“Riconfermando più che mai i
valori dell’antifascismo che ho appreso alla scuola
di Garosci e Galante Garrone non mi sento tuttavia di approvare il ddl”-
Dino Cofrancesco sosteneva
giustamente che bisogna distinguere tra peccato e reato, in difesa della
laicità dello Stato.
La storia, bella, brutta,
bruttissima, indecente è sempre storia e nessuna legge può cancellarla.
L’on. Fiano presentatore di
un disegno di legge che vieta la propaganda di idee fasciste (esiste già il
reato di apologia del fascismo) forse parte da ottime intenzioni,ma nella
sostanza sbaglia. Il suo ddl è in discussione alla Camera e già suscita un
infuocato dibattito. Fiano appare persona equilibrata e quindi suscita un certo
stupore che sia primo firmatario di un progetto di legge che quanto meno crea
delle perplessità.
Il liberale Popper sosteneva
“il diritto di non tollerare gli intolleranti” nel suo grande libro “La società
aperta e i suoi nemici”, un libro che in Italia è stato tradotto e conosciuto
con decine di anni di ritardo.
Non sembra però che Fiano si
ispiri al filosofo austriaco che forse non ha mai neppure letto.
Quella di Popper tuttavia a
me è sempre apparsa un’idea poco liberale perché vanno nettamente distinte le
opinioni dalle azioni.
Le opinioni devono essere
liberissime in senso assoluto, l’agire di conseguenza appare invece tutt'altro discorso
che va punito perché ricorrere alla violenza, in regime di democrazia e libertà
-qualsiasi motivazione o matrice politica ci sia dietro certe azioni - può
essere consentito e lo Stato democratico ha il dovere di reprimerlo.
I nostri governanti nei
confronti dell’estremismo rosso e nero degli ultimi anni 70 non si comportarono
in base a questa logica e Carlo Casalegno (che pagò con la vita per le sue
idee) scrisse, ripetutamente e inutilmente, che i covi sovversivi andavano
chiusi.
I Governi centristi
degasperiani invece si posero il problema di una “democrazia protetta” sia nei confronti
dei neofascisti, sia soprattutto nei confronti dei comunisti.
La Legge Scelba colpì invece
soltanto i neo fascisti che oggettivamente non potevano minacciare la sia pur
gracile democrazia italiana perché il recente crollo del fascismo fu così
disastroso da non lasciare grandi rimpianti se non ai reduci di Salò e ai
nostalgici in generale. Per altri versi, non si può dimenticare
che il PCI diede un grande
contributo alla stesura della Carta costituzionale e non poteva accadere che si
assumessero misure nei confronti dei comunisti, malgrado i gravissimi i delitti
del “Triangolo della morte” suscitassero apprensione e facessero intravvedere
delle minacce alla democrazia anche da parte della sinistra.
L’idea di una “democrazia
protetta” può aver avuto senso alla fine degli anni 40 e agli inizi degli anni
50.
Dopo fu una sciocchezza che
andava contro i principi della stessa Costituzione che vietò la ricostituzione del
partito fascista in una norma transitoria. Il ricordare che si trattò di una
norma transitoria appare molto utile a chiarire il problema.
Le crociate anticomuniste di
Sogno e soprattutto di alcuni suoi amici si risolsero in una bolla di sapone perché
la DC rappresentò comunque una diga sicura nei confronti del PCI e tale venne
percepita dagli Italiani non solo nel 1948, quando ottenne la maggioranza
assoluta dei voti.
Il PCI venne sconfitto
attraverso le urne e non ricorrendo a leggi potenzialmente liberticide.
La Costituzione ebbe il
merito storico di guardare al futuro dell’Italia e non al suo immediato
passato. In questo ha dimostrato di essere stata il frutto di un compromesso al
rialzo che storicamente nessuno può disconoscere, anche chi non la ritiene “la
più bella del mondo”.
Ci fu il paradosso, nel
primo dopoguerra, di Leo Longanesi che inizialmente fascista, aveva rifiutato
il regime e, dopo il disastro della guerra perduta, sentì una qualche nostalgia
per il Ventennio. Longanesi non faceva però testo perché era soprattutto un
artista un po’ stravagante senza una vera valenza politica.
Appare invece fondato il
giudizio, tra il serio e il faceto, di Ennio Flaiano che giunse a scrivere che
“i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”.
Flaiano aveva ragione perché
non si può storicamente escludere che ci sia stata una forma di fascismo che
abbia attraversato i pensieri e le azioni di uomini che appartenevano a
schieramenti opposti, al di là della adesione giovanile al regime.
La sola idea manichea di
scegliere tra due diverse opzioni e non tra le molte disponibili è sintomo,
oltre che di incultura, di settarismo miope.
Il settarismo, in era post
ideologica, sembrava essersi ridotto, poi la discesa in campo di Berlusconi ha riacceso
gli animi e il passo avanti degli anni ’90 si è come cristallizzato, per non
dire che si sia tradotto in un passo indietro. Io ricordo alcune affermazioni
coraggiose di Bobbio, ad esempio (che nessuno prese più in considerazione, malgrado
stesse crescendo il suo mito) sulla necessità di storicizzare la Resistenza, il
che non significa ridurne l’importanza, ma esprimere la necessità di scindere
il mito dalla verità storica.
Abbiamo dovuto assistere
alle crociate contro Renzo de Felice, uno dei maggiori storici italiani del secondo
‘900, a cui certe gazzarre impedirono persino di far lezione. Massimo e finora
insuperato storico del fascismo, De Felice venne accusato di aver “sdoganato il
fascismo”, ignorando il fatto che i suoi tomi, scritti a volte in modo
contorto, erano letti da pochissimi studiosi e che neppure le sue interviste erano
oggetto di vasto interesse. Solo Rosario Romeo, il grande storico di Cavour,
difese De Felice a viso aperto, anche rispetto alle congiure tramate contro di
lui dal mondo accademico.
Oggi con il progetto di
legge dell’On. Fiano sembra che si stia tornando indietro di decenni. La
democrazia necessita, per potersi esprimere della più assoluta libertà di
opinione. Anche la ricerca storica necessita di questa libertà perché l'ipotesi
di risolvere i problemi storici in tribunale è cosa totalmente assurda.
In Germania e in Francia ci
hanno provato con esiti allucinanti.
Le opinioni non sono reati.
Il revisionismo storico nel quale io non mi colloco, non è un reato.
Potrebbe esserlo il negazionismo,
ma tra revisionismo e negazionismo va fatta una distinzione netta.
Dino Cofrancesco sosteneva
giustamente che bisogna distinguere tra peccato e reato, in difesa della
laicità dello Stato. Commettere atti impuri in passato (oggi il giudizio è
sospeso e non si parla neppure più della fornicazione) era considerato un grave
peccato, ma certo non poteva essere considerato un reato.
Infrangere il vincolo
indissolubile del sacramento del matrimonio era (o è?) un peccato, ma la legge Fortuna - Baslini
ha consentito ai cittadini italiani di sciogliere il matrimonio naufragato
senza ricorrere a sotterfugi.
Ma la laicità non è solo
questione di rapporti tra stato e chiesa, è anche un modo di approcciarsi alla
realtà.
Un modo di leggere, quasi
dissacrare, le stesse ideologie, rifiutando i pregiudizi dottrinari, diceva il liberale
Zanone.
Se si vede il discorso in
modo laico, appare più che accettabile, ad esempio, il rifiuto del Movimento grillino
che si è riscoperto in questa occasione, sorprendentemente, persino liberale.
Le dichiarazioni della
presidenta della Camera Boldrini che avrebbe il dovere di tacere su un disegno
di legge in discussione alla Camera, rivelano invece uno spirito settario che
fa pensare alla famosa frase di Flaiano.
Forse oggi in Italia i
pericoli, senza sottovalutare assolutamente Casa Pound, sono il populismo e
l’estremismo islamico che insanguina l’Europa.
Riconfermando più che mai i
valori dell’antifascismo che ho appreso alla scuola di Garosci e Galante Garrone,
non mi sento tuttavia di approvare il ddl Fiano. In passato vennero ammesse
persino delle liste elettorali che contenevano la parola fascismo senza
particolari problemi.
Una democrazia che ricorre a
leggi speciali rivela la sua debolezza.
Non è con le leggi che si
contrasta la propaganda avversaria, ma con la mobilitazione sul piano delle idee.
Andare oltre la legge
Scelba, ad oltre 70 anni dalla caduta del regime, appare un gesto politico che
magari centra l’obiettivo di ricostruire una certa verginità politica di
sinistra al PD renziano, ma non risulta utile ai fini di affermare i valori
intramontabili della tolleranza. Anche andando oltre Popper.
La tolleranza di Voltaire
che dopo due secoli è diventata rispetto per tutti, anche per quelli di casa
Pound che ci disgustano e ci preoccupano come democratici come liberali,anzi
direi come cittadini.
Casa Pound si richiama ad un
poeta che alcuni considerano grande e che a me è sempre apparso molto oscuro.
Il fatto di aver simpatizzato con il fascismo gli costò carissimo proprio per
iniziativa dei suoi compatrioti americani che lo dileggiarono. Ma essere stato
vicino a Mussolini anche durante la repubblica di Salò non poteva non avere dei
costi, anche per un poeta che diventò, di fatto, un propagandista del regime
nazifascista.
Questo andrebbe ricordato e
documentato per evidenziare l’assurdo del fatto di richiamarsi a Pound in un contesto
storico in cui egli appare un sopravvissuto del tutto inattuale che va
rifiutato per le sue idee spesso confuse e pasticciate, oltre che non
condivisibili.
Liberato dagli americani
stava lunghi periodi a Rapallo e io ho conosciuto persone che hanno intrattenuto
con lui dei rapporti. Certo non era il “fascista libertario” di cui qualcuno ha
scritto, ma semmai un vecchietto deluso, ormai al tramonto.
Qualche masnada di
ragazzetti esagitati in piazza non potranno né oggi né mai mettere in pericolo
istituzioni che hanno garantito la libertà a tutti per tante decine d’anni.
Non riduciamo un problema
serio com'è quello delle istituzioni democratiche, a terreno di scontro a colpi
di battute semplicistiche che non aiutano ad uscire dalla palude in cui siamo.
Per uscirne occorrono idee
che pare manchino assolutamente. Se possibile, idee nuove, capaci di guardare
avanti e non indietro.
Pier Franco Quaglieni
il Torinese, 11 luglio 2017
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