Io sono un uomo che preferisce perdere
piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo
so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpe, di considerarla quasi una virtù. ”( Pier
Paolo Pasolini )
La figura di Salvator
Gotta, scrittore di grande forza, non è molto conosciuta. Questo non sono mai
riuscito a capirlo. Una volta ero povero, non avevo la possibilità d’acquistare
dei libri, ma ho avuto la fortuna che la mia maestra nell’ultima parte della
giornata, prima che suonasse la campanella, donasse agli studenti un attimo di
serenità, leggendoci dei libri, tra cui Il Piccolo Alpino di Salvator Gotta.
In
classe regnava un silenzio, dove anche le mosche si fermavano, e ognuno di noi
si sentiva un piccolo e valoroso alpino. Quando finiva la lezione, correvo a
casa a raccontare a mio padre quella parte di storia letta a scuola, e mi
piaceva farlo partecipe, lui che aveva indossato l’importante cappello da
alpino. Un giorno vidi una edizione del Piccolo Alpino, dedicata a Sua Maestà
Re Umberto II, dono gradito fatto al sovrano in esilio, da parte di uno
scrittore monarchico. Quella dedica diceva: “O Pequeno Alpino.
A S.M. Umberto II Re D’Italia. Il piccolo
Alpino viene a trovarlo, in lingua portoghese”. Un grande giornalista, Alberto
Cavallari, trovandosi nella casa di Salvator Gotta delinea un ritratto dello
scrittore : “In un cassettone la fotografia del figlio che partecipò in Russia all’ultima carica del Savoia
Cavalleria… E questo ricordo, anche se recente, fa diventare più vero il
paragone tra “ I Vela “e “ Via col Vento”. Persino la vita di Gotta è stata
toccata da vicino dall’eco di quegli squadroni della cavalleria che tanto gli è
piaciuto descrivere nei “ Vela”: e che sono in un certo senso, il pendant della
polvere delle cariche del generale Custer.
Gotta conserva l’insegna rossa del
figlio, che gli è miracolosamente tornato da quest’ultima battaglia romantica. Accanto
c’è una fotografia di Umberto con dedica. Il cronista ha molte possibilità di
convincersi che il “ vecchio Piemonte “,
nel mondo di Gottta, è un po’ simmetrico al “ vecchio sud “ di Margaret
Mitchelle e dei romanzi –fiume americani : un paradiso perduto romantico e
quasi ideologico “. (Corriere
d’Informazione dell’ 11-12 gennaio 1958 ). Vorrei ricordare qualcosa sulla vita di Gotta e pertanto
ricordo la presentazione al libro Due vite sul mare, un romanzo per ragazzi,
che fa ben comprendere cosa sia la vita, e proietta in un mondo che ora non è
più possibile ritrovare. Narra la storia
di un giovane che parte da Portofino per fare il mozzo a bordo di una nave,
viaggiando in tutto il mondo. Il giovane lascia la sua amata che dopo
travagliate vicende sposerà.
Quando
immagino il mare, mi piace pensare ai grandi scrittori che l’hanno descritto,
con pagine dense di malinconia. Salvator
Gotta nacque a Montalto Dora nel 1887.
Studiò per conseguire la laurea in legge all’Università di Torino. Non
intraprese l’attività forense, ma scelse il mondo del giornalismo e della
letteratura che divenne il centro dei suoi interessi e in questo assomigliò al
cugino Cesare Pavese, pure lui dopo la laurea in lettere si inoltrò nel mondo
della letteratura che però non gli
bastò. Il fascismo deve a Salvator Gotta
un grande riconoscimento, infatti, è stato l’autore dell’inno per l’Italia ,
Giovinezza. Un inno che anche dopo la guerra, molti vecchi e giovani
canticchiavano anche a chi avrebbe voluto sopprimere ogni cosa che ricordasse
il fascismo. Non si può temere il passato, l’acqua non ritorna a scorrere sotto
lo stesso ponte, ma quando defluiva, irrigando i campi, li ha fatto
fruttificare. Salvator Gotta scrive : “ Nel 1925 Blanc venne a trovarmi a Ivrea
e a pregarmi di fare dei nuovi versi per
l’Inno poiché così voleva il Direttorio Nazionale del Partito. Ed io li scrissi
e n’ebbi – una volta tanto - il compenso di cinquecento lire. Sarebbe stato
questo un titolo più che sufficiente per farmi fucilare quando finì la guerra,
nel 1945. Ma probabilmente il mio peccato non fù giudicato così grave da chi
comandava in quei tragici giorni . Per conto mio, non mi sono mai pentito né
sento che mi pentirò mai di aver fatto cantare per vent’anni i ragazzi
d’Italia: Giovinezza, giovinezza, Primavera di
bellezza”. Questo inno non finirà
mai di commuovere chi umilmente lo ascolta, per capire il passato. Quello che
accadde, dalla la fine della guerra in poi, a Salvator Gotta e ad altri
scrittori italiani fu il dimenticatoio.
Il sistema è sempre quello, per gli uomini che vogliono essere
indipendenti dalla cultura dominante, la cultura di sinistra. L’esclusione
dalla cultura dominante, dovrebbe essere come una medaglia da appuntarsi al
petto. “Alberto Cavallari scrive : ha
scritto, in quarantadue anni, ventinove romanzi intorno alla storia di una sola
famiglia. Gli Stati Uniti hanno “ Via Col Vento”. L’Italia ha la “ Saga dei
Vela “.
Questa saga costituita da dodici romanzi, scelti tra i ventinove
originari, la si legge con l’aiuto di un albero genealogico stampato
all’interno della copertina. L’azione dura cent’anni . Le generazioni che vi
compaiono sono cinque. Le pagine totali sono 2581. E’ il romanzo più lungo in
lingua italiana. I personaggi inventati sono 293”.
Un romanzo corposo che andrebbe ristampato,
per diffondere la conoscenza dell’autore del Piccolo alpino. Quando pubblicava un libro, non si
dimenticava mai di inviarne una copia al sovrano che aveva conosciuto Re
Umberto II, un tributo, per rendergli l’esilio meno duro. Nel cuore di Gotta vi
albergava una grande lealtà verso Casa Savoia. Le persone che si sono amate non
si devono dimenticare come accade, spesso, in una società che corre come la
nostra, e non sente l’esigenza di ricordare la sua storia e le sue radici. Nelle scuole i professori non propongono agli
allievi letterati diversi da quelli
inclusi nel pacchetto scolastico confezionato in anticipo. Se qualcuno esce dal gregge, rimane in balia
dei lupi. Salvator Gotta, a quarant’ anni dalla morte, spero che sia ricordato
con penne che non si risparmino all’elogio. Alla sua morte, ho conservato un
interessante articolo di commemorazione scritto da Carlo Sgorlon. Lo scrittore friulano, mancato dieci anni fa,
gli diede giustizia nelle pagine de Il Giornale. “ Egli passò indenne
attraverso tutte le rapide e le cascate del Decadentismo e delle avanguardie.
Pirandello e Svevo non gli dissero nulla. Conservò sempre un’immagine serena e
famigliare del mondo. Il suo spirito non fu intaccato da dubbi esistenziali, da
nichilismi, da schizofrenie, da angosce di nessun genere. Il fiume copioso
della sua narrativa si snodò limpido e schietto.
I suoi veri maestri furono
tutti scrittori dell’Ottocento. Egli stesso ne ha illustrati due, Fogazzaro e
Giacosa, in un libretto assai più vicino alla narrativa che alla critica
letteraria. Proprio per questo, oltre che per l’assenza quasi totale di istanze
sociali o sociologiche, Gotta ci appare uno scrittore tanto lontano. Con lui se
ne va un altro lembo di passato. Un passato che oggi può far sorridere per la
sua ingenuità e la sua semplicità; ma che sfiora, in fondo, anche i territori
del nostro rimpianto”. Dopo aver riletto
alcuni libri di Salvatore Gotta, mi sono ancora una volta convinto che non
ristampare i suoi libri sia fargli una scortesia che non merita. Non mi illudo
che qualche casa editrice si ricordi di lui, ma spero che i lettori di queste
pagine non dimentichino di passare qualche momento con lui. Mi ha commosso quello che scrisse Orio
Vergani di lui, morti tutti e due quarant’anni fa.
Non ho letto pagine di
giornale che ricordassero Orio Vergani, pagine che sarebbero servite a donargli
luce. Nelle suo libro Misure del tempo,
edito da Baldini e Castoldi racconta :” Salvator Gotta mi prega di
leggere l’ultimo suo romanzo. Trent’anni fa, era il romanziere più “ divorato”
d’Italia. Oggi, egli va a informarsi timidamente dai librai sul numero delle
copie vendute e porta con molta dignità
il suo tramonto.
Mi dispiace pensare che
forse egli indovina che non ho letto mai nemmeno uno dei suoi quaranta romanzi.
Cerco di fargli credere che le buone letture si riservano per la “ vecchiaia”.
Il destino non permise a Orio Vergani di diventare vecchio, morì il sei aprile
del 1960, il suo amico Salvator Gotta morì invece il 7 giugno del 1980. In
questo modo spero che il buon Dio gli abbia permesso di leggere i romanzi di
Gotta, e magari davanti a lui.
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