Una citazione che trovai in un
vecchio volume di letteratura diceva: “Genitoribus atque magistris, numquam
satis”. “Ai genitori e ai maestri non si
rende mai abbastanza”. Queste sono
le parole più belle che lo scrittore Guelfo Civinini merita di trovare
nella sua strada. L’Italia letteraria non ha ancora avuto il tempo di ricordare
una delle penne più illustri che abbia avuto. Lo scrittore Guelfo Civinini
nacque a Livorno l’ 1 agosto del 1973, e
morì a Roma il 10 aprile 1954. Fu un autore prolifico di volumi di versi, di
racconti, e di libri di viaggio. La sua professione di giornalista gli permise
d’andare in molte parti del mondo dove
la guerra imperava, e di rendere
importanti i suoi scritti che sono testimonianze di molti momenti storici. Per
questo scrisse della guerra di Libia e della Grande Guerra, che gli fecero
guadagnare alcune medaglie al valore, non solo come scrittore, ma anche come
soldato. Lo scrittore Panzini diceva che non aveva ancora capito, cosa lo
avesse portato ad amare il mondo dei libri e la scintilla che gli aveva acceso
la passione. Nel caso di Guelfo Civinini le cose andarono diversamente, a
scuola veniva premiato per la sua grande dote: quella di scrivere. I suo temi
erano amati anche dal suo preside che era un critico letterario, Giuseppe
Chiarini, e un giorno richiamandolo, in
modo forte e tenace per una bugia che
aveva detto gli disse: “ Sai come finirai tu? Giornalista ! Ecco giornalista”.
Il critico aveva letto bene nel cuore del giovane, gli aveva previsto la strada
che avrebbe fatto. La grandezza di uno scrittore passa attraverso le letture che ha fatto. Un
tempo non c’erano molti libri, i libri erano un tesoro prezioso. In molte
famiglie italiane l’unico libro che possedevano era la Bibbia, testo sacro che non poteva mancare. Nei paesi
solo il parroco aveva una biblioteca. Guelfo a scuola era uno studente molto
attento e bravo e una volta venne premiato con dei libri. ” Questo premio gradito gli cambiò la vita, passò
quindi un’ estate immerso nei volumi che gli avevano donato, si trattava di opere come: I miserabili di Victor Hugo, l’Orlando
Furioso, l’Assedio di Firenze e l’Odissea. Più si legge, più si impara a
scrivere. Qualcuno scrisse:” Più libri
leggi e meno pugni prendi dalla vita”. Guelfo Civinini, grazie allo scrittore Ugo Oietti, fu presentato al
direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, era il 1907. Rimarrà in
questa redazione fino al 1920, e vi uscirà poi per alcune questioni legate ad
una collaborazione che aveva avuto anche con un altro giornale. Tutto si snodò
nel periodo in cui Gabriele D’Annunzio visse la sua stagione Fiumana. L’avventura lo aveva coinvolto talmente tanto
che non aveva onorato con precisione gli impegni che aveva assunto con il
Corriere della Sera, e il suo direttore si era infuriato. Guelfo divenne amico
di D’Annunzio e partecipò all’impresa di Cattaro, come visse i preparativi per Il volo su Vienna. La vita
dello scrittore fu avventurosa, come l’aver conosciuto Gabriele d’Annunzio, e aver visto tanti avvenimenti
storici in prima persona. Una volta i giornalisti mettevano a repentaglio la propria vita,
anche adesso capita che qualcuno muoia. Penso ad Almerigo Grilz, giornalista di
Trieste, che morì in Mozambico, ed è
sepolto sotto un grande albero. La scrittrice Gianna Preda scrisse sul dramma di Guelfo: “ Tanti anni fa, quando
Guelfo Civinini “era re”, cioè quando percorreva in carovana l’altopiano
etiopico e piantava la tenda all’ombra dei sicomori, egli fu colpito, durante
una delle sue soste in Italia, da una
sventura atroce. La sua figliola unica, Giuliana, sedicenne, ch’era stata
compagna sua nei lunghi viaggi africani, presa da uno di quegli scoramenti
irresistibili che talvolta colgono gli adolescenti, si uccise con un colpo di
moschetto, nella torre che allora Civinini
possedeva in Maremma. Il dolore del padre fu quello che può essere
immaginato da chi conosce l’uomo, che ha capacità di sentimenti profondi e
impetuosi. Poi, la piena della disperazione si calmò, e gli restò l’acerbo
rimpianto di quella sua bambina perduta.
Non sapendo che fare di meglio per onorare almeno il nome, egli decise
di fondare un premio letterario; ché proprio allora cominciava la stagione dei
premi. E raggranellate centomila di allora, fece gli atti necessari per una
vera e propria Fondazione Giuliana Civinini … il premio era dedicato a un’
opera letteraria o storica attinente all’Africa, e alla Colonizzazione e al
lavoro degli italiani laggiù”. Guelfo
Civinini era uno scrittore amato anche da Indro Montanelli che lo considerava
un suo maestro e non lo dimenticò mai. Nel 1939 fu nominato Accademico D’Italia. La sua fama divenne importante già
nel 1933 per aver vinto il Premio Mussolini per la letteratura conferitogli
dall’Accademia D’Italia. Basterebbe il conferimento del Premio Viareggio nel
1937 con il libro La trattoria di paese per consacrarlo tra i grandi scrittori
e farlo riemergere dall’ingiusto oblio. Questo libro non si trova con facilità
nelle librerie, come invece dovrebbe essere. Fu vicino alle posizioni fasciste
firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti, nel 1925. Le sue posizioni
nazionaliste erano chiare e traspaiono
nei suoi scritti. Amico di Balbo ebbe un grande aiuto nel momento in cui cercò di organizzare una spedizione in
Africa alla ricerca dei resti
dell’esploratore Vittorio Bottego, che era morto nel 1897. Ebbe come compagno
il principe Marescotti Ruspoli. Tale esplorazione non portò a un esito
positivo. Gli indicarono un grosso albero secolare dove si pensava fosse
sepolto Bottego, ma dopo gli scavi non fu recuperato nulla. Allora incisero su
una roccia il nome dello sfortunato esploratore e una croce, il simbolo della
fede, perché solo Dio conosceva il posto dove era sepolto.
Come giornalista riniziò nel 1930 la collaborazione con il Corriere
della Sera e scrisse pure sul mensile
del giornale, La lettura. Salvator
Gotta, scrittore, lo conobbe molto bene e scrisse un profilo sul suo Almanacco.
Il caro Guelfo! Come giornalista... soldato, come poeta, come narratore…
scapigliato . Lo conobbi a Parella, anche
lui, nei primi anni del secolo,
quando Luigi Albertini aveva appena inaugurato la sua villa. Civinini,
come Barzini, godeva le simpatie del direttore... Lo rividi in guerra; era dei
pochi giornalisti che seguisse le azioni di guerra da vicino, per cui si
guadagnò parecchie medaglie al valore. Dopo la prima guerra mondiale,
irrequieto, andò in Africa Settentrionale, e vi rimase parecchi anni. Tornato,
lo ritrovai a Roma, a Firenze, sempre in divisa militare, abbronzato come se la
pelle gli si fosse ridotta cuoio.
Eppure, così pressato sempre da inquietudini di giramondo, aveva un animo mite,
una vena chiara, squisita di poeta e di raccontatore. Ed era un sì prezioso
amico!” Dopo un primo matrimonio,
rimasto vedovo si risposò nel 1942 e nel
1944 nacque la figlia Annalena. Su questa figlia non sono riuscito a trovare delle notizie, non so se sia ancora viva. La
vita di Guelfo conobbe anche delle difficoltà, si era allontanato dalle
precedenti posizioni politiche e per questo gli impedirono di vendere i suoi
libri. Questa è una cosa molto triste per uno scrittore, non vedere la sue
opere esposte nelle librerie. Guelfo era un uomo onesto, e amava la vita.
Quello che forse lo ferì di più fu l’accusa che gli fecero di profitti
illeciti. Per questo rispose alle accuse con degli esposti. Il 10 febbraio 1947
scrisse a chi lo accusava. “ Data la mia condizione di vero e proprio
nullatenente, l’addebito di una somma (le famose 400.000 lire) che è per me
favolosa potrebbe anche lasciarmi indifferente e forse anche procurarmi, in
mezzo alle difficoltà in cui mi dibatto, un momento di malinconico buonumore,
se in tale addebito non fosse implicata
una imputazione di carattere morale, quel è quella di aver tratto dalla mia
attività di scrittore e di cittadino un illecito lucro che profondamente mi
ferisce e mi offende”. (Esposto del 10 febbraio 1947 inviato da Civinini).
Questa sua confessione fa capire l’animo dello scrittore, e la sua onestà. Mi
sono venute in mente le parole di Walter Scott: “ Se perdiamo tutto il nostro
avere, preserviamo almeno immacolato l’onore”.
La vicenda si concluse in modo positivo per lo scrittore. Tra le sue
tante pagine scritte e divulgate dalla stampa, a dimostrazione che la sua penna
era davvero straordinaria, riporto quanto scrisse, in un suo articolo comparso
sul Corriere della Sera l’otto giugno 1934. “ Il castagno è l’albero della
serenità e del sorriso. E’ anche quello della Provvidenza. E’ “l’albero del
pane ” nostrano. Quanta gente nostra montanina si nutre principalmente di castagne! Le statistiche dell’immediato
dopo guerra davano una produzione annua intorno ai seimilioni di quintali. Oggi
con le cure date dalla Forestale alla restaurazione dei nostri boschi, immagino
che sia cresciuta. Ma può crescere ancora. Duce, dopo quella del grano c’è
un’altra bella battaglia da combattere: questa”. Nel 1953, un anno prima della
sua morte, vinse il Premio Speciale Marzotto per la narrativa con Lungo la mia
strada.
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