Articolo datato ma che non perde la sua attualità
da Critica Monarchica anno 1 n" dicembre 61
di Domenico Giglio
La chiusura delle
celebrazioni di «Italia '61» ha posto fine ad uno stridente contrasto: quello
tra il clima morale, gli uomini, gli ideali di un secolo fa, magistralmente
rievocati nella mostra storica a Palazzo Carignano, e gran parte della realtà
odierna, particolarmente nei suoi aspetti politici così lontani dagli
insegnamenti e dalla tradizione del Risorgimento, mentre il calore patriottico
fortissimo raggiunto nei raduni nazionali, tenuti quest'anno a Torino, da
alpini, bersaglieri, artiglieri, fanti e marinai d'Italia ha invece dimostrato
che, fortunatamente, nell'anima popolare il Risorgimento non è passato invano e
che le forze armate sono state effettiva scuola di unità in un popolo, come il
nostro, per millequattrocento anni diviso, smembrato, invaso per la sua
estrinseca debolezza e spesso per le sue interne inimicizie, funzione questa
delle forze armate che già sessant'anni or sono riconosceva Giustino Fortunato,
uomo di destra, ma non certo militarista scrivendo: « ( l'Esercito ) in Italia
è scuola di civiltà, è l'unità medesima, se è vero, come io credo che niente
abbia più (dell'esercito) giovato e
niente giovi più ad inspirarne il concetto nei cuori e nelle volontà delle
moltitudini... »
Abbiamo detto diversità
di clima specie nel mondo politico e ancor più nel mondo della cultura, tra gli
intellettuali, che furono invece nell'ottocento alla avanguardia del movimento
di riscossa nazionale, chi con la parola, e chi anche, e furono i più, con
l'azione: oggi a parte le interpretazioni e deformazioni che del Risorgimento
hanno dato e danno continuamente i marxisti, solo pochi esponenti qualificati
di questo mondo, e cioè alcuni storici di chiara fama hanno trovato nelle loro
rievocazioni e commenti alle vicende risorgimentali accenti di nobile fierezza
nazionale, di vibrante sentimento unitario ed hanno saputo con obiettività,
parliamo qui di quelli di notori sentimenti repubblicani, riconoscere il peso
determinante avuto dalla Monarchia nel processo formativo dello Stato unitario.
Questo silenzio, quando non poi l'irosa negazione dei più, potrebbe farci
ritenere ormai sorpassata e non più valida la lezione del Risorgimento e ciò
potrebbe anche essere vero se il nostro Risorgimento fosse stato un fatto
puramente diplomatico e militare, quale fu pochi anni dopo in Germania la
nascita del primo Reich, opera degli junker prussiani Bismark e Moltke. Ma il
Risorgimento italiano fu qualcosa di diverso, diciamo pure qualcosa di più del
fatto diplomatico e militare, fu un fatto di profondo significato civile che
affondò le sue radici nel pensiero e nella cultura di almeno un secolo, per non
risalire ai vaticinii di Dante, ed a quelli di Machiavelli, ebbe poi una
altissima carica ideale, tale da riunire ad un unico scopo e sotto un'unica
bandiera gli uomini dalle ideologie e dalle provenienze geografiche e sociali
più disparate, ed una sua profonda moralità, costituendo per molti il riscatto
e l'Indipendenza della Patria una seconda religione e per altri addirittura
l'unica: fu la porta per il progresso economico e sociale aperta da un regime
liberale, giovane d'anni, ma maturo di pensiero, fu la strada per la
modernizzazione di secolari e decrepite strutture tracciata senza
sconvolgimenti da e in una democrazia progressivamente allargatasi nelle
coscienze e nel suffragio. Lo stesso «primato degli italiani» che grandi
spiriti come Gioberti e Mazzini, sia pure in forme diverse avevano auspicato e
propugnato, era primato, era missione («la Terza Roma») di rinnovata civiltà e
non di predominio egemonico ed a tale primato la nuova Italia mirò, sia pure
non con quella costanza ed immediatezza che molti speravano, nei campi più
vari, dalle scienze alle generose esplorazioni.
Lo stesso sviluppo e
potenziamento dell'esercito e della marina, oltre a sconsigliare e scongiurare
i persistenti timori di gelosie francesi e di rivincite austriache ( von
Conrad, capo di stato maggiore dell'esercito austriaco, ancora nel 1908,
malgrado la Triplice Alleanza e mentre l'Italia era in lutto per il terremoto
di Reggio e Messina pensava ad una spedizione punitiva contro di noi) servì,
particolarmente nel caso della flotta, a far conoscere, rispettare e se del
caso temere la nuova Nazione ( vedi le riparazioni e le scuse degli Stati Uniti
per il linciaggio di undici nostri connazionali avvenuto nel 1891 a New
Orleans, riparazioni che oggi non siamo ancora riusciti ad ottenere dal Congo
per il massacro di Kindu! ), perché i profeti e le nazioni disarmate, finché
nel mondo la forza varrà purtroppo più del diritto, sono destinati ad essere
sconfitti!
Dunque dal moto
risorgimentale uscì uno Stato ed una Nazione, nazione e stato che hanno già
retto per un secolo, malgrado il diverso avviso e l'iniziale sabotaggio, degli
ambienti temporalisti e legittimistici italiani (usiamo questo termine in senso
puramente geografico, come oggi parliamo di partito comunista «italiano»).
Fulcro di questo Stato e di questa Nazione fu la Monarchia Sabauda: la sua
caduta nel 1946 ha ridato vigore alle forze antirisorgimentali e logicamente
antiunitarie ed antinazionali, ed alle peggiori tendenze dell'Italia preunitaria,
ha tolto al popolo quel centro ideale ed allo stesso tempo reale, visibile che
umanizzava lo Stato, che riassumeva in sé quei valori spirituali e morali, che
nobilitano la vita ed i doveri del cittadino verso lo Stato, ne fortificano la
fedeltà, ne consacrano i diritti.
A questo punto non
ripeteremo la sacrosanta, ma sterile querela di tanti benpensanti contro
l'attuale malcostume, facendo i monotoni laudatores temporis atti e respingendo
il presente in attesa di un futuro migliore che, non si sa per opera di chi e
come, dovrebbe venire, ma ribadiremo l'impegno di operare politicamente, nel
presente, in questo momento storico con i mezzi, gli strumenti che i tempi
richiedono, perché questo mutamento avvenga, attenti a non dimenticare i
problemi di oggi, a non apparire negatori delle conquiste di ordine materiale,
cui anche in questi anni si è faticosamente pervenuti, ma convinti del dovere
di dare al presente un'anima, uno scopo non unicamente utilitaristico, una
serietà, un senso delle cose non particolaristico, una mentalità non settaria,
regolandoci insomma come si regolarono Vittorio Emanuele II e Cavour. E ciò
significa dinamismo, duttilità, elasticità mentale precedente i tempi, non
farsi sorprendere da alcun problema, mettersi alla testa e mai in coda, per non
essere distaccati o trascinati, ai movimenti di pensiero, ai movimenti di massa
indirizzandoli e risolvendoli nella legge e nella ordinata libertà, che
favorisce, non nega qualsiasi conquista di democrazia politica economica
sociale, ma respinge la demagogia e la violenza sovvertitrice che dalla forza e
sulle piazze crede di imporre la sua volontà.
Risorgimentali quindi e
questo spieghi la nostra avversione storica ed attuale a quei movimenti che il
Risorgimento negano, o peggio ancora rinnegano, ed anche a quelli che
credettero o credono far grande e rispettata l'Italia, dimenticando come
l'Italia nacque e prosperò cioè, per voto di plebisciti, confermato nel
Parlamento, per l'adesione crescente del popolo alla Monarchia Costituzionale
dei Savoia, adesione che si ridusse, ma non disparve nemmeno il 2 giugno 1946
nell'ora triste del «tolle, tolle », e che noi dobbiamo ricreare, folta e
copiosa.
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