Pagine su pagine di retroscena e indiscrezioni, ipotesi di bis del presidente uscente, candidati ufficiali e ufficiosi, franchi tiratori, voti e soprattutto veti. La rivincita simbolica dei re di fronte al gran teatro per la carica più alta della Repubblica
In Italia quando dici che sei monarchico ti guardano tutti strano, nonostante che siano monarchie varie nazioni dalla storia grande almeno quanto la nostra, come Gran Bretagna e Spagna, ma anche l’Olanda, il Belgio, la modernissima Svezia, l’avveniristico Giappone; nonostante che in Europa i primi decisivi passi verso la democrazia siano stati mossi grazie all’evoluzione plurisecolare della monarchia; e nonostante che al mondo i principali Stati dittatoriali, paradittatoriali o illiberali, tipo la Cina, l’Iran, la Turchia, la Russia, l’Ungheria, per tacer dell’Africa, siano tutti repubbliche.
Credo sia perché da noi desta sospetto il sistema dell’ereditarietà del titolo di Capo dello Stato e garante della Costituzione, a fronte di un cristallino sistema di selezione che prevede mesi di retroscena, articolate esegesi di mezze frasi, proposta di rinnovo automatico del titolare, esclusione del rinnovo automatico da parte dell’interessato, candidati prematuri presentati apposta per essere bruciati, ipotesi alternative patafisiche, qualche donna da tirare in ballo per far vedere che si è moderni, escursioni nel semipresidenzialismo di fatto, richiami alla lettera della Carta, nessun pretendente ufficiale, tutti pretendenti sottobanco, franchi tiratori a iosa, voti a Giancarlo Magalli, plauso unanime dell’emiciclo al carro del vincitore, polemiche sotterranee sull’imparzialità dell’eletto, e così via. In Italia quando dici che sei monarchico ti guardano tutti strano, tranne una volta ogni sette anni.
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