italiano da molto tempo in America, si presenta per dar la replica a Carnera. Non può però resistere più di due riprese, era il 26 giugno. Da Buffalo a Toronto il 1 luglio, dove il non più giovane Bud Gorman è facilmente messo Ko in due round. Il 24 luglio Carnera è a Rochester, dove lo affronta un pugile europeo che godeva di una certa fame nel vecchio continente : Knute Hansen. Dal forte nordico si attende una resistenza ad oltranza, invece dopo due soli minuti il match finisce con la vittoria dell’italiano per Ko. La rapida corsa continua ed ai primi di agosto Carnera è ingaggiato prima a Newark poi a Wellington per combattere contro due suoi connazionali : Roberto Roberti e De Carolis. Tanto il fiorentino quanto il pugilatore di Norcia, non possono però far molto di più dei loro colleghi americani incontrati dal gigante in questo scorcio di tempo. Roberti dopo una coraggiosa difesa, provoca l’intervento dell’arbitro che arresta il combattimento prima che finisca la terza ripresa e il norcino rimane al tappeto per il conto totale durante il secondo tempo”. Carnera era felice d’aver battuto gli ultimi avversari, gli dispiaceva solo che due fossero italiani e di averli maltrattati sul ring , in una terra lontana dalla patria. Uno di loro era Armando De Carolis, da anni viveva in America, però gli mancava la sua amata e soleggiata Italia. Dopo il combattimento si era trovato con lui, avevano passato la serata assieme, si era parlato della possibilità per Carnera di affrontare il tedesco Max Schmeling per il titolo mondiale, ma erano solo ipotesi, perché nessuno conosceva il futuro di Primo. Armando De Carolis era una persona simpatica, e gli aveva consigliato di avere pazienza, aveva già fatto molto, e questa sua fama si era talmente diffusa in America che i manager per organizzare un match cercavano spesso degli italiani. In questo stato ve ne erano alcuni, e lo sfidarli comportava una maggiore presenza di pubblico e, quindi, delle borse più sostanziose. Quando trovava un connazionale Primo era felice di intrattenersi a parlare con lui della loro cara patria.

 

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