La
requisitoria del Procuratore Generale Massimo Pilotti conferma la lettera e lo
spirito della legge (“elettori votanti")
1) I
ricorsi in oggetto sollevano la questione del modo di effettuare il computo
della maggioranza degli elettori votanti in favore della repubblica o della
monarchia. Sostengono che, nei conteggi ufficiali fin qui resi noti, per
determinare la maggioranza, si è tenuto conto soltanto dei voti validi, mentre
secondo la dizione dall'art. 2 del Decreto Legislativo Luog. 16 marzo 1946 n.
98 occorre riferirsi al numero dei votanti, ivi inclusi, cioè anche coloro che
hanno votato scheda bianca o nulla. Rilevano che il citato decreto n. 98 è il
testo legislativo fondamentale in materia: tanto che esso è richiamato dal
successivo decreto legislativo luog. n. 219 dal 23 aprile 1946, portante le
norme previste dall'art. 8 del primo, e «relative allo svolgimento del referendum,
alla proclamazione dei risultati di esso, e al giudizio definitivo sulle
contestazioni». In caso di contrasto fra questi due provvedimenti, è il primo
che deve prevalere.
Sui
reclami sopra indicati, la Corte Suprema deve statuire a norma dell'art. 19 del
decreto legislativo luog. n. 219.
2)
Occorre stabilire chi è votante ai sensi dei citati provvedimenti e di tutta la
vigente legislazione elettorale.
L'art.
2 del decreto legislativo luog. n. 98 offre un elemento di interpretazione
letterale ed uno di interpretazione logica.
Letteralmente
«votante» è colui che si presenta a votare e, ricevuta dal presidente la
scheda, la restituisce a lui dopo aver osservato le formalità di legge. Questo
è il significato comune, usuale dal termine. Da esso non ci si deve dipartire
se non nel caso in cui si trovi in altra disposizione legislativa e in
particolare nel decreto legislativo luog. n. 219, una diversa definizione della
parola medesima.
Il
significato letterale del termine è poi sorretto da una considerazione logica,
che non può essere omessa. Il legislatore con i decreti in esame ha chiamato il
popolo a decidere mediante referendum sulla forma istituzionale dello Stato
(repubblica o monarchia). E' difficile immaginare una pronuncia più grave di
questa, che importa un cambiamento della struttura attuale. Avrebbe potuto
essere richiesta una forte maggioranza qualificata, data l'importanza delle
conseguenze. Il legislatore non ha creduto di stabilirlo e si è limitato alla
maggioranza dei votanti. Ma non è logico, allora, volere ulteriormente
restringere la comune accezione del termine «votante» per limitare a colui che
ha espresso un voto valido. Anche il comportamento negativo di chi restituisce
la scheda in bianco e il contegno positivo ma inefficace di chi, per ignoranza
o volutamente, traccia segni diversi da quelli richiesti, costituisce una
manifestazione della volontà di esercitare il diritto di voto. È giusto che una
tale manifestazione non sia
calcolata a favore di nessuna delle due forme istituzionali da scegliere, ma
non è ugualmente giusto equiparare alla mancata presenza alle urne il voto di
nullità, tanto più che l'invalidità consegue ad un giudizio che è suscettivo
di essere modificato da un organo superiore.
3) Non giova riferirsi ad altre
legislazioni che ad altri fini provvedono diversamente. Non è difficile del
resto trovarne alcune favorevoli alla tesi qui sostenuta. • •
Ad ogni modo il diritto comparato
dimostra che, quando la questione è stata considerata, si è provveduto, di
regola, a risolverla espressamente. Qualora legislativamente sia rimasta
insoluta, è stata risoluta dall'autorità competente, sulla base di principi
generali di interpretazione.
4) Noi dobbiamo interpretare la
parola «votante» alla stregua del diritto
vigente.
Nello stesso
decreto n. 98, e
precisamente all'ultimo comma dell'art. 4, è contenuta una
disposizione di considerevole importanza. Essa così statuisce: «Finché non avrà
deliberato il proprio regolamento interno, l'assemblea costituente applicherà
il regolamento interno della Camera dei Deputati in data I° luglio 1900
e successive modificazioni fino al 1922». Nel citato regolamento, in
due diversi articoli si trova affermato il principio che tra i votanti vanno
calcolate le schede bianche (a fortiori, quindi le schede nulle). Il
secondo comma dell'art. 4 in tema di elezione del Presidente defila Camera dice
testualmente: «Quando nessuno abbia riportato la
maggioranza assoluta di voti, computando tra i votanti anche le schede bianche,
la Camera procede nel giorno successivo ad una nuova elezione libera». Ne
consegue che tutte le volte in cui nel detto regolamento si ha riguardo al
termine «votante», esso va interpretato nel senso chiarito dall'art. 4, secondo
comma (così ad es. l'art. 13 quarto comma). L'art. 193 bis, sulla votazione
delle leggi, risolvendo una dibattuta questione, così dispone: «Nelle
votazioni, per la cui validità è necessaria la constatazione del numero legale,
sarà tenuta nota di coloro che si astengono dal voto».
Tale
principio che si rileva quindi come informatore della materia elettorale è
ancor più decisamente espresso nel regolamento del Senato, secondo il testo che
comprende le modifiche sino a tutto il 21 luglio 1922. In essa, all'art. 5,
penultimo comma, è espressamente, e tassativamente detto: «Le schede nulle e
bianche sono computate nel numero dei votanti».
L'importanza
di queste disposizioni è evidente non solo per l'espresso rinvio al regolamento
della Camera, fatto proprio all'art. 4 del decreto n. 98 relativo al
referendum, ma anche perché esse sanciscono un principio che, per l'evidente
identità di materia, deve valere anche nella ipotesi di referendum; nell'ipotesi
in cui, cioè, la votazione, invece di avvenire alla Camera o al Senato tra
rappresentanti dei cittadini, è effettuata direttamente tra i cittadini rappresentati.
A
sottolineare questa identità di materia, sia consentito di ricordare, che a
sostegno della stessa tesi l'On. Sidney Sonnino alla Camera dei deputati, nella
tornata del 19 marzo 1898, opponendosi ad un progetto di legge, con il quale si
voleva precisamente escludere il computo delle schede bianche o nulle nella
determinazione della maggioranza, ebbe così ad osservare : « Mi par strano che
la Camera voglia imporre agli elettori un sistema diverso da quello adottato
nelle proprie votazioni. Si comprende benissimo che una scheda falsa abbia ad
essere annullata, anzi considerata come non esistente, ma in tutte le nostre votazioni
della Camera, le schede bianche e quelle che contengono nomi non decifrabili sono computate nel numero dei votanti, perché
considerate come astensioni dichiarate. E quel che ci pare giusto ed equo per
noi, deve sembrare tale anche nella interpretazione della volontà degli
elettori».
Ed anzi in
tale occasione l'On. Sonnino ritenne opportuna la emanazione di una specifica
legge proprio per dichiarare il principio della computabilità delle schede
bianche o nulle, sostenendo che l'opposto sistema « lasci
sempre troppo adito all'arbitrio nei seggi elettorali... (esso è quasi una specie di sollecitazione a
tutti i seggi che vogliono dichiarare eletto un tale, a dichiarare nullo quel
tal numero di schede che basti per raggiungere l'intento) ».
In quella
medesima occasione l'on. Di Rudinì si associò all'on. Sonnino, osservando che,
con il sistema di non computare i voti nulli, «Vi sarà sempre l'interesse di
qualcuno di dichiarare nulle artificialmente alcune schede determinate, perché
non entrino nel computo dei votanti. Ora, questo inconveniente... presso le
sezioni elettorali è massimo, perché è una vera immoralità che si
commetterebbe sotto l'usbergo della legge».
Come conseguenza della
discussione, la Camera prima e poi il Senato approvarono il progetto che
divenne legge 7 aprile 1898 n. 117, in cui si sancì tassativamente che:
«Nel determinare il numero dei votanti saranno computate tutte le schede ad
eccezione di quelle da considerarsi nulle perché mancanti del bollo e della
firma dello scrutatore».
E' chiara quindi la funzione
di garanzia alla quale si ispira questo principio che si trae dalla nostra
tradizione legislativa e parlamentare, e che ebbe, nella indicata legge, la sua
formale consacrazione in un periodo di sana democrazia.
Esso, quindi, non può non
essere tenuto fermo nell'attuale momento di rinnovamento del costume
democratico.
5) Alla tesi quindi sostenuta, è
contrapposto da alcuni il decreto n. 219. La contrapposizione è erronea. A
parte l'osservazione che detto decreto n. 219 contiene soltanto norme per lo
svolgimento del referendum e che quindi può essere considerato come semplice
disposizione dì attuazione del decreto n. 98, quantunque rivestito pure esso
della forma di decreto legislativo, tuttavia, occorre chiarire se
effettivamente alla stregua di esso il termine «votante» assuma un significato
diverso da quello normale sopra indicato.
Ciò è da
escludere. Nessun argomento può trarsi dall'art. 11. Nel terzo comma si parla
di schede deposte nell'apposita urna dopo l'espressione del voto, e, come già
si è accennato, ciò non esclude che anche le schede nulle o bianche esprimano
una volontà dell'elettore. È vero che nei periodi successivi dello stesso
comma, si parla soltanto di voti conferiti alla Repubblica o alla Monarchia,
ma ciò deriva dal fatto che della nullità delle schede si palla in un articolo
successivo e precisamente nell'art. 15. Ed in proposito è da notare che lo
stesso art. 15, al n. 2, attribuisce la qualità di votante a chi ha artificiosamente tracciato segni sulla scheda in modo da
renderla nulla.
Sicché «votante» nell'economia del decreto in esame, è già colui che, chiuso in cabina, scrive sulla scheda in modo
diverso da quello voluto, dalla legge.
Ugualmente nessun argomento contrario alla
tesi che qui si sostiene può essere ricavato dall'art. 17. La Cassazione, sulla
base dei verbali compilati dagli uffici centrali circoscrizionali, verbali che
non contengono l'indicazione dei voti nulli, procede alla somma dei voti
attribuiti alla Repubblica, e di quelli attribuiti alla Monarchia e fa la
proclamazione dei risultati del referendum. E sta bene. (Si noti intanto che il
termine «risultati» fa chiaramente intendere che si deve pervenire ad una
totalità di dati, ivi compresi quelli dei voti nulli o invalidi).
Ma la stessa Cassazione
successivamente, in sede di giudizio definitivo sulle contestazioni e sui
reclami, è autorizzata dall'art. 19 a prendere in esame i voti contestati, e perfino ad annullare le operazioni di
intere sezioni, con la conseguenza di poter rendere validi voti prima ritenuti
nulli o di annullare anche tutti i voti di talune sezioni. Ciò significa che la Cassazione è investita del
giudizio definitivo sulla validità dei voti. Ed allora a nulla rileva che
gli uffici centrali circoscrizionali, in forza dell'art. 16, abbiano effettuato
soltanto la somma dei voti validi, attribuiti alla Repubblica o alla Monarchia,
e non abbiano indicato nel verbale i voti nulli o contestati. Di questi la
Corte Suprema può e deve ugualmente conoscere a norma dell'art. 19.
Si osservi inoltre che l'art. 16 non conferisce agli uffici
centrali circoscrizionali alcun potere di valutazione. Essi sono stati
inizialmente creati per la determinazione dei deputati all'Assemblea
costituente (art. 57, decreto legislativo luog. 10 marzo 1946 n. 74).
Ma successivamente il legislatore, ha ritenuto opportuno attribuire agli uffici stessi qualche operazione relativa al referendum, per facilitare il compito della Corte di Cassazione. Queste operazioni sono minime, giacché, ai sensi dell'art. 16 in esame, consistono nel riassumere «i risultati del referendum in tutte le sezioni elettorali del Collegio, e nell'operare il conteggio dei voti validi senza alcun potere di pronunciarsi in merito».
E comunque, quale contributo all'interpretazione dei concetti di «votanti» può mai offrire il fatto che gli uffici centrali circoscrizionali si limitino ad effettuare il conteggio dei voti validi? Non si vede in vero, come l'aver qui il legislatore parlato di voti validi, possa fare ritenere che egli abbia voluto in tal modo qualificare il votante.
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