NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 1 giugno 2020

Il libro azzurro sul referendum - XIX cap - 3a


La requisitoria del Procuratore Generale Massimo Pilotti conferma la lettera e lo spirito della legge (“elettori votanti")

1) I ricorsi in oggetto sollevano la questione del modo di effettuare il computo della maggioranza degli elettori votanti in favore della repubblica o della monarchia. Sostengono che, nei conteggi ufficiali fin qui resi noti, per determinare la maggioranza, si è tenuto conto soltanto dei voti validi, mentre secondo la dizione dall'art. 2 del Decreto Legislativo Luog. 16 marzo 1946 n. 98 occorre riferirsi al numero dei votanti, ivi inclusi, cioè anche coloro che hanno votato scheda bianca o nulla. Rilevano che il citato decreto n. 98 è il testo legislativo fondamentale in materia: tanto che esso è richiamato dal successivo decreto legislativo luog. n. 219 dal 23 aprile 1946, portante le norme previste dall'art. 8 del primo, e «relative allo svolgimento del referendum, alla proclamazione dei risultati di esso, e al giudizio definitivo sulle contestazioni». In caso di contrasto fra questi due provvedimenti, è il primo che deve prevalere.
Sui reclami sopra indicati, la Corte Suprema deve statuire a norma dell'art. 19 del decreto legislativo luog. n. 219.

2) Occorre stabilire chi è votante ai sensi dei citati provvedimenti e di tutta la vigente legislazione elettorale.
L'art. 2 del decreto legislativo luog. n. 98 offre un elemento di interpretazione letterale ed uno di interpretazione logica.
Letteralmente «votante» è colui che si presenta a votare e, ricevuta dal presidente la scheda, la restituisce a lui dopo aver osservato le formalità di legge. Questo è il significato comune, usuale dal termine. Da esso non ci si deve dipartire se non nel caso in cui si trovi in altra disposizione legislativa e in particolare nel decreto legislativo luog. n. 219, una diversa definizione della parola medesima.
Il significato letterale del termine è poi sorretto da una considerazione logica, che non può essere omessa. Il legislatore con i decreti in esame ha chiamato il popolo a decidere mediante referendum sulla forma istituzionale dello Stato (repubblica o monarchia). E' difficile immaginare una pronuncia più grave di questa, che importa un cambiamento della struttura attuale. Avrebbe potuto essere richiesta una forte maggioranza qualificata, data l'importanza delle conseguenze. Il legislatore non ha creduto di stabilirlo e si è limitato alla maggioranza dei votanti. Ma non è logico, allora, volere ulteriormente restringere la comune accezione del termine «votante» per limitare a colui che ha espresso un voto valido. Anche il comportamento negativo di chi restituisce la scheda in bianco e il contegno positivo ma inefficace di chi, per ignoranza o volutamente, traccia segni diversi da quelli richiesti, costituisce una manifestazione della volontà di esercitare il diritto di voto. È giusto che una tale manifestazione non sia calcolata a favore di nessuna delle due forme istituzionali da scegliere, ma non è ugualmente giusto equiparare alla mancata presenza alle urne il voto di nullità, tanto più che l'invalidità consegue ad un giudizio che è su­scettivo di essere modificato da un organo superiore.

3) Non giova riferirsi ad altre legislazioni che ad altri fini provvedono diversamente. Non è difficile del resto trovarne alcune favorevoli alla tesi qui sostenuta.              •
Ad ogni modo il diritto comparato dimostra che, quando la questione è stata considerata, si è provveduto, di regola, a risolverla espressamente. Qua­lora legislativamente sia rimasta insoluta, è stata risoluta dall'autorità compe­tente, sulla base di principi generali di interpretazione.

4) Noi dobbiamo interpretare la parola «votante» alla stregua del diritto vigente.
Nello stesso decreto n. 98, e precisamente all'ultimo comma dell'art. 4, è contenuta una disposizione di considerevole importanza. Essa così statuisce: «Finché non avrà deliberato il proprio regolamento interno, l'assemblea costi­tuente applicherà il regolamento interno della Camera dei Deputati in data lu­glio 1900 e successive modificazioni fino al 1922». Nel citato regolamento, in due diversi articoli si trova affermato il principio che tra i votanti vanno calco­late le schede bianche (a fortiori, quindi le schede nulle). Il secondo comma dell'art. 4 in tema di elezione del Presidente defila Camera dice testualmente: «Quando nessuno abbia riportato la maggioranza assoluta di voti, computando tra i votanti anche le schede bianche, la Camera procede nel giorno successivo ad una nuova elezione libera». Ne consegue che tutte le volte in cui nel detto regolamento si ha riguardo al termine «votante», esso va interpretato nel senso chiarito dall'art. 4, secondo comma (così ad es. l'art. 13 quarto comma). L'art. 193 bis, sulla votazione delle leggi, risolvendo una dibattuta questione, così dispone: «Nelle votazioni, per la cui validità è necessaria la constatazione del numero legale, sarà tenuta nota di coloro che si astengono dal voto».
Tale principio che si rileva quindi come informatore della materia elettorale è ancor più decisamente espresso nel regolamento del Senato, secondo il testo che comprende le modifiche sino a tutto il 21 luglio 1922. In essa, all'art. 5, penultimo comma, è espressamente, e tassativamente detto: «Le schede nulle e bianche sono computate nel numero dei votanti».
L'importanza di queste disposizioni è evidente non solo per l'espresso rinvio al regolamento della Camera, fatto proprio all'art. 4 del decreto n. 98 relativo al referendum, ma anche perché esse sanciscono un principio che, per l'evidente identità di materia, deve valere anche nella ipotesi di referendum; nell'ipotesi in cui, cioè, la votazione, invece di avvenire alla Camera o al Senato tra rappresentanti dei cittadini, è effettuata direttamente tra i cittadini rappresentati.
A sottolineare questa identità di materia, sia consentito di ricordare, che a sostegno della stessa tesi l'On. Sidney Sonnino alla Camera dei deputati, nella tornata del 19 marzo 1898, opponendosi ad un progetto di legge, con il quale si voleva precisamente escludere il computo delle schede bianche o nulle nella determinazione della maggioranza, ebbe così ad osservare : « Mi par strano che la Camera voglia imporre agli elettori un sistema diverso da quello adottato nelle proprie votazioni. Si comprende benissimo che una scheda falsa abbia ad essere annullata, anzi considerata come non esistente, ma in tutte le nostre votazioni della Camera, le schede bianche e quelle che contengono nomi non decifrabili sono computate nel numero dei votanti, perché considerate come astensioni dichiarate. E quel che ci pare giusto ed equo per noi, deve sembrare tale anche nella interpretazione della volontà degli elettori».
Ed anzi in tale occasione l'On. Sonnino ritenne opportuna la emanazione di una specifica legge proprio per dichiarare il principio della computabilità delle schede bianche o nulle, sostenendo che l'opposto sistema « lasci sempre troppo adito all'arbitrio nei seggi elettorali... (esso è quasi una specie di sollecitazione a tutti i seggi che vogliono dichiarare eletto un tale, a dichiarare nullo quel tal numero di schede che basti per raggiungere l'intento) ».
In quella medesima occasione l'on. Di Rudinì si associò all'on. Sonnino, osservando che, con il sistema di non computare i voti nulli, «Vi sarà sempre l'interesse di qualcuno di dichiarare nulle artificialmente alcune schede determi­nate, perché non entrino nel computo dei votanti. Ora, questo inconveniente... presso le sezioni elettorali è massimo, perché è una vera immoralità che si commetterebbe sotto l'usbergo della legge».
Come conseguenza della discussione, la Camera prima e poi il Senato approvarono il progetto che divenne legge 7 aprile 1898 n. 117, in cui si sancì tas­sativamente che: «Nel determinare il numero dei votanti saranno computate tutte le schede ad eccezione di quelle da considerarsi nulle perché mancanti del bollo e della firma dello scrutatore».
E' chiara quindi la funzione di garanzia alla quale si ispira questo principio che si trae dalla nostra tradizione legislativa e parlamentare, e che ebbe, nella indicata legge, la sua formale consacrazione in un periodo di sana democrazia.
Esso, quindi, non può non essere tenuto fermo nell'attuale momento di rinnovamento del costume democratico.

5) Alla tesi quindi sostenuta, è contrapposto da alcuni il decreto n. 219. La contrapposizione è erronea. A parte l'osservazione che detto decreto n. 219 contiene soltanto norme per lo svolgimento del referendum e che quindi può essere considerato come semplice disposizione dì attuazione del decreto n. 98, quantunque rivestito pure esso della forma di decreto legislativo, tuttavia, oc­corre chiarire se effettivamente alla stregua di esso il termine «votante» assuma un significato diverso da quello normale sopra indicato.
Ciò è da escludere. Nessun argomento può trarsi dall'art. 11. Nel terzo comma si parla di schede deposte nell'apposita urna dopo l'espressione del voto, e, come già si è accennato, ciò non esclude che anche le schede nulle o bian­che esprimano una volontà dell'elettore. È vero che nei periodi successivi dello stesso comma, si parla soltanto di voti conferiti alla Repubblica o alla Mo­narchia, ma ciò deriva dal fatto che della nullità delle schede si palla in un arti­colo successivo e precisamente nell'art. 15. Ed in proposito è da notare che lo stesso art. 15, al n. 2, attribuisce la qualità di votante a chi ha artificiosamente tracciato segni sulla scheda in modo da renderla nulla.
Sicché «votante» nell'economia del decreto in esame, è già colui che, chiuso in cabina, scrive sulla scheda in modo diverso da quello voluto, dalla legge.
Ugualmente nessun argomento contrario alla tesi che qui si sostiene può essere ricavato dall'art. 17. La Cassazione, sulla base dei verbali compilati dagli uffici centrali circoscrizionali, verbali che non contengono l'indicazione dei voti nulli, procede alla somma dei voti attribuiti alla Repubblica, e di quelli attribuiti alla Monarchia e fa la proclamazione dei risultati del referendum. E sta bene. (Si noti intanto che il termine «risultati» fa chiaramente intendere che si deve pervenire ad una totalità di dati, ivi compresi quelli dei voti nulli o invalidi).
Ma la stessa Cassazione successivamente, in sede di giudizio definitivo sulle contestazioni e sui reclami, è autorizzata dall'art. 19 a prendere in esame i voti contestati, e perfino ad annullare le operazioni di intere sezioni, con la conseguenza di poter rendere validi voti prima ritenuti nulli o di annullare anche tutti i voti di talune sezioni. Ciò significa che la Cassazione è investita del giudizio definitivo sulla validità dei voti. Ed allora a nulla rileva che gli uffici centrali circoscrizionali, in forza dell'art. 16, abbiano effettuato soltanto la somma dei voti validi, attribuiti alla Repubblica o alla Monarchia, e non abbiano indicato nel verbale i voti nulli o contestati. Di questi la Corte Suprema può e deve ugualmente conoscere a norma dell'art. 19.
Si osservi inoltre che l'art. 16 non conferisce agli uffici centrali circoscrizio­nali alcun potere di valutazione. Essi sono stati inizialmente creati per la determinazione dei deputati all'Assemblea costituente (art. 57, decreto legislativo luog. 10 marzo 1946 n. 74).

Ma successivamente il legislatore, ha ritenuto opportuno attribuire agli uffici stessi qualche operazione relativa al referendum, per facilitare il compito della Corte di Cassazione. Queste operazioni sono minime, giacché, ai sensi dell'art. 16 in esame, consistono nel riassumere «i risultati del referendum in tutte le sezioni elettorali del Collegio, e nell'operare il conteggio dei voti validi senza alcun potere di pronunciarsi in merito».

E comunque, quale contributo all'interpretazione dei concetti di «votanti» può mai offrire il fatto che gli uffici centrali circoscrizionali si limitino ad effettuare il conteggio dei voti validi? Non si vede in vero, come l'aver qui il legislatore parlato di voti validi, possa fare ritenere che egli abbia voluto in tal modo qualificare il votante.

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