di Emilio Del Bel Belluz
Primo s’imbarcò nuovamente per raggiungere l’America. Il viaggio in mare
era durato molto più del previsto. A New York era aspettato per degli incontri
che erano stati pianificati dagli organizzatori americani che avevano firmato
dei contratti con Léon Sée. Al molo lo accolsero in molti, i giornali avevano
dato la notizia del ritorno di primo Carnera, il gigante italiano. Alla
banchina lo presero subito in ostaggio dei giornalisti sportivi, che lo
tempestarono di domande. L’argomento principale era quello relativo al suo
prossimo incontro con l’uomo che lo aveva sconfitto: Maloney. Gli porsero
alcune domande piuttosto impertinenti. Gli domandarono, perfino, se non fosse
stato meglio che rimanesse a combattere in Europa, dove gli sarebbe stata più
facile la vita pugilistica. A queste domande aveva risposto con un sorriso, non
voleva dare alcuna spiegazione, il futuro passava attraverso questo suo match
con Maloney e sapeva che non avrebbe perso. Aveva scommesso anche con sua mamma
che avrebbe dato filo da torcere al suo avversario e voleva la rivincita al più
presto. Nei primi giorni di permanenza in America, riprese la via della
palestra, e nelle pause pranzo andava a mangiare nella trattoria del suo amico
napoletano, e si sentiva come a casa sua. Quando era ritornato lo avevano
festeggiato, e si accorse che nel ristorante avevano appeso delle nuove foto
che lo ritraevano durante il combattimento con Paulino Uzcudum, e ne fu felice.
La figlia del padrone gli fece avere degli articoli di giornale che erano usciti
in quei mesi che parlavano di lui, li aveva ritagliati come faceva sempre. Le
piaceva essere utile al campione. In quei mesi al ristorante erano venute
alcune persone, che volevano sapere le abitudini di Primo, e chiedevano spesso
di mangiare allo stesso tavolo. Il ristoratore era felice, e sentiva nelle sue
vene scorrere il sangue italiano. Si era convinto che avrebbe lavorato ancora
qualche anno e poi sarebbe ritornato in Italia, perché la nostalgia per il suo
paese era come un vulcano che eruttava sempre, e non la si poteva controllare.
Parlò di questo anche con Carnera, che poté solo approvare. I giorni che
seguirono furono duri, intensi, e non c’era tempo per pensare che
all’allenamento. Carnera non mancava mai alla messa della domenica, e gli sembrava
di essere al suo paese. Sua mamma sarebbe stata felice se lo avesse visto
mentre pregava davanti alla Madonna. Ogni persona nella vita cerca qualcosa di
trascendente in cui credere e Carnera l’aveva trovata nella fede in Dio. Nei
giorni successivi incorse in un brutto infortunio, riportando una costola
lussata e la guarigione sarebbe stata lunga. Ma lui, dopo una settimana, il 5
marzo 1931 avrebbe dovuto disputare il match di rivincita contro Maloney. La
preparazione era stata molto accurata, ma i dolori per la costola lussata si
facevano sentire. Fu interpellato un medico che disse che era meglio rinviare
il match, la costola aveva bisogno di riposo assoluto, altrimenti le cose
sarebbero peggiorate. Il suo manager e l’allenatore Paul Journée chiesero un
rinvio agli organizzatori, ma questo risultò impossibile ottenerlo. La macchina
organizzativa si era messa in moto, e si erano investiti molti soldi, il rinvio
era impossibile. Carnera come sempre non si disperò, la sua rabbia aumentava
sempre più e il suo coraggio non venne meno. Il combattimento si svolse il 5
marzo 1931 all’arena Southern Madison Square Garden di Boston. Quella sera
erano presenti almeno ventimila persone, ma gli organizzatori ne aspettavano
molte di più. I giornalisti presenti a bordo ring erano decine, il fumo nella
sala sembrava una nebbia; nelle prime poltrone c’erano degli esperti della box
e uomini facoltosi che avevano pagato molti soldi. Carnera al suo ingresso fu
accolto da tanti applausi e dalle grida del pubblico. Aveva con sé la sua
bandiera sabauda che faceva sventolare, molti italo-americani gridarono il suo
nome, e alzarono i vessilli con lo stemma sabaudo. Carnera si spogliò e si vide
una grande fasciatura, ma il suo volto era sorridente come sempre. Il suo
avversario non fu salutato con lo stesso affetto, questa volta non era a casa
sua. Alle operazioni di peso che si erano effettuate a mezzogiorno Primo
Carnera pesava 274 libbre e Maloney 199. Durante il match le sue fasciature
attorno al torace si allentarono come era prevedibile, l’avversario sapeva
quale fosse il suo punto debole e ogni tanto, quando gli riusciva, colpiva in
modo scorretto. “Le prime riprese dell’accanito combattimento furono in
vantaggio dell’americano che danzando intorno al suo grosso avversario riuscì
replicatamente a toccare con secchi “jabs” evitando la reazione di Carnera. Il
gigante non si scoraggiò e continuò a perseguire l’agilissimo avversario
tentando di chiudere la distanza e poter piazzare i suoi potenti colpi. Durante
il secondo round Maloney andò al tappeto essendo scivolato ed altrettanto
capitò a Carnera nella quarta ripresa; ma gli incidenti non ebbero conseguenza
alcuna, come fu senza conseguenza un colpo che arrivò sotto la cintura di
Carnera durante l’ottavo tempo. “Primo”, che sostenne senza dar segni di
stanchezza le dieci movimentate riprese, piazzò il suo sforzo massimo negli
ultimi tre tempi e cercò con accanimento di abbattere l’avversario, ma per
quanto riuscisse ad aggiudicarsi queste tre riprese convincendo così i giudici
che gli assegnarono la vittoria, non pervenne mai a scuotere seriamente il
bostoniano. Un momento che sembrò decisivo si ebbe nell’ottavo round quando il
gigante riuscì a chiudere alle corde l’agile avversario ed a colpirlo con una
serie di colpi, ma nessuno di essi arrivò con quella precisione necessaria per
troncare le gambe all’abile Maloney. Forse se Carnera avesse attaccato a fondo
quando ancora era fresco, avrebbe potuto conquistare una vittoria prima del
limite, ma la mobilità e la scaltra tattica del “vecchio fanciullo di Boston”,
gli impedirono di sviluppare la potenza delle lunghe leve prima dell’ottava
ripresa” (La Gazzetta dello Sport). Carnera era felice, aveva avuto la sua
rivincita contro l’avversario che gli aveva rovinato la sua ascesa al titolo
dei massimi. Il campione fu festeggiato dagli italiani che erano venuti a
vederlo e che avevano scommesso su di lui. Gli sarebbe piaciuto festeggiare
questa vittoria con una presenza femminile, quella sera durante il
combattimento ne aveva viste di belle ragazze e si era accorto di come lo
guardavano. Ma si accontentò di bere qualche bicchiere di vino al ristorante,
assieme ai suoi tifosi e al suo manager che pensava già di prendere accordi per
il prossimo match. Quella sera Carnera fece la conoscenza di un pugile che
aveva visto sulla copertina del giornale di boxe “The Ring “: si trattava di Jonny
Grosso. Costui aveva radici italiane, combatteva in America con alterna
fortuna, ma era considerato un ottimo peso massimo. Grosso era fiducioso che
Carnera presto sarebbe stato il campione del mondo, talmente certo che gli
chiese se poteva incontrarlo nella sua prima difesa del titolo, magari in
Italia. Carnera con il suo volto sorridente annuì. Quella sera, parlando con
Grosso gli chiese cosa ne pensasse di Sharkey, un pugile che avrebbe di sicuro
incontrato nei prossimi mesi, almeno così si diceva. Grosso si era allenato con
lui e dandogli una pacca sulla spalla di Primo gli disse che lui non avrebbe
avuto seri problemi e che lo avrebbe battuto. Grosso confidò che aveva molta
nostalgia dell’Italia, la patria che aveva nel cuore e che seguiva quello che
stava facendo Mussolini in quel periodo, e gli sarebbe piaciuto vederlo. La
famiglia di Mussolini era molto legata a Carnera e amava il pugilato. Grosso
non aveva avuto molta fortuna nella vita, si arrangiava con piccoli lavori per
vivere, ma sperava che il futuro gli serbasse ancora dei giorni fortunati.
Quell’anno aveva combattuto una sola volta e aveva perduto il match. Ora
confidava di rifarsi, gli avevano proposto un secondo combattimento che sperava
di vincere. Boxava per guadagnare la sua borsa, con quei soldi manteneva la
famiglia. Carnera lo confortò, dicendogli che si sarebbero di sicuro rivisti,
magari al combattimento più importante. Grosso lo salutò con una pacca sulla
spalla. Primo quella sera mangiò di buon gusto una grande bistecca al sangue,
la costola gli faceva male, perché durante il match era stata duramente
colpita. Il 15 giugno 1931 otteneva una facile vittoria contro Pat Redmond alla
prima ripresa e il suo periodo positivo continuava. Nello stesso tempo scrisse
alcune lettere alla mamma, sapeva che non stava tanto bene ed era preoccupato,
il suo cuore era con lei. Spesso in quei momenti di apprensione andava al
porto, per vedere la navi che salpavano e avrebbe voluto partire anche lui per
l’Italia. Al porto era molto conosciuto. Talvolta si recava a trovare un suo
amico pugile che aveva conosciuto in America. Si era ritirato da qualche anno e
conduceva una vita tranquilla. Aveva sposato una donna americana che gli aveva
dato tre tigrotti, come li chiamava lui. I piccoli erano sempre con il padre
che giocavano e Carnera amava questa famiglia, gli faceva ricordare la propria.
Ogni tanto mangiava da loro e non gli facevano mancare la polenta e qualche
bicchiere di vino buono. Con il vecchio pugile, a volte, andavano al porto per
osservare il mare e l’andirivieni della gente. Carnera non passava inosservato,
con quei muscoli possenti che avrebbero sollevato il mondo. La vita di Primo in
quei mesi era contraddistinta dai duri allenamenti, sotto la guida di Paul
Journée che non lo lasciava mai. La boxe alla fine era il suo lavoro. Nei mesi
che seguirono sostenne alcuni incontri. “Prima tappa a Buffalo dove Torriani,
un pugile italiano da molto tempo in America, si presenta per dar la replica a
Carnera. Non può però resistere più di due riprese, era il 26 giugno. Da
Buffalo a Toronto il 1 luglio, dove il non più giovane Bud Gorman è facilmente
messo Ko in due round. Il 24 luglio Carnera è a Rochester, dove lo affronta un
pugile europeo che godeva di una certa fame nel vecchio continente : Knute
Hansen. Dal forte nordico si attende una resistenza ad oltranza, invece dopo
due soli minuti il match finisce con la vittoria dell’italiano per Ko. La
rapida corsa continua ed ai primi di agosto Carnera è ingaggiato prima a Newark
poi a Wellington per combattere contro due suoi connazionali : Roberto Roberti
e De Carolis. Tanto il fiorentino quanto il pugilatore di Norcia, non possono
però far molto di più dei loro colleghi americani incontrati dal gigante in
questo scorcio di tempo. Roberti dopo una coraggiosa difesa, provoca
l’intervento dell’arbitro che arresta il combattimento prima che finisca la
terza ripresa e il norcino rimane al tappeto per il conto totale durante il
secondo tempo”. Carnera era felice d’aver battuto gli ultimi avversari, gli
dispiaceva solo che due fossero italiani e di averli maltrattati sul ring , in
una terra lontana dalla patria. Uno di loro era Armando De Carolis, da anni
viveva in America, però gli mancava la sua amata e soleggiata Italia. Dopo il
combattimento si era trovato con lui, avevano passato la serata assieme, si era
parlato della possibilità per Carnera di affrontare il tedesco Max Schmeling
per il titolo mondiale, ma erano solo ipotesi, perché nessuno conosceva il
futuro di Primo. Armando De Carolis era una persona simpatica, e gli aveva
consigliato di avere pazienza, aveva già fatto molto, e questa sua fama si era
talmente diffusa in America che i manager per organizzare un match cercavano
spesso degli italiani. In questo stato ve ne erano alcuni, e lo sfidarli
comportava una maggiore presenza di pubblico e, quindi, delle borse più
sostanziose. Quando trovava un connazionale Primo era felice di intrattenersi a
parlare con lui della loro cara patria.
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