di Emilio Del Bel Belluz
Quel giorno di cent’anni fa, davanti all’altare della basilica di Aquileia, erano allineate undici bare, ricoperte con la bandiera Sabauda, e Maria Bergamas avanzava con andatura incerta fino ad accasciarsi ansimante davanti alla penultima bara, riconosciuta come quella contenente le spoglie di suo figlio caduto durante la Grande Guerra. Fu una scena straziante: una mamma che rappresentava le tante madri che non avevano la possibilità d’avere davanti a sé la salma del proprio figlio caduto. Era la madre, il cui figlio indossò la divisa dell’imperatore Francesco Giuseppe e poi disertò, per andare a combattere per la bandiera del Re d’Italia, Vittorio Emanuele III. Questo valoroso soldato morì bagnando con il proprio sangue una terra che sarebbe stata sacra per sempre. Divenne la mamma di tutti quei caduti per la Patria, che spesso non sono ricordati come si dovrebbe. La mamma del Milite Ignoto riposa accanto alle restanti dieci bare sepolte nel cimitero di Aquileia e mi auguro che vengano onorate e ricordate con la deposizione di mazzi di fiori. La casa dove la donna visse con la famiglia e da dove il figlio partì per la guerra esiste ancora e si trova nel paese di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia. Sulla facciata dell’abitazione è stata posta una lapide che la ricorda. Una volta la bandiera Sabauda orgogliosamente veniva posta sulle bare dei soldati che si immolavano per la patria. Al mio paese Motta di Livenza, nel trevigiano, non c’è una lapide che riporti i nomi dei 236 soldati che caddero da eroi durante la Grande Guerra. Alcuni di loro riposano in qualche cimitero militare, qualcuno non ha una tomba, ma quella salma del Milite Ignoto che sta a Roma, potrebbe essere quella di un soldato partito da Motta di Livenza, il paese che lo ha dimenticato. Mi consola pensare a quella iscrizione sulla tomba di un soldato romano caduto lontano dalla patria. “Qui giace un soldato romano: fermati viandante, e inchinati reverente: dove giace un soldato Romano è Roma”. Ogni preghiera che si dirà nei prossimi giorni, raggiungerà la tomba di tutti i soldati morti in battaglia, sotto le bandiere del re Vittorio Emanuele III. Per ricordare il Milite Ignoto, Pietro Domenichelli scrisse queste parole, che mi hanno sempre commosso e che propongo.
“Il ritorno del Milite Ignoto. Quando nel 1921, dopo la Grande Guerra sanguinosa e vittoriosa, il Milite Ignoto passava per le terre d’Italia, i contadini lasciavano le opere, per assistere al Suo passaggio. I contadini andavano pii e silenziosi come ad una mesta funzione della loro pieve. E mentre essi procedevano, suonavano le campane della pieve, suonando a morto. Ma la tristezza era dolce per i cuori, perché il milite che si era perduto, si era ritrovato; perché dopo essere stato tanto lontano, or ritornava e ritornava per tutti. E passava per tutte le terre d’Italia. Ed era vivo perché era nel cuore di tutti. Ed era vivo perché era la gloria della Patria. I contadini camminavano dunque pii e silenziosi come ad una mesta funzione della loro pieve: i fanciulli innanzi, poi le donne vestite di nero, e in coda gli uomini insieme con i vecchi. I fanciulli recavano mazzi di fiori, e fra gli uomini c’erano coloro che avevano combattuto ed ora che andavano incontro al loro fratello, avevano il volto innocente come quello dei fanciulli. Appena furono in fondo ai campi, sul margine della strada ferrata, lungo la quale sarebbe passato il Milite Ignoto, nel lento convoglio, tutti si inginocchiarono nell’attesa. E quanto tempo rimasero lì, in ginocchio, sui solchi scuri della terra lavorata e seminata? Arrivò nell’ora dell’Ave il convoglio con il Milite Ignoto e quella pia gente era sempre lì in ginocchio. I fanciulli gettarono al passaggio i loro mazzi di fiori. Le donne vestite di nero, e i vecchi piansero. Piansero dolci lacrime. Gli uomini alzarono la mano destra in segno di saluto, e quelli che avevano combattuto, lo chiamavano fratello, il Milite che passava, e gli gettarono il cuore”.
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