NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 21 giugno 2020

Guelfo Civinini, scrittore dimenticato


di Emilio del Bel Belluz
Una citazione che trovai in un vecchio volume di letteratura diceva: “Genitoribus atque magistris, numquam satis”. “Ai genitori e ai maestri non si  rende mai abbastanza”. Queste sono  le parole più belle che lo scrittore Guelfo Civinini merita di trovare nella sua strada. L’Italia letteraria non ha ancora avuto il tempo di ricordare una delle penne più illustri che abbia avuto. Lo scrittore Guelfo Civinini nacque a Livorno l’ 1 agosto del 1973, e morì a Roma il 10 aprile 1954. Fu un autore prolifico di volumi di versi, di racconti, e di libri di viaggio. La sua professione di giornalista gli permise d’andare  in molte parti del mondo dove la guerra imperava,  e di rendere importanti i suoi scritti che sono testimonianze di molti momenti storici. Per questo scrisse della guerra di Libia e della Grande Guerra, che gli fecero guadagnare alcune medaglie al valore, non solo come scrittore, ma anche come soldato. Lo scrittore Panzini diceva che non aveva ancora capito, cosa lo avesse portato ad amare il mondo dei libri e la scintilla che gli aveva acceso la passione. Nel caso di Guelfo Civinini le cose andarono diversamente, a scuola veniva premiato per la sua grande dote: quella di scrivere. I suo temi erano amati anche dal suo preside che era un critico letterario, Giuseppe Chiarini, e un giorno richiamandolo,  in modo forte e tenace  per una bugia che aveva detto gli disse: “ Sai come finirai tu? Giornalista ! Ecco giornalista”. Il critico aveva letto bene nel cuore del giovane, gli aveva previsto la strada che avrebbe fatto. La grandezza di uno scrittore  passa attraverso le letture che ha fatto. Un tempo non c’erano molti libri, i libri erano un tesoro prezioso. In molte famiglie italiane l’unico libro che possedevano era la Bibbia,  testo sacro che non poteva mancare. Nei paesi solo il parroco aveva una biblioteca. Guelfo a scuola era uno studente molto attento e bravo e una volta venne premiato con dei libri. ” Questo  premio gradito gli cambiò la vita, passò quindi un’ estate immerso nei volumi che gli avevano donato, si trattava  di opere come:  I miserabili di Victor Hugo, l’Orlando Furioso, l’Assedio di Firenze e l’Odissea. Più si legge, più si impara a scrivere.  Qualcuno scrisse:” Più libri leggi e meno pugni prendi dalla vita”. Guelfo Civinini, grazie  allo scrittore Ugo Oietti, fu presentato al direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, era il 1907. Rimarrà in questa redazione fino al 1920, e vi uscirà poi per alcune questioni legate ad una collaborazione che aveva avuto anche con un altro giornale. Tutto si snodò nel periodo in cui Gabriele D’Annunzio visse la sua stagione Fiumana.  L’avventura lo aveva coinvolto talmente tanto che non aveva onorato con precisione gli impegni che aveva assunto con il Corriere della Sera, e il suo direttore si era infuriato. Guelfo divenne amico di D’Annunzio e partecipò all’impresa di Cattaro, come visse  i preparativi per Il volo su Vienna. La vita dello scrittore fu avventurosa, come l’aver conosciuto Gabriele  d’Annunzio, e aver visto tanti avvenimenti storici in prima persona. Una volta i giornalisti  mettevano a repentaglio la propria vita, anche adesso capita che qualcuno muoia. Penso ad Almerigo Grilz, giornalista di Trieste, che morì in Mozambico, ed  è sepolto sotto un grande albero. La scrittrice Gianna Preda scrisse  sul dramma di Guelfo: “ Tanti anni fa, quando Guelfo Civinini “era re”, cioè quando percorreva in carovana l’altopiano etiopico e piantava la tenda all’ombra dei sicomori, egli fu colpito, durante una delle  sue soste in Italia, da una sventura atroce. La sua figliola unica, Giuliana, sedicenne, ch’era stata compagna sua nei lunghi viaggi africani, presa da uno di quegli scoramenti irresistibili che talvolta colgono gli adolescenti, si uccise con un colpo di moschetto, nella torre che allora Civinini  possedeva in Maremma. Il dolore del padre fu quello che può essere immaginato da chi conosce l’uomo, che ha capacità di sentimenti profondi e impetuosi. Poi, la piena della disperazione si calmò, e gli restò l’acerbo rimpianto di quella sua bambina perduta.  Non sapendo che fare di meglio per onorare almeno il nome, egli decise di fondare un premio letterario; ché proprio allora cominciava la stagione dei premi. E raggranellate centomila di allora, fece gli atti necessari per una vera e propria Fondazione Giuliana Civinini … il premio era dedicato a un’ opera letteraria o storica attinente all’Africa, e alla Colonizzazione e al lavoro degli italiani laggiù”.  Guelfo Civinini era uno scrittore amato anche da Indro Montanelli che lo considerava un suo maestro e non lo dimenticò mai. Nel 1939 fu nominato Accademico  D’Italia. La sua fama divenne importante già nel 1933 per aver vinto il Premio Mussolini per la letteratura conferitogli dall’Accademia D’Italia. Basterebbe il conferimento del Premio Viareggio nel 1937 con il libro La trattoria di paese per consacrarlo tra i grandi scrittori e farlo riemergere dall’ingiusto oblio. Questo libro non si trova con facilità nelle librerie, come invece dovrebbe essere. Fu vicino alle posizioni fasciste firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti, nel 1925. Le sue posizioni nazionaliste erano chiare e traspaiono  nei suoi scritti. Amico di Balbo ebbe un grande aiuto nel momento  in cui cercò di organizzare una spedizione in Africa alla ricerca  dei resti dell’esploratore Vittorio Bottego, che era morto nel 1897. Ebbe come compagno il principe Marescotti Ruspoli. Tale esplorazione non portò a un esito positivo. Gli indicarono un grosso albero secolare dove si pensava fosse sepolto Bottego, ma dopo gli scavi non fu recuperato nulla. Allora incisero su una roccia il nome dello sfortunato esploratore e una croce, il simbolo della fede, perché solo Dio conosceva il posto dove era sepolto.
  Come giornalista riniziò  nel 1930 la collaborazione con il Corriere della Sera e scrisse pure  sul mensile del giornale, La lettura.  Salvator Gotta, scrittore, lo conobbe molto bene e scrisse un profilo sul suo Almanacco. Il caro Guelfo! Come giornalista... soldato, come poeta, come narratore… scapigliato . Lo conobbi a Parella, anche  lui,  nei primi anni del secolo, quando Luigi Albertini  aveva  appena inaugurato la sua villa. Civinini, come Barzini, godeva le simpatie del direttore... Lo rividi in guerra; era dei pochi giornalisti che seguisse le azioni di guerra da vicino, per cui si guadagnò parecchie medaglie al valore. Dopo la prima guerra mondiale, irrequieto, andò in Africa Settentrionale, e vi rimase parecchi anni. Tornato, lo ritrovai a Roma, a Firenze, sempre in divisa militare, abbronzato come se la pelle gli si fosse ridotta  cuoio. Eppure, così pressato sempre da inquietudini di giramondo, aveva un animo mite, una vena chiara, squisita di poeta e di raccontatore. Ed era un sì prezioso amico!”   Dopo un primo matrimonio, rimasto vedovo si risposò  nel 1942 e nel 1944 nacque la figlia Annalena. Su questa figlia non sono riuscito a trovare  delle notizie, non so se sia ancora viva. La vita di Guelfo conobbe anche delle difficoltà, si era allontanato dalle precedenti posizioni politiche e per questo gli impedirono di vendere i suoi libri. Questa è una cosa molto triste per uno scrittore, non vedere la sue opere esposte nelle librerie. Guelfo era un uomo onesto, e amava la vita. Quello che forse lo ferì di più fu l’accusa che gli fecero di profitti illeciti. Per questo rispose alle accuse con degli esposti. Il 10 febbraio 1947 scrisse a chi lo accusava. “ Data la mia condizione di vero e proprio nullatenente, l’addebito di una somma (le famose 400.000 lire) che è per me favolosa potrebbe anche lasciarmi indifferente e forse anche procurarmi, in mezzo alle difficoltà in cui mi dibatto, un momento di malinconico buonumore, se in tale addebito  non fosse implicata una imputazione di carattere morale, quel è quella di aver tratto dalla mia attività di scrittore e di cittadino un illecito lucro che profondamente mi ferisce e mi offende”. (Esposto del 10 febbraio 1947 inviato da Civinini). Questa sua confessione fa capire l’animo dello scrittore, e la sua onestà. Mi sono venute in mente le parole di Walter Scott: “ Se perdiamo tutto il nostro avere, preserviamo almeno immacolato l’onore”.  La vicenda si concluse in modo positivo per lo scrittore. Tra le sue tante pagine scritte e divulgate dalla stampa, a dimostrazione che la sua penna era davvero straordinaria, riporto quanto scrisse, in un suo articolo comparso sul Corriere della Sera l’otto giugno 1934. “ Il castagno è l’albero della serenità e del sorriso. E’ anche quello della Provvidenza. E’ “l’albero del pane ” nostrano. Quanta gente nostra montanina si nutre principalmente  di castagne! Le statistiche dell’immediato dopo guerra davano una produzione annua intorno ai seimilioni di quintali. Oggi con le cure date dalla Forestale alla restaurazione dei nostri boschi, immagino che sia cresciuta. Ma può crescere ancora. Duce, dopo quella del grano c’è un’altra bella battaglia da combattere: questa”. Nel 1953, un anno prima della sua morte, vinse il Premio Speciale Marzotto per la narrativa con Lungo la mia strada.

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